Il centro storico di Firenze, oltre a trasudare ovunque storia ed arte, ha anche altre caratteristiche interessanti: si pensi ad esempio alle famose “buchette del vino”. Oggi parliamo di una di queste caratteristiche, squisitamente architettonica: l’uso dei cosiddetti “sporti” nelle case antiche.
Il termine “sporto”, participio passato del verbo “sporgere” (dal latino “ex-porgere”), indica una parte di edificio che, appunto, sporge rispetto al resto della costruzione. Può indicare genericamente tutte le parti aggettanti di un edificio, ma in ambito fiorentino assume un significato ben preciso. E’ infatti ancora possibile notare come in molti edifici antichi, a partire dal primo piano, la facciata è spostata in avanti rispetto al piano terra, creando un incremento della superficie abitabile che poggia su una struttura a sbalzo. Col nome di sporto si indica appunto questa parte sporgente dell’edificio.
Dal punto di vista strutturale lo sporto, nella versione più diffusa in legno, è sostenuto da travi a sbalzo incastrate nel muro perimetrale – oppure dal prolungamento oltre la facciata delle travi principali del solaio – sorrette da altre travi, inclinate, con un’estremità incastrata nel muro perimetrale e l’altra che “puntella” la trave orizzontale a sbalzo. Questi elementi, che anziché “a flessione” lavorano con carico di punta, vengono detti “puntoni”. C’è poi la versione in pietra in cui i “puntoni” inclinati sono spesso sostituiti da una serie di “beccatelli” che sorreggono degli archetti.
La trave a sbalzo nel gergo tecnico si chiama “mensola” ma a Firenze viene indicata col nome assai più fascinoso di “sergozzone”. Tale termine è documentato sin dall’antichità e sta ad indicare, secondo la prima edizione del vocabolario della Crusca (1612) “Colpo, che si da nella gola a man chiusa”, ovvero quello che oggi in gergo pugilistico chiameremmo “uppercut”. Ma lo stesso vocabolario aggiunge anche che “SERGOZZONE è nome, che usano gli architettori, e vale sostegno, ed è lo stesso, che mensola”. Infatti non può sfuggire, osservando uno sporto, la similitudine tra il puntone che sorregge la mensola ed il braccio di un pugile che assesti un micidiale colpo dal basso verso l’alto al mento dell’avversario!
Tant’è che nella successiva edizione del dizionario (1623), nello stesso lemma a quanto sopra viene aggiunto “…ed è lo stesso, che mensola, quasi che dando, si faccia mensola alle mascella.” Boccaccio nell’ottava giornata del Decamerone mette in bocca ad uno dei suoi personaggi la seguente, toscanissima frase: “Fo boto a Cristo che mi vien voglia di darti un gran sergozzone…”. E Luigi Pulci, poeta caro a Lorenzo de’ Medici, nel suo “Morgante” (1478) alla ottava 178 del cantare decimottavo, scrive “ Ma serra l’uscio ben dove tu dormi/Ch’io non ti dessi qualche sergozzone”
Nella quarta edizione del vocabolario (1729-38) gli accademici ci illustrano anche l’etimo, peraltro intuibile, dalla parola, fornendone anche la variante “sorgozzone”: “Per Colpo dato altrui verso il gozzo […] Dalle parti, che si feriscono col colpo della mano, sortirono questi colpi varj nomi, come ec. dal darsi sor, cioè sopra il gozzo, sorgozzoni, e sergozzoni” Sempre nel dizionario della Crusca, lo sporto viene definito con la seguente laconica descrizione, rimasta invariata in tutte le edizioni: “Muraglia, che sporge in fuora dalla dirittura della parete principale”
Lasciando da parte le disquisizioni linguistiche, sappiamo che storicamente Firenze le case “a sporti” si diffondono sin dal secolo X°. Il motivo della diffusione di questo tipo di strutture, presenti prevalentemente nelle case della classi medio basse, mentre più raramente si incontrano nei palazzi, è da ricercarsi nel bisogno di aumentare il più possibile lo spazio interno abitabile, a spese dello spazio pubblico della via, dato che lo spazio a disposizione per erigere le case era solitamente piuttosto ridotto. Più debole appare la teoria di Benedetto Varchi, che nelle sue “Storie fiorentine” (Libro IX) sostiene servissero, al pari degli abiti tipici dell’epoca, per ripararsi dai venti (“…e per questa medesima cagione (i venti, n.d.r.) furono gli sporti delle case studiosamente ritrovati“).
