2 parte: Le abitazioni, i mobili e le differenze tra case povere e ricche
3 parte: Abbigliamento
4 parte: L’alimentazione
5 parte: Il tempo
6 parte: Nascita e matrimonio
7 parte: La morte
8 parte: La famiglia e le donne
9 parte: Serve, illegittimi, donne e concubine
10 parte: Firenze la città
11 parte: Le strade e la vita in esse
12 parte: L’Arno i suoi ponti e la statua di Marte
13 parte: Istituzioni e finanze
14 parte: La giustizia
15 parte: Esercito e polizia
16 parte: Aumento della popolazione
17 parte: Borghesia, popolo, poveri, mendicanti, ladri e viziosi
18 parte: Le feste e i giochi d’azzardo
19 parte: La giornata lavorativa
20 parte: Le arti
21 parte: Commercio, industrie e banche
22 parte: I salari
23 Il clero
24 Le chiese, i conventi, gli ordini
25 Ordini e confraternite
26 Il culto, la predicazione, le processioni e il pellegrinaggio
27 La religione e la superstizione
28 Gli ebrei
29 Gli eretici
30 La scuola
31 L’università
Finiamo così insieme il nostro viaggio indietro nel tempo parlando di una delle più grandi attività che ha reso grande la città… Le tecniche tessili
Il medioevo è spesso considerata a torto un’epoca buia, ma non è cosi, lo dimostrano le numerose scoperte ed invenzioni avvenute in questo lungo periodo, e sfatano questa errata concezione.
Il mulino ad acqua, quello a vento, le pompe, le presse, gli ingranaggi, le trasmissioni meccaniche, le manovelle, viti, pulegge, eccentrici, i bottoni, gli occhiali, ma soprattutto in questo periodo vi è un grande sviluppo continuo, grazie a nuove tecniche e a nuovi macchinari, nel campo tessile, che migliorano e modernizzano questo campo, cosa che ci interessa per ampliare il discorso sull’economia fiorentina.
Le duecento botteghe tessili che come dice il Villani “producevano tra i 70 e gli 80.000 panni nel 1338”, trent’anni prima, nonostante fossero almeno trecento, ne producevano appena un migliaio. Questo grazie allo sviluppo di nuove tecnologie.
Ma ancora i fiorentini non sapevano lavorare la lana con la stessa professionalità ed ingegnosità che già esisteva in Inghilterra o in altri paesi. Per non essere dipendenti dalle importazioni però si impegnarono e si raffinarono, divenendo dapprima autonomi, poi addirittura competitivi e concorrenziali.
Le tecniche tessili
La prima operazione messa in atto per produrre un buon tessuto, era quella di scegliere la migliore lana grezza, si lavava poi con urina e “liscia” (o lìscia), una soluzione alcalina che poteva contenere idrossido di potassio, o con carbonati, perborati o perossido di sodio, insomma un detergente per panni.
Risciacquati nell’ Arno o nel Mugnone, (solitamente questa pratica avveniva vicino al convento di Ognissanti presso gli Umiliati), la si stendeva su graticci in vimini e la si passava poi alla “vergheggiatura”, ovvero si batteva con bastoni a mano o meccanicamente.
Poi la lana passava nelle mani dei “divettini o divettatori”, che ne toglievano le impurità. In seguito veniva pettinata, come ci dice un trattato del XV secolo: “con dieci colpi di pettine a presa”.
Venivano separati in seguito i filamenti lunghi da quelli corti per poter essere filati, i quali arrivavano poi ai “cardatori o scardassieri,” così chiamati perché in tempi più antichi usavano i cardi per questa operazione, invece dei due assi con punte metalliche adottate in seguito, che venivano sbattute uno contro l’altra.
Divenuta soffice la lana era trasformata in matasse o in fibre per essere finalmente filata. Procedimento sempre ed esclusivamente compiuto da donne, che spesso eseguivano questa operazione nelle loro stesse case.
Dante sia nel suo Paradiso che nel suo Inferno ricorda questa pratica.
Fuso, rocca o conocchia usati all’inizio, furono sostituiti una volta perfezionati, dalla ruota, dilatorio o mulinello. Ma l’industria della tessitura cambierà radicalmente con l’introduzione del telaio orizzontale.
Ma continuiamo.
Con delle pinzette si procedeva allo “sgroppo”, che era seguito da un nuovo lavaggio con lisciva bollente, sapone, terra ed urina.
Avveniva poi la “follatura” nelle “gualchiere”, operazione anche questa eseguita nei fiumi prima citati. Il prodotto era poi percosso con pesanti mazzuole di legno ed immerso di nuovo nella lisciva, processo questo che donava resistenza, robustezza e un ordito fitto ai tessuti che prendevano così poi il nome di “gualcati, gualciti o sodati.”
La “garzatura” invece si otteneva pettinando con dei garzi e serviva per rifinire il prodotto, che veniva poi “cimato” con delle forbici. Si asciugava poi il tutto su tiratoi, solo in seguito il tessuto veniva finalmente tinto.
E’ proprio nella tintura dei tessuti che i fiorentini erano maestri, forse grazie anche a dei segreti ormai purtroppo andati perduti. Alla base della colorazione c’era l’allume, dapprima importato (ed assai esoso) dai paesi arabi, anche durante i conflitti con i Turchi, poi grazie alla scoperta di un enorme giacimento di cui entrò in possesso il papato ad Allumiere vicino Roma, le sorti dei guadagni del Sultano cambiarono.
Il guado era usato per il blu scuro, l’indaco per quello chiaro, la robbia della Provenza per il rosso, l’ eliotropo per il violetto. Tutti questi panni poi erano esportati in tutta Europa, ed entravano in forte concorrenza con i rivali fiamminghi e di altri paesi a vocazione tessile.
Mi auguro che questo viaggio durato ben 36 puntate in compagnia mia e di Dante vi sia piaciuto. Grazie e a presto con altre avventure!
Grazie a lei che con molta pazienza ha eseguito questo lavoro.
😉 È un piacere sapere che qualcuno abbia seguito tutte le puntate! È stato impegnativo, ma ce l’abbiamo fatta! Lo merita la storia, Firenze, la nostra Rivista e voi tutti che ci seguite! 😘