Nel Viale Regina Margherita, a Firenze, l’odierno Viale Lavagnini, si trovava un tempo la trattoria di Gaetano Piccioli, detto Picciolo, dove pare si mangiasse una superba bistecca alla fiorentina.
La trattoria aveva dei separé, nel senso di salottini riservati, ed era uno dei motivi per cui, oltre all’ottimo cibo, era molto apprezzata da personaggi famosi e da tutti coloro che vi potevano pranzare ed intrattenervisi godendo di una certa intimità.
Vasco Pratolini, nel suo romanzo “Lo scialo”, la cita in più punti. Riporto dei brani dove Picciolo viene nominato:
“…Ormai, l’incanto durato sei sette mesi, dietro i separé di Picciolo, dentro la camera della pensione Belvedere, era spezzato.” “…”non saprei.” E subito aggiunse: “noi, dove andiamo?” Anche a questo egli aveva avuto modo di pensare, ricordandosi di un ristorante, tra porta San Gallo e la Fortezza da Basso, dove, “se i racconti sono veri” si sarebbero trovati, e in ogni senso, a loro agio.
Per anni, il ristorante nel quale non aveva mai messo piede, era stato argomento di conversazione in ufficio. C’erano, si diceva, al piano superiore, delle salette riservate.
Una volta, prima della guerra, ne erano stati pieni i giornali, di Picciolo e delle sue sale riservate, per via di un marito che aveva sorpreso la moglie con l’amante e gli aveva sparato. “Lui era un ufficiale, il ganzo un deputato.” «Dov’è? Non l’ho mai sentito nominare.» «Ma se è uno dei più antichi di Firenze.» «Oh» ella ammise. «Nemmeno negli altri, ci sono mai andata. Conosco il Paoli, conosco Oreste, conosco il Comparini in via del Corso, ma per essermi fermata qualche volta a vedere le aragoste in vetrina.» «Ma se c’è tutti i giorni la reclame sui giornali.» Era dell’importanza ch’egli si voleva dare.”
Oltre a Pratolini, un altro grande scrittore che soggiornò a lungo a Firenze, dove condusse una vita all’insegna del lusso e della sregolatezza, amò particolarmente questa Trattoria. Si trattava del poeta Gabriele D’Annunzio, che fu un grande estimatore della cucina di Firenze, ed in particolare amava la cucina delle trattorie, che frequentava non perché a buon mercato, ma per la genuina bontà delle loro pietanze.
Spesso si recava da Picciolo in compagnia di Eleonora Duse, ma anche con amici giornalisti e critici teatrali, e la pietanza che più amava e più spesso ordinava era la bistecca. Anche quando si ritirò al Vittoriale, D’Annunzio conservò un bellissimo ricordo della cucina fiorentina. Proprio mentre si trovava al Vittoriale, un giorno D’Annunzio ricevette inaspettatamente una lettera dal figlio di Picciolo, alla quale rispose prontamente con uno scherzoso telegramma:
“Il tuo inaspettato messaggio risveglia i miei più dolci ricordi fiorentini. Stop. Ti mando quel che vuoi, ma tu mandami per telegrafo la bistecca di tre quarti che mangiammo allora insieme col non dimenticabile Jarro. Stop. Abbraccio il babbo. Gabriele D’Annunzio”.