Poiché appunto gli sporti, giuridicamente parlando, portavano un vantaggio ai proprietari a discapito della collettività, dato che toglievano spazio ed aria alle già anguste strade di Firenze – spesso addirittura le pareti degli edifici opposti finivano quasi per toccarsi – furono soggetti ad un’imposta specifica detta “gabella degli sporti”. Di tale imposta troviamo notizia in una provvisione del 24 marzo 1299, da cui si ricava che la tassa ammontava a 4 denari per braccio quadrato in città (circa 0,34 mq) ed a 2 denari per braccio quadrato nel contado.
Giovanni Villani ci informa nelle sue “Historie fiorentine” (libro IX) di come lo stato ricavasse da tali imposte la notevole cifra di 5.550 fiorini l’anno. Ciononostante l’esistenza degli sporti fu sempre considerata negativa da parte del governo fiorentino, che li considerava esteticamente brutti nonché insalubri, dato che toglievano aria e luce alle vie della città. Pertanto a più riprese si cercò di eliminarli o quantomeno di ridurne la diffusione. Molte le leggi emanate in tal senso: ad esempio fin dal 1294 fu vietata la costruzione di sporti nella Via Maggio (Statuto del Podestà, 1324).
Pochi anni dopo fu proibito di edificarne nelle vie nuove, mentre nelle vie preesistenti furono consentiti a patto che non sporgessero più di quelli già esistenti. Il dispotico duca Alessandro de’ Medici inasprì questa “guerra agli sporti”, oramai non più confacenti al gusto estetico del tempo oltre che portatori di insalubrità nelle vie cittadine. Con provvisione del 20 settembre 1532, si proibì di edificarne di nuovi o di restaurare gli esistenti sulle vie principali senza avere ottenuto specifica licenza dagli “Ufficiali di Torre”: «considerato quanta decentia et ornamento resulterebbe nella città vostra quando, maxime nelle vie et strade maestre di quella, le case non havessino sporti, ma fussino tucte diritte per uno filo, et che l’una non occupassi la vista dell’ altra». Tuttavia a quanto pare gli Ufficiali di Torre erano piuttosto “larghi” nel concedere le licenze, specie a chi ben pagava, pertanto gli sporti continuarono a proliferare in città… Perciò il 7 luglio 1540 fu emanata una ulteriore provvisione che proibiva espressamente il restauro e la costruzione di sporti sulle vie maestre, con lo scopo «…di redurre dette vie al tutto nette di sporti in ornamento et decoro di epsa città » (Arch. di Stato Firenze, “Libro della Luna degli Ufficiali di Torre e sui beni dei Ribelli“).
Cosicché gli sporti cominciarono a scomparire dalle vie maggiori, mantenendosi però nei “chiassi” e nelle vie secondarie, dove ancora oggi sono ancora visibili. A puro titolo di esempio citiamo gli sporti in legno e pietra dello stretto Vicolo degli Alderighi, di fronte alla Piazza S. Elisabetta ed alla torre della Pagliazza; quelli in legno di via della Canonica, a due passi dal Duomo, o quelli in pietra in via de’ Cerchi.
Abbiamo detto che gli sporti furono usati principalmente nelle case dei ceti medio-bassi, ma ci sono delle significative eccezioni, tanto che alcuni sontuosi palazzi fiorentini hanno assunto la denominazione secondaria di “Palazzo degli sporti”: ad esempio Palazzo Busini Ugolini tra Via dell’Oriuolo e via Sant’Egidio, che ha sporti in pietra su ambo le vie, o il Palazzo Bartolini Torrigiani, sede dello storico “Hotel Porta Rossa”; ma soprattutto il bellissimo palazzo degli Antellesi in piazza S. Croce, la cui facciata, affrescata nel 1620 da un “team” di dodici artisti diretti da Giovanni da San Giovanni, poggia interamente su una elegante struttura in pietra a sporti, così come i palazzi alla sua sinistra.
Anche alcune vie presero la denominazione di “Via degli sportici” (sinonimo di “sporti”), una su tutte la corta via de’ Michelozzi, che collega via Maggio alla Piazza S. Spirito. La presenza del Palazzo Michelozzi, caratterizzato dagli sporti aggettanti su mensoloni in pietra, le fece guadagnare appunto la denominazione di “Via degli sportici”.
complimenti Enrico
Clara
Grazie Clara!
Bell’articolo su un particolare intuibile ma di cui si sconosceva la provenienza storica.