San Giovanni Gualberto visse in un periodo davvero ambiguo, in cui la religione aveva un ruolo centrale sia nella vita sociale che in quella politica. Spesso la vocazione viene sottomessa agli interessi terreni, i titoli ecclesiastici vengono comprati a suon di monete d’oro e poco c’entra la rettitudine morale.

Si trattava del Medioevo.

Coloro però che erano animati dalla vera fede cristiana non potevano soggiacere a questa mercificazione e San Giovanni Gualberto, fondatore dell’ordine vallombrosano, fu uno dei più strenui difensori dei valori della Chiesa.

Quando trovò la vocazione si ritirò a vita monacale nell’Abbazia di San Miniato, pensando di essere in quel luogo al riparo da tutte le tentazioni e contaminazioni del mondo esterno. In realtà si sbagliava di grosso e non impiegò molto tempo ad accorgersene. Anche l’abate Uberto, a capo della sua comunità religiosa, era accusato di simonia, per aver comprato la propria carica.

A San Giovanni Gualberto non rimase altra scelta che ritirarsi in un luogo sperduto, tra i boschi di Vallombrosa, ma non fu una resa, tutt’altro.

A Vallombrosa godeva della sufficiente “distanza” dalle cose del mondo, ma non mancava il modo di avere notizie. Quando a Firenze venne eletto Vescovo Pietro Mezzabarba, corrompendo l’elettorato con una enorme bustarella, Giovanni lo seppe e prontamente, assieme ai suoi monaci, cominciò a girare per le piazze cercando di aprire gli occhi ai fiorentini su chi fosse realmente il loro vescovo, tentando di farlo spodestare.

Mezzabarba non reagì bene e fece assaltare il monastero vallombrosano di San Salvi per uccidere Giovanni che in quel periodo si trovava lì e spaventare sia i monaci che il popolo che cominciava a rendersi conto della realtà. Quando però i prezzolati del vescovo dettero l’assalto, San Giovanni era già partito per Vallombrosa e il risultato fu che i fiorentini si schierarono ancora di più dalla parte dei monaci.

San Giovanni Gualberto a quel punto interpellò papa Alessandro II e per dimostrare le accuse che muoveva nei confronti del vescovo, propose di fare una prova del fuoco. Il Papa non era molto d’accordo, ma il popolo di Firenze chiedeva questa dimostrazione a gran voce e Alessandro II fu costretto ad accettare.

 

Migliaia di fiorentini il 13 febbraio 1068 si riunirono alla Badia a Settimo, luogo scelto per la prova, per assistere all’evento. Si offrì volontario per passare tra le fiamme il monaco Pietro, seguace di Giovanni. La folla lo vide passare incolume tra i falò ed i carboni ardenti e non soltanto, tornò anche indietro per raccogliere un indumento che gli era caduto.

Fu chiaro a tutti che il vescovo era simoniaco e doveva essere destituito del suo incarico, la volontà divina si era manifestata esplicitamente. Il Mezzabarba, dopo essere stato rimosso dalla carica di vescovo ed avere perso ogni avere ed ogni credibilità, si pentì di quanto aveva fatto e passò il resto della sua vita in meditazione nel monastero di Vallombrosa.

Pietro, a cui tutti ormai avevano affibbiato l’appellativo di “Igneo” (del fuoco), divenne vescovo e poi fu fatto santo. Ogni anno, a Badia a Settimo, vicino Scandicci, viene fatta la rievocazione di questo evento.

Gabriella Bazzani

   

Pietro Igneo e la prova del fuoco.

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