Tutti a Firenze lo conoscevano e lo chiamavano “L’americano”. Era Henry Brockholst Livingston, nato a New York nel 1819, ultimogenito dell’omonimo Henry Brockholst Livingston, che alla nascita del figlio copriva il ruolo di giudice associato della Corte suprema degli Stati Uniti e che era stato ufficiale nella guerra d’indipendenza americana. Ricchissimo di famiglia non ebbe mai la necessità di esercitare una professione.
Si stabilì a Firenze poco più che ventenne, a partire dal 1841. Fu uno di quegli stranieri, non in piccolo numero, che divennero fiorentini “per adozione” ed ebbero un nome a tutti noto e una spiccatissima fisionomia loro propria.
Enrico Livingston si rivelò subito un tipo originalissimo. Possessore di una grande ricchezza, fu di una estrema e quasi eccessiva parsimonia: ai teatri andava di buon’ora per arrivare in tempo a prendere un posto nelle panche di platea e più volte richiese alla Amministrazione fiorentina sgravi sulle tasse, che mai gli furono accordati.
I cavalli erano il solo suo lusso. Attirò l’attenzione pubblica con la mania sfarzosa di guidare per le strade della città la sua straordinaria carrozza trainata da dieci, dodici, addirittura venti cavalli, bardati d’oro, più o meno ammaestrati e vigilati da vari staffieri a piedi. Tutti parlavano di lui: il New York Times lo descrisse nel 1878 mentre guidava una pariglia di 12 cavalli dal mantello equino baio per le strade di Firenze. Era un vero e proprio spettacolo vederlo alla guida della sua carrozza, trainata da un numero spropositato di cavalli, uscire dalle scuderie del Casino delle Delizie, un tempo di proprietà della famiglia Ginori, in via della Mattonaia per raggiungere il viale della Regina e il piazzale del Re alle Cascine. Un acquarello del pittore fiorentino Giovanni Signorini (1808 – 1862), oggi conservato nella Galleria d’ Arte Moderna di Palazzo Pitti, raffigura il passaggio dal piazzale del Re alle Cascine della sua carrozza con un tiro di dieci cavalli.
Alla fine dell’ Ottocento i viali delle Cascine costituivano uno dei più prestigiosi palcoscenici del mondo per le ultime “recite” delle carrozze private, antico simbolo del rango sociale. Il parco si apriva al pubblico passeggio, animatissimo specialmente nelle giornate festive e in quelle riscaldate dal sole, quando una folla composta di famiglie popolane, borghesi, aristocratiche, famiglie in libera uscita, vestite con gli abiti della festa si riversavano lungo i numerosi viali e vialetti. I signori non mancavano all’ appuntamento della sfilata di eleganza e del censo, si recavano alle Cascine in carrozza, si esibivano in una specie di parata al piccolo trotto, fra mezzi inchini, cenni di saluto, sorrisi e commenti salottieri.
Nel piazzale del Re nel 1869, nel periodo di Firenze capitale, anche Doney aprì un ristorante che sarà frequentato da fiorentini e stranieri.
In queste famose e memorabili sfilate Enrico Livingston ogni volta primeggiava per numero di cavalli, inservienti e paramenti , ma dopo che la sua smania di guidare dieci, dodici, venti cavalli per volta dette origine a vari e spiacevoli inconvenienti, la polizia municipale gli proibì, non di usare, ma di abusare della occupazione del suolo pubblico in certe ore della giornata e in certe vie più frequentate per evitare danni alla circolazione di altri mezzi di trasporto e dei pedoni. Il signor Livingston se n’ebbe a male e cambiò domicilio: andò a stabilirsi a Livorno, ma presto abbandonò la città e ritornò a Firenze.
Fu sempre originale e stravagante anche negli ultimi anni della sua vita: quasi ottantenne continuerà ad uscire nelle ore pomeridiane guidando da quattro a sei cavalli. Lo accompagnerà sino all’ultimo l’abitudine di rimanere sdraiato su un sofà in una sala del Casino Borghese in via Ghibellina dalla notte sino alle prime ore della mattina, costringendo gli inservienti a far un servizio, davvero dei più straordinari, promettendo che nel suo testamento avrebbe fatto loro cospicui lasciti.
Dopo la sua morte, avvenuta a Firenze nel luglio del 1892, rimase per molto tempo nella memoria popolare il ricordo delle sue bizzarrie e della sua singolarità di carattere e del suo memorabile testamento. Lasciò un patrimonio di oltre due milioni di lire in contanti, cifra astronomica per l’ epoca. Nominò eredi universali le nipoti Valentina ed Anna Livingston.
Fu stravagante anche nelle sue volontà : destinerà ingenti somme in denaro a stretti amici, tra cui il senatore Olinto Barsanti, suo erede testamentario, ma anche a numerosi cocchieri e conduttori di omnibus, a fiaccherai, a camerieri e altri addetti al servizio del Caffè Bottegone in piazza Duomo, agli inservienti del Casino Borghese, come aveva promesso, e del Caffè Doney.
Non dimenticò nessuno dei suoi camerieri personali , parrucchieri, maestri e assistenti di scuderia, medici che lo avevano sempre curato. Assegnò lasciti a tanti famosi enti e istituzioni benefiche che operavano in città ed a varie scuole d’infanzia. Nel 1912 l’asilo infantile femminile in via di Camaldoli a Firenze, situato nei locali di proprietà della Amministrazione delle Scuole Leopoldine, risultava dedicato a “Enrico Livingston”. Un ritratto dell’ Americano, realizzato dall’ artista romano Eugenio Renazzi (1863 – 1914) ai tempi in cui era studente all’Accademia di Belle Arti a Firenze, era conservato nel Museo Firenze com’era, che dal 1955 sino alla chiusura definitiva nel 2010, si trovava nell’ex convento delle Oblate in via dell’ Oriuolo a Firenze.
Oggi un’ urna cineraria nel cimitero degli acattolici, conosciuto come Cimitero degli Inglesi, in piazzale Donatello, conserva le ceneri di questo particolare personaggio, conosciuto da tutti come “ L’ Americano”, che tanto ha lasciato alla città ed ai suoi abitanti.
Grande Marta come sempre. Non e’ facile raccogliere da varie fonti tante notizie su un personaggio così e metterle insieme in un ritratto vivo e scoppiettante
Complimenti per l’interessante articolo
Mi fa tanto piacere sapere che è di suo interesse