Non tutti sanno che Firenze, a partire dall’inizio del diciannovesimo secolo, deve gran parte della sua “fama”, a livello mondiale, alla comunità inglese che la elesse a capitale artistica del mondo. Una colonia che ha avuto tra i suoi grandi “residenti” Elizabeth Barret Browning ed il marito Robert che nella loro casa di in via dei Serragli, avevano dato vita ad uno dei più importanti salotti letterari. I fiorentini li chiamavano “anglobeceri” per il buffo modo di parlare fiorentino o toscano “unito” al loro accento anglosassone. Usando la stessa ironia, più tardi, intorno agli anni 30 del ventesimo secolo, avrebbero soprannominato “Scorpioni” un gruppo di eccentriche signore inglesi che vivevano a Firenze, forse colpevoli di punzecchianti espressioni non sempre rivolte direttamente
Questo articolo come altri, rappresenta la continuazione del percorso che ho ipotizzato di fare utilizzando il titolo Metti una sera a cena, preso in prestito da un film degli anni 60, come premessa agli articoli che di volta in volta mi porteranno a raccontare sia il passato che il presente, perché credo che la convivialità possa rappresentare aspetti di amichevoli disquisizioni tranquillamente seduti ad una tavola con amici reali o virtuali, disquisizioni che oltre al cibo, potranno spaziare in altri settori di “varia umanità” come teatro, pittura, fotografia, sport, ecc.
Metti una sera a cena parlando di Anglobeceri e Scorpioni
Antipasto toscano e bistecca, purtroppo virtuale, da condividere con Alessandro Augier, che nel tempo è stato giovane direttore di importanti alberghi (Grand Hotel Minerva di Firenze, Principe di Piemonte di Viareggio, ecc.), docente di marketing turistico, attuale consulente di broker Internazionali ma, soprattutto, fraterno amico. Il tema da trattare sembrava essere anche “divertente” e ve ne faccio partecipi. GRAND TOUR Il primo ad usare questa espressione fu Richard Lassels nella sua pubblicazione An Italian Voyage del 1670, data che viene indicata come nascita del termine Turismo. Senza niente togliere ai viaggi ed ai viaggiatori del passato possiamo ipotizzare che la pacifica invasione degli Inglesi nella nostra città abbia avuto inizio e sia chiaramente proseguita nel tempo con il Grand Tour, un viaggio che i giovani aristocratici non solo anglosassoni organizzavano per accrescere ed ampliare la loro formazione culturale, per conoscere arte, storia, politica, nelle nazioni dell’allora Europa Continentale. Questo viaggio poteva durare da pochi mesi fino a svariati anni. Le destinazioni principali erano la Francia, l’Olanda, la Germania, ma la destinazione privilegiata era soprattutto l’Italia per il suo immenso patrimonio artistico, Roma in primis. Ma nell’Ottocento fu Firenze a suscitare un crescente arrivo di giovani attratti oltre che dai capolavori, dai monumenti, dalle chiese, anche dalle possibilità di vivere nel lusso con minor spesa rispetto alla madrepatria, grazie alla mitezza di un clima che poteva essere grado di rendere più lievi le varie malattie polmonari di quell’epoca, asma e tubercolosi, ed anche per i buoni affari che si potevano concludere esportando “arte” ed artigianato locale. E, su questa opportunità si ricordava un vecchio concetto che “…gl’inglesi si portano via raramente roba di valore perché gl’italiani se ne disfano il meno che possono. Loro sono degli intenditori che vendono a gente che non lo è. Un italiano venderebbe piuttosto la moglie in originale che non un originale di Raffaello.“
Il Grand Tour un “rito maschile”?. La risposta è SI, considerando le caratteristiche di questo viaggio, rapportato alla morale ed alla condizione femminile dell’epoca. Le donne vi potevano partecipare solo come componenti della famiglia. A parte le icone della emancipazione femminile, chiaramente slegate a qualsiasi convenzione o critica, attrici, scrittrici, poetesse, ecc., solo più tardi, nel ventennio del secolo scorso, il viaggio divenne alla moda anche per le donne giovani. Un viaggio in Italia sotto la stretta vigilanza della zia nubile o della governante di fiducia adeguatamente responsabilizzata, faceva comunque parte della formazione delle giovani donne di un alto ceto sociale. Anche con queste caratteristiche di semi libertà rispetto ai giovani maschi, era comunque considerata una esperienza degna di essere vissuta anche perchè rappresentava, per le donne che “potevano” organizzarlo una forma di liberazione personale e, nei limiti, anche di indipendenza.
E’ comunque opinione comune che sia il Grand Tour che i successivi viaggi delle giovani donne siano stati alla base di quelle comunità di stranieri che nel tempo si sono insediati in permanente residenza nelle nostre regioni, nelle nostre città, a Firenze. Oggi, basta ricordare il Chiantishire, meta di soggiorno o luogo abituale di residenza di sempre più numerosi cittadini inglesi!
Un attimo di pausa in attesa della bistecca, un sorso dell’ottimo rosso consente al mio omonimo compagno di cena a ricordare e ricordarmi di almeno due dei più conosciuti, importanti e famosi “anglobeceri”. Si, perché nella storia di questi inglesi c’è anche cultura ed imprenditorialità!!
