Nel 1677 il Granduca Cosimo III fece costruire un originale serraglio nel Giardino di Boboli dove furono collocati “rarissimi Animali condotti dalle più remote Regioni…. tanto Volatili, che Quadrupedi racchiusi in diversi spartimenti, e recinti, separati gl’uni dagl’altri, come pure in uno di questi molti di essi animali già morti, quali seccati, e ripieni, appariscono nell’istessa forma, come se vivi fossero“. Luogo di curiosità e diletto, il piccolo zoo era una tappa obbligata durante le feste e le passeggiate, ma anche un privilegiato luogo di studio per scienziati come Francesco Redi e per artisti del calibro di Bartolomeo Bimbi e Andrea Scacciati, importanti pittori di natura morta di età tardobarocca.
Gli animali esotici, che provenivano da ogni parte del mondo, erano stati appositamente catturati per il serraglio oppure ricevuti in dono da sovrani di paesi lontani: uccelli d’ogni tipo in eleganti voliere, cicogne, struzzi, pappagalli, “granbestie feroci” come leoni, puma, linci e ghepardi, insieme a cervi, gazzelle, fagiani, “cani di Spagna”, scorpioni e serpenti. C’era anche una “Stanza delle Scimmie” dove i buffi animaletti affascinavano i visitatori con i loro abili equilibrismi e furbe moine per avere uno spicchio di mela o un biscotto.
Risale al 1655 l’arrivo di un “giovine” elefante africano femmina che doveva deliziare gli spettatori con “varii giuochi” ma che purtroppo morì quasi subito per indigestione e scarso movimento.
Un’altra straordinaria presenza fu un massiccio ippopotamo, forse arrivato in dono dal Viceré d’Egitto, oppure, come sembrano più verosimilmente dimostrare altri fonti storiche, già presente in Boboli fin dal 1677 per il volere di Cosimo III, letteralmente innamorato della sua collezione di animali rari. Leggenda vuole che Pippo – così veniva affettuosamente chiamato – abbia sguazzato per lungo tempo in una grande vasca del giardino, incatenato in cattività, come tristemente testimonia l’impronta di una robusta corda sul suo collo.
Quando morì fu consegnato ad un imbalsamatore perché ne tramandasse ai posteri l’immagine, ma il tassidermista di corte probabilmente non era all’altezza della situazione: ricucì alla bell’e meglio la pelle intorno ad una colata di gesso che simulava la forma originale, si arrangiò nella ricostruzione degli arti e dipinse di rosso acceso la bocca spalancata nella quale spiccavano i temibili denti.
Il “giardino bizarro” continuò ad arricchirsi di nuovi esemplari finché nel 1772, con l’avvento dei Lorena, gli animali furono in parte trasferiti a Pratolino, altri alla menagerie del Belvedere di Vienna ed altri ancora soppressi e destinati al Museo di Storia Naturale della Specola. Nel 1785, il Granduca Leopoldo si disfece definitivamente del bel serraglio e dette ordine a Zanobi del Rosso di trasformare il locale in un raffinato tepidario per gli agrumi che durante l’estate adornano la fontana dell’Isolotto.