Con la commedia dell’arte nascono le principali maschere del carnevale italiano, come Pulcinella, Arlecchino, Pantalone. Anche Firenze alla fine del Settecento avrà la sua maschera: Stenterello. Fu inventato, creato e interpretato da Luigi del Buono, fiorentino nato nel borgo di Rifredi nel 1751. Fin oltre i trent’anni aveva fatto l’orologiaio ed aveva bottega in piazza del Duomo presso l’arco dei Pecori, demolito nell’Ottocento. Un bel giorno del 1782 Luigi cedette il negozio per trenta scudi ed entrò a far parte di una compagnia di attori. La causa di questo repentino mutamento fu una donna: l’attrice Faustina Zandonati per la quale egli fu preso da una forte passione. Malgrado le liti e dissapori causati dal carattere bisbetico della Faustina, i due restarono insieme tutta la vita e quando la Zandonati morì nel 1821 a 51 anni, il del Buono la ricordò sempre fino alla morte.

Per la creazione della sua maschera Luigi trasse l’idea da un mendicante molto malandato che di solito sostava sotto un tabernacolo, in via della Scala. Per il linguaggio si ispirò ad un barbiere, di sua conoscenza, prodigo di battute e di chiacchiere. Il nome Stenterello non fu dato dal suo autore, ma dal pubblico fiorentino E’ la più giovane delle nostre maschere italiane e più che una maschera, come lo sono , invece, Arlecchino e Pantalone, si potrebbe chiamare un carattere. E’ il popolano fiorentino che, malgrado le sventure che gli capitano e le ingiustizie che deve subire, trova sempre il verso di ridere e di fare le cose a fin di bene. Rappresenta un uomo semplice e buono , pieno di generosi impulsi, ma colpito dalla sorte e afflitto da una totale mancanza di coraggio. Si presenta magro macilento, pallido in volto e nel costume classico (che subì cambiamenti nel corso del tempo), vestito di una casacchina di stoffa azzurra chiara, con un panciotto giallo canarino, calzoni corti, neri (o con una gamba color verde), calze di cotone, una a tinta unita, l’altra a righe, scarpe basse con una gran fibbia di stagno o di alluminio, parrucca bianca col codino volto all’insù e fasciato di rosso, detto “alla prussiana”, cappello a tricorno o a lucerna . Già tutto un programma. Famoso per una comicità aggressiva, ma elegante nel linguaggio dove usa parole, storpiandole a bella posta, inventandone di nuove, accoppiando le frasi più strampalate. E’ un popolano di estrema civiltà che si diverte a farsi passare per balordo e stupido. Giudica tutti, scherza con i ricchi, con i potenti e spesso la sua battuta lascia il segno. Animato da un moderato spirito politico antifrancese, contro di loro si rivolgeva con parole e con atteggiamenti anche scurrili, così da essere chiamato Stenterello Porcari. La maschera sin dall’ inizio fu accolta con molto favore in Firenze. Fra i numerosi lavori del repertorio di Stenterello, quasi tutti scritti da Del Buono, ricordiamo: “Ginevra degli Almieri sepolta viva in Firenze”, “Il diavolo maritato, ossia Le mogli disperazione dei mariti”, ”Darò mia figlia al maggior offerente” ed inoltre” “La villana di Lamporecchio” che fu ispirata a Del Buono da una donna di servizio , Virginia Venturini, nativa di Lamporecchio ed a quanto pare svelta di lingua e brusca di modi, tanto che nel suo testamento il buon Luigi Del Buono, facendole un lascito, aggiungeva: “Nonostante che non abbia voluto moderare la lingua e cattive maniere, cagione di inquietitudini”.

Spesso le prove delle commedie di Del Buono avvenivano nella villa di Rubbiana dei marchesi Viviani. In quei momenti succedeva che il marchese Celsio Viviani recitasse la parte di Stenterello ed il Del Buono, ascoltandolo, cambiasse le battute, integrasse il dialogo, rifacesse alcune scene.

