Via Vittorio Alfieri è dedicata al noto drammaturgo, poeta, scrittore e autore teatrale. Di origini piemontesi (Asti, 16 gennaio 1749) era talmente legato a Firenze che ci morì l’8 ottobre 1803.
Via Vittorio Alfieri va da piazza Donatello a piazza d’Azeglio costeggiando il giardino stesso. Rientra di buon grado nel quartiere della Mattonaia. La strada non è molto lunga ma si caratterizza per palazzine, villini e casamenti di signorile fattura. Ricordiamo il villino Carcasson, al n° 5, nato da un progetto dell’ingegnere Enrico Carcasson, realizzato nel 1903 e assunto come residenza dal suo stesso progettista.
Vittorio Amedeo Alfieri nacque dal conte di Cortemilia Antonio Amedeo Alfieri e Monica Maillard de Tournon e fu un bambino molto sensibile, vivace, solitario e insofferente alle regole.
L’Alfieri fu un precursore delle inquietudini romantiche, successivamente ad una giovinezza piuttosto inquieta caratterizzata da viaggi privi di meta si dedicò con passione alla lettura e allo studio di Plutarco, Dante, Petrarca, Machiavelli ed anche degli illuministi come Voltaire e Montesquieu. La visione razionalista e classicista ottenuta lo resero un anti tirano e romanticamente in favore della libertà quale modo di esaltare il genio di ognuno.
Nei suoi anni fiorentini, visse per lungo tempo sul Lungarno Corsini, ebbe una storia d’amore con Luisa di Stolberg-Gedern (contessa d’Albany) e moglie di Charles Edward Stuart. fu in quel periodo che realizzo le opere di “Virgilio”, terminò il trattato “Del Principe e delle lettere” e il poema in ottave “L’Etruria vendicata”. La sua relazione con una donna sposata rischiava di finire come quelle avute in precedenza ma lo Stuart non fece scoppiare lo scandalo e si limitò a sfidare il poeta a duello. In seguito Charles Edward Stuart, ormai alcolizzato, aggredì la moglie tentando di ucciderla, questo permise alla stessa, con l’avallo del governo granducale, di abbandonare il marito. Si rifugiò a Roma presso il convento delle Orsoline dove in seguito fu raggiunta dall’Alfieri.
Dopo un periodo di fertile lavoro che portò a svariate opere la sua salute cominciò a minarsi, oltre ad attacchi di gotta e artrite fu colpito da una febbre gastrointestinale e poi da un disturbo renale derivato dalla gotta stessa. Sembrò superare il problema ma alcuni giorni dopo peggiorò. Riuscì a far chiamare la contessa d’Albany, a cui aveva lasciato i suoi beni per testamento, e poco dopo, seduto sul letto, si accasciò e non riprese più conoscenza. Morì a Firenze l’8 ottobre 1803 all’età di 54 e fu sepolto in Santa Croce in una tomba monumentale del Canova.