A chi di noi non è capitato un brutto sogno? A tutti credo, addirittura taluni di questi sogni si ripetono saltuariamente lasciandoci anche straniti talvolta. Immaginate la situazione estremamente particolare di un sogno che ogni notte si ripete sempre uguale. Notte dopo notte sempre lo stesso sogno.
Questo è ciò che è successo ad un nostro concittadino e lo stesso Cavalcanti lo cita nelle sue Istorie Fiorentine del XV secolo. Giovanni Cavalcanti lo scrive come racconto fattogli da Francesco di ser Conte un medico e uomo molto rispettato e serio.
Veniamo ai fatti. Non è dato sapere il nome dello sfortunato fiorentino ma si sa per certo che viveva in via Ricasoli, che all’epoca si chiamava via del Cocomero; altra cosa certa è che ogni notte sognava un leone che gli mordeva una mano e che a causa di questo morso moriva. Un sogno che ripresentandosi ogni notte aveva indotto il fiorentino a far malattia di questa situazione. Non sapeva più come uscirne, stava vivendo nel terrore.
Una mattina giunto in piazza Duomo, davanti alla Porta di Balla o dei Cornacchinidei l’occhio gli cadde sui leoni che alla destra e alla sinistra della porta ne sorvegliavano artisticamente l’ingresso. Decise che il sogno doveva fare il suo corso. La maniera per vincere questa situazione era esorcizzarla. Ovvio che non poteva certo confrontarsi con un leone vero, ma i leoni in pietra a guardia della porta potevano essere adatti allo scopo.
Deciso attraversò la strada e direttosi verso il leone alla destra della porta, quello con la bocca aperta, cacciò tutta la sua mano dentro la bocca. Per il fiorentino fu sicuramente uno sforzo psicologico notevole, ma sapendo che il leone era inoffensivo nulla lo trattenne.
Il sogno si compì davvero, fece il suo corso ma in maniera inaspettata per il fiorentino. Il leone morse la sua mano. In senso figurato naturalmente dato che nella realtà fu uno scorpione, nascosto all’interno della bocca del leone, a pungerlo. La cosa incredibile è che raramente uno scorpione nostrano porta alla morte un uomo punto, ma in quel caso il veleno unito forse la paura dell’uomo ne provocò la morte.
Il Cavalcanti conclude il suo racconto con “Il sogno fu vero profeta” e noi rimarchiamo che “il destino è quel che è, non c’è scampo ormai per me“.