Lo scorso 30 Ottobre è avvenuto un tragico incidente all’interno della basilica di S. Croce: un pezzo di capitello in pietra staccatosi da un’altezza di circa 30 metri è caduto colpendo ed uccidendo uno sfortunato turista Catalano. Il triste evento ha fatto rimbalzare Firenze e la basilica di S. Croce sui media di tutto il mondo e certo non si è trattato di una pubblicità positiva per la città e per l’Italia, il cui enorme patrimonio artistico continua a perdere pezzi.
Questo tragico accadimento ha comunque un precedente antico, il cui epilogo però fu più fortunato grazie all’intervento, così ci dicono le cronache del tempo, nientemeno che del potente S. Antonio da Padova, il “Santo dei miracoli”.
Il giorno martedi 7 ottobre 1698, mentre una gran folla di fedeli era radunata dentro e davanti alla cappella dedicata a S. Antonio da Padova (Cappella Ricasoli, la terza nel braccio sinistro del transetto contando dall’altare ), similmente a quanto accaduto di recente un pezzo di capitello si staccò dal soffitto rovinando a terra senza, incredibilmente, uccidere né ferire alcuno. Lo scrittore Gesuita Giuseppe Richa (1693 – 1761) così descrive brevemente l’accaduto nel suo libro “Notizie Istoriche Delle Chiese Fiorentine: Divise ne’ suoi Quartieri” (1754, Vol. 1), parlando delle cappelle del transetto::
“…la terza però di queste (cappelle, n.d.r.) è dedicata a S Antonio da Padova e da divoti frequentata in ogni Martedì ed appunto in tal giorno nel 1698 seguì la caduta di un pezzo di mensola di macigno dall’altissimo tetto della Chiesa posto piombo sopra il liminare della Cappella senza lesione delle Persone che in gran numero si trovavano nel posto medesimo ove piombò la pietra di peso libbre novanta (circa 30,5 Kg, n.d.r.) rigando solo a una fanciulla la superficie del drappo facendo il Santo conoscere il pericolo ma alcun minimo danno”
Richa ci dice anche che il luogo dove accadde il fatto fu segnalato con una lapide in marmo ed un’iscrizione: “Il luogo dove posò il sasso è oggi segnato con un tassello di marmo bianco ove leggesi ‘Quì cadde il sasso a 7 di Ottobre del 1698’ ”.
Oggigiorno vediamo in effetti un “tassello” di marmo bianco sul pavimento di fronte alla cappella ma la scritta risulta oramai completamente cancellata dal calpestio
Una descrizione più dettagliata dell’evento la troviamo invece in un opuscolo, di autore anonimo, intitolato “Relazione della caduta del sasso seguita nella chiesa di S. Croce di Firenze de’ padri min. conv. di S. Francesco la mattina del martedì 7. del mese d’ottobre 1698. Senza offesa d’alcuno per intercessione del santo de’ miracoli Antonio di Padova e di quanto dopo è seguìto”, dato alle stampe in Firenze nel 1698 ovvero poco dopo lo svolgimento dei fatti descritti. Il testo riporta:
“Occupava al solito numeroso concorso di Popolo la mattina del Martedì 7. del Mese d’ Ottobre 1698. la Cappella del Santo, e suo contorno , quando su le quindici, e tre quarti, ora di maggior frequenza, staccatosi il Capitello della Mensola di pietra di libbre 90. in circa di sotto il Cavalletto dell’ alto Tetto della Chiesa , che resta a piombo sopra il liminare della suddetta Cappella, colpì, declinando dalla retta linea del suo centro un braccio, e più , in mezzo a quella divora adunanza senz’offesa di persona alcuna, ne esso spezzarsi, strisciando solo leggermente, con lasciarvi lo spolvero, su ’l Drappo , e quasi insensibilmente su la cute della man destra, e d’altra parte anteriore della vita a Maria Maddalena Cavallícci Fanciulla , e giù dal fianco destro a Lisabetta ‘Socci Donna di Casa del Sig. Ruberto del Beccuto col lasciar nell’una, e nell’ altra segrete lividure, contentandosi in tal forma il Santo dar il palio al pericolo, non il soggiorno”.
Lo scampato pericolo, ci dice l’opuscolo già fin dal titolo, venne immediatamente attribuito all’intervento di S. Antonio da Padova che operando il miracolo volle ricompensare i fiorentini della devozione mostratagli. E i fiorentini, stando all’anonimo cronista, resero grazie al Santo con grande entusiasmo e partecipazione:
“Quindi è che alle prime voci sparse per mezzo delle Stampe, che nel susseguente Martedì invitavano nella predetta Chiesa ad un pubblico rendimento di grazie a quest’Arbitro delle Divine Misericordie, destinatovi con decorosa pompa da’ PP. Min. Convent. (Padri Minori Conventuali, ordine Francescano a cui apparteneva S. Antonio, n.d.r.) prevenendo con sant’ impazienza quel giorno, ogni giorno faceva quello tanto che giunto finalmente principiò a santificarlo appena nato colle Sagramentali Confessioni e Comunioni che da un Popolo successivamente copioso in quel vasto Tempio, furono con rinnovate per lo spazio di più di 7. ore con quel raccoglimento di spirito, al quale rinforzato l’avea il paterno zelo del suo vigilantissimo Arcipastore colla celeste ricompensa di 40 giorni d’Indulgenza e avvalorato colla presenza in detta Chiesa l’istessa mattina. A suo tempo poi fu cantata solennemente la Messa e in fine il Te Deum da un Coro de più scelti Musici della Città”
Anche il granduca Cosimo III de’ Medici, notoriamente dotato di grande fede religiosa, si recò a rendere omaggio al Santo per la grazia ricevuta dai suoi sudditi:
“Terminata la Funzione, non terminò nel Popolo il desiderio di viepiù sodisfarsi nella divozione, e gratitudine verso il Santo, in tutto il restante di quel giorno senza stimolo di particolar dimostrazione, restando in fine coronato dall’esemplarissima pietà del Sereniss. Granduca Padrone, che secondo il consueto d’ogni Martedì portossi su la sera à rassegnare i piissimí sentimenti del suo spirito ai suo gran Tutelare, e con tanto maggior fervore, dee credersi, quanta era stata la grazia di quello sopra i suoi amatissimi Sudditi”
Insomma, come diremmo oggi, “tutto è bene quel che finisce bene”, cosa che purtroppo non si è potuto dire in occasione del recente incidente occorso allo sfortunato turista Catalano, deceduto sul colpo.
Chissà che il Santo con questo miracolo non abbia voluto ringraziare i fiorentini per la venuta a Padova, sua città d’adozione, dell’illustre scultore Donatello, padre fondatore della scultura rinascimentale, oltre due secoli prima per realizzare il monumentale altare maggiore – il cosiddetto “Altare del Santo” – nella Basilica a lui dedicata e che ne ospita le reliquie.