Adriano Cecioni nacque a Fontebuona (Vaglia) nel 1836.
Studiò all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Come altri suoi amici pittori interruppe gli studi per partecipare alla seconda guerra d’Indipendenza, con il secondo battaglione dei bersaglieri toscani.
Al suo ritorno, nel 1860, partecipò al concorso Ricasoli e il suo bozzetto per un monumento a Carlo Alberto ottenne un premio, ma l’opera, che doveva essere collocata in piazza S. Maria Novella, non fu mai realizzata.
L’assegnazione, nel 1863, di una borsa di studio dette al Cecioni il diritto di risiedere e studiare a Napoli dove animò la famosa scuola di Resina con De Nittis, De Gregorio e Rossano.
Qui il nostro incoraggiava i giovani pittori a seguire il programma già patrimonio dell’avanguardia fiorentina e cioè lo studio diretto della natura “en plein air”. In realtà, la scarsa opera pittorica del Cecioni rappresenta quasi sempre scene di vita domestica e quindi di interni e i dipinti eseguiti con meticolosità sono di piccole dimensioni.
Tornato a Firenze, nel 1867, presentò all’Accademia come prova finale della borsa di studio, un modello in gesso intitolato “Il suicida”. L’ispirazione gli era venuta da una poesia di Leopardi, ma, il lavoro tecnicamente perfetto (Galleria di arte moderna a Palazzo Pitti) suscitò una ingiustificata reazione nei giurati dell’Accademia che negarono il sussidio governativo per la realizzazione in marmo dell’opera.
Nacquero molte polemiche in seguito a questa decisione e ci fu, fra artisti e letterati, una raccolta fondi per realizzare la scultura; purtroppo la somma ricavata fu insufficiente e non si raggiunse lo scopo.
In seguito, il Cecioni, visto che il suo lavoro non otteneva riconoscimenti che gli permettessero di vivere dignitosamente a Firenze, decise di trasferirsi a Parigi ospite di De Nittis che stava avendo un discreto successo. Fu incoraggiato a quel passo perché un suo gruppo in gesso “Il bambino col gallo” realizzato con i fondi della raccolta per Il Suicida ebbe in Francia un immediato successo; ne fu ordinata una copia in marmo e un ricco americano acquistò il diritto di riproduzione in bronzo.
Tuttavia, l’ambiente artistico parigino non si confaceva al Cecioni che fra tutti gli artisti salvava solo il Courbet per la sua sincerità. Anche il rapporto col De Nittis risentì del suo stato d’animo insofferente per la superficialità di quel mondo.
Tornò a Firenze ma la perdita della figlioletta e le difficoltà economiche poterono solo aumentare la sua infelicità.
Fu di nuovo a Parigi e poco dopo si trasferì a Londra dove lavorò come caricaturista per il periodico Vanity Fair; lì rimase per un anno con una certa tranquillità economica.
Nel 1873 lo troviamo di nuovo a Firenze a dirigere con Signorini il “Giornale Artistico”.
Come critico d’arte il Cecioni fu attivo fin dal 1869. I suoi scritti sono spesso polemici e non privi di risentimento; spesso afferma che i critici e i letterati non sono “adatti” a giudicare l’arte visiva che solo un artista può davvero comprendere. Infatti, nel 1880 presenta all’Esposizione Nazionale di Torino il gruppo scultoreo in gesso “La Madre” e nonostante l’apprezzamento di molti, fra i quali il Carducci, l’opera non ebbe lusinghiere critiche in certi ambienti e ciò contribuì non poco a esasperare il Cecioni.
Nel 1883 ebbe però la soddisfazione di vendere alla Galleria d’Arte Moderna di Roma una versione in bronzo del gruppo scultoreo conosciuto come l’Incontro per le scale. Nel 1884 finalmente si alleggerirono i problemi economici del nostro con la nomina di Maestro di disegno al Magistero di Firenze.
La sua morte fu repentina e precoce. Il Carducci ci ha lasciato il suo epitaffio: “Adriano Cecioni – operatore e giudicatore superbo – tardi conosciuto dai più – sempre amato dai buoni – non dalla fortuna – nato 1836, morto 1886”