1 parte: prologo
2 parte: Le abitazioni, i mobili e le differenze tra case povere e ricche
3 parte: Abbigliamento
4 parte: L’alimentazione
5 parte: Il tempo
6 parte: Nascita e matrimonio
7 parte: La morte
8 parte: La famiglia e le donne
9 parte: Serve, illegittimi, donne e concubine
10 parte: Firenze la città
11 parte: Le strade e la vita in esse
12 parte: L’Arno i suoi ponti e la statua di Marte
13 parte: Istituzioni e finanze
14 parte: La giustizia
15 parte: Esercito e polizia
16 parte: Aumento della popolazione
17 parte: Borghesia, popolo, poveri, mendicanti, ladri e viziosi
18 parte: Le feste e i giochi d’azzardo
19 parte: La giornata lavorativa
Borghesia, popolo, poveri, mendicanti, ladri e viziosi.
Quando nasce Dante sono già 15 anni che la borghesia affarista governa la città. Dante è testimone di questo mutamento politico, questa classe sociale è sempre più in ascesa e continuerà a divenire sempre più preponderante anche durante il suo esilio. Ovviamente Dante la considera un male.
Palesemente il suo pensiero è manifestato nel suo Monarchia e nella Divina Commedia, quando fa sferzare tra loro i nuovi ricchi. Bene o male sono del suo periodo le grandi famiglie nobiliari quali, gli Alberti, gli Acciaiuli gli Albizzi Altoviti, i Cerretani, i Peruzzi, i Pitti e gli Strozzi.
La borghesia non è da ritenersi omogenea, il popolo grasso è quello appartenente alla grande borghesia, mentre il popolo minuto è quello che appartiene alla piccola e ovviamente meno ricca.
A dispetto di altre città e realtà del medioevo la nobiltà fiorentina è piuttosto aperta, riceve l’impulso dalla bassa borghesia, grazie anche a matrimoni fra ceti diversi.
Anche la cavalleria si è imborghesita, nel complesso infatti si riscontra una forte imitazione di quegli atteggiamenti, comportamenti e di quelle usanze tipiche della classe borghese. Sia in città che in campagna si formano delle vere e proprie tenute costituite da nuovi borghesi del contado, che arrivano ad influenzare e cambiare anche le abitudini culturali della vecchia borghesia cittadina. Si diffonde tra queste nuove classi l’interesse verso la poesia ma anche verso i tornei, le giostre e le tenzoni.
La borghesia dunque non appartiene solo all’area urbana ma anche a quella di campagna. Non pochi sono gli artigiani proprietari terrieri e fondiari e questo creerà una nuova borghesia sempre più omogenea. Tra questa borghesia non dimentichiamoci troviamo anche giudici e notai.
Dante disprezza i villani, ovverosia i campagnoli stabilitisi in città, non degni secondo lui di appartenere a questa realtà. Però sarà proprio questa borghesia che darà un nuovo aspetto ed un nuovo impulso urbanistico alla città, creando una delle cattedrali più belle e più grandi dell’occidente, il palazzo dei Priori, Orsanmichele, la loggia dei Lanzi, nonché nuove strade pavimentate e piazze più spaziose. Grazie al diffondersi dell’ igiene pubblica che aumenta anche la qualità di vita, anche l’ambiente cittadino diviene più salubre.
Dobbiamo leggere nelle parole di Dante una critica forse troppo aspra quando parla della decadenza morale e della confusione delle persone dovuta a questa mescolanza di genti. Tra i nobili e i potenti si contano tra le 5.000 e le 6.000 anime. La popolazione, cioè il popolo vero e proprio, conta tra le 90.000 e le 100.000 unità. Ovviamente sono dati approssimativi, tra questi troviamo lavoratori di ogni genere, calzolai, capimastri, lavoratori della lana, tutti salariati che però hanno uno scarso peso politico. I meno qualificati soffrono particolarmente durante crisi e carestie andando ad alimentare le richieste alle grandi famiglie e alle associazioni di beneficenza gestite sempre dalla borghesia e dai nobili. Con un’età media di 30 anni, sono gli stessi plebei che vengono presi in giro nel Decamerone del Boccaccio, il quale predilige ammirare dame, gentiluomini e cavalieri. Il popolo è quello a cui i predicatori si rivolgono per farli sperare nelle ricompense celesti, perché in questa vita, poche ne avranno.
Sarebbe però un errore credere che tutti i salariati fossero poveri, i lavoratori dell’edilizia e giardinieri per esempio percepivano un congruo salario, tanto da poter mettere da parte una parte del loro guadagno e permettersi una certa agiatezza, la stessa che spesso condividono con gli operai più poveri.
Non dimentichiamoci però degli emarginati e dei mendicanti, spesso aiutati da grandi corporazioni e confraternite. Generalmente il popolo fiorentino era tollerante fornendo loro elargizioni ed elemosine, soprattutto agli invalidi del lavoro e della guerra. Le grandi famiglie tenevano alla loro clientelismo e lo proteggevano perché poteva tornare utile come forza armata in caso di conflitto con una famiglia rivale.
Tra il popolo c’erano anche i ladri che si aggiravano per le strade e muniti di coltello tagliavano le borse di cuoio dei malcapitati. Nonostante le pene fossero severe sino alla morte per impiccagione, o nel migliore dei casi l’amputazione di un orecchio, di un piede o di una mano, i ladri agivano lo stesso, spinti anche dalla fame. Così come anche ricorda Dante nel suo Inferno, questi malviventi li presenta con le mani legate e sommersi di serpenti oppure che subiscono il supplizio di trasformarsi in cenere per poi rinascere metà serpenti.
Lo stesso disprezzo Dante lo riservava ai lenoni ed i seduttori, sferzati da demoni cornuti o messi al rogo per aver costretto una donna a prostituirsi. Peccato che a Firenze la prostituzione fosse tollerata, ipocritamente le prostitute erano confinate nei sobborghi, a distanza da edifici sacri avevano quartieri riservati ed erano sorvegliate dalla polizia. Controllate sia per questioni di ordine pubblico, ma anche che non fossero costrette con la forza ad esercitare questo mestiere. Le donne trovate ad esercitare nel centro della città venivano frustate in caso di recidiva, marchiate a fuoco sulla guancia destra. Intanto però erano tenute a pagare un’imposta sul loro reddito. In seguito venne costruito un postribolo comunale distante dal centro, lungo il Mugnone accanto a Porta al Prato.
Per i sodomiti invece Dante nel suo Inferno gli riserva di correre in eterno sotto una pioggia di fuoco. La sodomia era condannata con estremo rigore dalla chiesa, considerata un peccato capitale e punito con il rogo, con la confisca dei beni e l’incendio della casa in cui era stato consumato il crimine. Ma a Firenze questa pratica era assai diffusa, tanto che in Germania si chiamavano florenzer i pederasti. Dante infatti pone nel cerchio dei sodomiti praticamente soltanto i fiorentini. Lo stesso predicatore Giordano contemporaneo di Dante dal pulpito di Santa Maria Novella nel 1305 dichiara che Firenze è diventata Sodoma! La punizione era la castrazione per il colpevole attivo, forti ammende e frustrate per il passivo, l’amputazione della mano e del piede compresi quelli dei genitori se avevano spinto il figlio a compiere questo peccato.
Anche il saffismo era molto diffuso, il travestimento da parte di entrambi i sessi era punito direttamente sulle strade pubbliche con le frustate. Ma si tratta di espedienti inutili vista la diffusione di queste pratiche.