Come non definire fiorentina di adozione la poetessa Elizabeth Barrett Browning, che scelse Firenze come sua residenza dopo esser fuggita dall’Inghilterra insieme al marito, il poeta Robert Browing, segretamente sposato contro la volontà del padre. Arrivata nel 1846 a Firenze visse in una casa di via dei Serragli a pochi passi da palazzo Pitti, scrivendo versi appassionati a favore della causa rinascimentale e ricevendo nel suo salotto, intellettuali e artisti dell’epoca. Mori all’età di 54 anni, nel 1861 per l’aggravarsi di una malattia l’aveva rese invalida nel 1838..È sepolta al Cimitero degli Inglesi di Firenze.
E fiorentino possiamo anche considerare l’altro “anglobecero”, culturalmente meno conosciuto, un certo Henry Roberts, chimico farmacista che intorno al 1840 si stabilisce a Firenze. Non si limita ad ammirare panorami od a gustare buoni piatti e buon vino ed apre, nello stesso anno, in via Tornabuoni, il “Laboratorio farmaceutico H. Roberts & Co. English and American Chemist and Druggist”. Produce, tra l’altro, prodotti come creme e lozioni per capelli e trattamenti per il viso. Nel 1867, il marchio è ancora esistente, inizia a commercializzare l’Acqua alle rose e, visto che gli affari vanno a gonfie vele, nel 1878 introduce sul mercato quello che ha chiamato “boro talcum” e che incontra subito il favore dei clienti. Una polvere bianca, profumata, impalpabile che lo slogan “Se non è Roberts non è Borotalco” difenderà dalle successive, molte, imitazioni.
L’anno seguente nel 1879, Henry Roberts muore. Non muore l’azienda: il successore, anche lui farmacista ed inglese, Alfredo Houlston Morgan, trova un socio, un fiorentino, Lorenzo Manetti, creando una società che porterà il nome dell’italiano e quello del fondatore: nasce la Manetti e Roberts. A partire dal 1904 il borotalco venne commercializzato in un barattolo di latta verde con il marchio Roberts, e successivamente in un barattolo di plastica sempre di colore verde. Problemi economici, nel 1992, hanno reso opportuno il passaggio ad una multinazionale, con il prodotto che venne chiamato Borotalco Roberts. Dagli anni la commercializzazione avviene con il solo marchio Borotalco.
GLI SCORPIONI Con questo nomignolo sicuramente ironico i fiorentini avevano definito un gruppo di signore della comunità inglese che intorno agli anni 30 del novecento abitavano a Firenze. Non più giovani, eleganti e snob si ritrovavano abitualmente per le occasioni più varie. “Tremende” nei loro commenti e nelle loro critiche pungenti non sempre espresse “direttamente”, avevano scelto di vivere in Italia, a Firenze in particolare, affascinate dalla cultura e dall’arte. Trascorrevano il loro tempo visitando monumenti, ritrovandosi poi al Gran Caffè Doney, in via Tornabuoni, locale frequentato anche dagli altri residenti inglesi. Vivevano nel loro mondo, non avevano mai avuto interesse a parlare l’italiano e si riconoscevano mentre girando per le strade del centro si riparavano snobisticamente sotto i loro grandi ombrelli.
Zeffirelli le ha ricordate nel suo film, considerato autobiografico con sincero affetto e gratitudine. “… Queste signore mi hanno aiutato a capire la mia città, la mia cultura e la mia educazione. Mi hanno insegnato la loro lingua che mi ha molto favorito nella mia professione. Mi hanno portato a vedere le cose con occhi nuovi e freschi. Non dimenticherò mai come hanno contribuito alla mia crescita…” Selvaggiamente eccentriche e appassionatamente innamorate di Firenze e della sua arte, queste donne vengono considerate dallo stesso Zeffirelli la parte più importante della sua infanzia di “bambino” ‘illegittimo.
Per evitare di tirare tardi contravvenendo alle norme governative, siamo virtualmente usciti dal ristorante Tullio di Montebeni, facendo ritorno velocemente a Firenze. Un abbraccio sempre virtuale ad Alessandro Augier, lasciandoci con la promessa, speriamo presto, di una nuova ma reale cena insieme.
Elisabetta Barret e il marito Robert Browning non abitavano in via dei Serragli, ma in Casa Guidi di via Maggio.
Interessante davvero questa stroria che ha raccontato, soprattutto quella che riguarda il Borotalco. Non sono d’accordo sul “vecchio concetto”, come l’ha chiamato che un italiano venderebbe piuttosto la moglie….. Il Signor Alessandro Augier invece, mi ricorda qualcosa… é stato un allievo dell’istituto alberghero di Firenze?
La ringrazio dei complimenti. Si, il signor Augier è stato un allievo ed anche, successivamente, docente.
Le racconti. Il direttore ne sarà sicuramente felice ed interessato. Ed io lo stesso visto che ho stimolato questo suoi ricordi.
Quante ne avrei da raccontare sull’argomento! I miei nonni paterni erano il cuoco maggiordomo e la governante dello scrittore inglese Reginaldo Turner il quale, negli anni 20/30 radunava nella sua casa fiorentina tutta la crema intellettuale inglese.