1 parte: prologo
2 parte: Le abitazioni, i mobili e le differenze tra case povere e ricche
3 parte: Abbigliamento
4 parte: L’alimentazione
5 parte: Il tempo
6 parte: Nascita e matrimonio
7 parte: La morte
8 parte: La famiglia e le donne
9 parte: Serve, illegittimi, donne e concubine
10 parte: Firenze la città
11 parte: Le strade e la vita in esse
12 parte: L’Arno i suoi ponti e la statua di Marte
13 parte: Istituzioni e finanze
14 parte: La giustizia
15 parte: Esercito e polizia
16 parte: Aumento della popolazione
17 parte: Borghesia, popolo, poveri, mendicanti, ladri e viziosi
18 parte: Le feste e i giochi d’azzardo
19 parte: La giornata lavorativa
20 parte: Le arti
21 parte: Commercio, industrie e banche
22 parte: I salari
23: Il clero
24: Le chiese, i conventi, gli ordini.
25: Ordini e confraternite
I salari
Secondo gli storici il livello di vita dei salariati fiorentini nel XIV secolo sarebbe stato assai misero, ma studi moderni rivedono queste affermazioni.
Gli operai edili sono probabilmente la categoria più privilegiata, la paga viene effettuata il sabato, il salario è calcolato a giornata. Si rispettava una certa gerarchia: il mastro di legname, il copritore di tetti, il mastro di cazzuola e il mastro di scalpello, che essendo manovalanza esperta viene pagata sicuramente di più rispetto al semplice manovale. Alla fine del 1200 queste maestranze, guadagnano circa 5 soldi che all’inizio del trecento diventano otto, un manuale negli stessi periodi guadagna due soldi, arrivando poi a quattro.
Un manovale quindi spendeva quasi completamente il suo salario per il proprio sostentamento alimentare, quello che rimaneva veniva speso in scarpe, vestiti e arnesi da lavoro, andava aggiunta poi la spesa per l’alloggio, le cure per i figli ed eventuali divertimenti.
Un fiorentino povero è costretto ad alimentarsi invece che con il pane bianco con quello scuro, evidentemente meno caro ma anche meno pregiato, che diviene alimento predominante nella sua dieta, non potendosi permettere carne e legumi.
I disgraziati vivevano invece grazie alle elemosine, Dante ci racconta che a Firenze vivevano circa mille mendicanti che si aggiravano per le strade o all’uscita di chiese e conventi nella speranza di ottenere qualcosa di cui vivere da chi incontravano. Spesso orribilmente mutilati durante le guerre civili o dalle guerre con altri stati, ma anche vittime storpiate dalla giustizia, quando non infortunati sul lavoro. Tra di loro operai onesti ma sfortunati, colpiti da malattie, da crisi economica, tra loro troviamo anche condannati politici, carcerati per debiti e criminali comuni.
Non mancano anche dei “professionisti della povertà” che hanno sempre vissuto di elemosine e carità.
Non esistendo previdenza sociale ne mutua, questi disgraziati devono mendicare cibo e dormire sotto i portici.
Quando poi guerre, carestie ed epidemie flagellano queste terre, aumentano drasticamente e a dismisura. È lo stesso cronista Giovanni Villani che ci dice che nel 1330 da 1.000 mendicanti a Firenze, si arriva all’impressionante numero di 17.000, considerando una città di 100.000 abitanti.
Poco prima della fine del 1300 Firenze fissa però una somma di 2.000 lire in argento da distribuire ai poveri, cifra che non cambierà nonostante l’inflazione per i 50 anni successivi. Ma è anche grazie alle chiese e ai conventi che questi disgraziati riescono a sopravvivere.
Strutture come Orsanmichele riescono a distribuire aiuti e anche una sorta di “polizza”, per mantenere persone appartenenti a classi sociali più elevate ma decadute e che “riscuotono” una somma a loro più appropriata.
Evidentemente in qualche maniera questo tipo di aiuti funzionava, visto che Dante non riporta nessuna rivolta o sommossa da parte di questa fascia sociale.