Principalmente tre erano i teatri a Firenze che ospitarono a partire dalla fine del Settecento le recite di Stenterello: il teatro Rossini, comunemente indicato come il teatro di Borgognissanti , dal nome della strada dove sorgeva, (oggi sede della Chiesa Evangelica e dove una lapide di fianco al portone ricorda la creazione di Stenterello da parte di Luigi del Buono); il piccolo teatro della Piazza Vecchia che si trovava adiacente all’ albergo Baglioni in piazza dell’ Unità, allora Piazza Vecchia di Santa Maria Novella, da cui prese il nome, (che rimase attivo sino al periodo di Firenze capitale e poi adibito ad abitazioni); Il teatro del Giglio, infine, più conosciuto come teatro dell’Antica Quarconia che, inaugurato nel 1786 era stato successivamente chiamato teatro Leopoldo. Questo teatro cambiò nome un’altra volta dopo la pacifica rivoluzione toscana del 27 aprile 1859 e prese il nome di teatro Nazionale, quello che un tempo era accanto al Supercinema. Il favore popolare per le commedie comiche di Luigi del buono andò sempre crescendo. Stenterello girò tutta la Toscana facendo apprezzare dappertutto la sua arguzia tipicamente fiorentina e nei primi anni dell’Ottocento lo troviamo addirittura a Milano.

Nel 1821, a settanta anni, l’inventore della maschera si ritirò dalle scene. Il teatro, soleva ripetere, ”è una scuola di turpitudine” e promise a Dio di non tornare più sul palcoscenico. Vendette a Lorenzo Cannelli, uno dei suoi allievi insieme a Gaetano Cappelletti, i manoscritti di venti commedie e perfino gli abiti stenterelleschi da lui inventati e da lui portati per tanti anni. Il Cannelli non pagò tutto quanto era stato concordato ed il Del Buono scrisse questa malinconica e scherzosa nota: ”Saldato con monete dieci invece di zecchini 23 che dovevano dare”. Nel 1829 il Del Buono riprende invece a recitare. Infranse la promessa dalle pressioni che gli fecero perché aiutasse una famiglia caduta in miseria con il ricavato dei suoi spettacoli. Ed ecco che a 78 anni il Del Buono si rivolgeva al suo pubblico con uno di quegli “avvisi” che erano d’uso nel tempo: ”Avviso per l’ Imperiale Regio teatro dei Solleciti, posto in Borgognissanti, per la sera di mercoledì 28 gennaio 1829. Luigi Del Buono, Stenterello, al pregiatissimo pubblico: eccomi, qual Fenice d’Arabia, rinato alle scene, ma con la differenza che la Fenice rinasce dalle sue ceneri giovine e vegeta ed io rinasco con il peso di quattro punti di un secolo addosso…”.

Nel 1832, il 30 ottobre, Luigi Del Buono moriva nella sua casa di Borgognissanti. Fu sepolto nel chiostro della chiesa omonima. Per molto tempo si credette che fosse stato sepolto in Santa Croce per quei versi di Giuseppe Giusti nel “Mementomo” (scritto nel 1841): “ Dietro l’avello/di Macchiavello/dorme lo scheletro/di Stenterello”. L’errore continuò per molto tempo, ma il Giusti intendeva semplicemente dire che accanto alle tombe dei grandi stanno anche quelle dei buffoni. Molti furono gli attori che interpretavano Stenterello anche mentre Del Buono era ancora vivo, tanto che Lorenzo Cannelli così rimancava: “Gli affari vanno poco bene perché ci sono troppi Stenterelli a Firenze”.

Oggi, invece, di Stentarelli non ce ne sono più. Sono scomparsi dalla scena ed anche dai repertori dei teatri di burattini, dimenticati anche dalle maschere che sfilano durante il carnevale nelle città grandi e piccole della Toscana. Stenterello fa parte del passato, di un passato anche prossimo, ma non è più “di moda” forse perché insieme a lui è scomparso quello che era il tipo classico del popolano fiorentino, scanzonato, pronto al motteggio, fondamentalmente buono e umano, che non perde mai il buonumore anche nelle difficoltà, insieme a tutto quel mondo che lo circondava.

Marta Questa
Stenterello
Tag:                     

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.