PRIMA PARTE GLI INIZI
Coautore degli Ordinamenti di Giustizia e autore della famigerata “la cerna di Messer Baldo”, la lista degli sbanditi a cui è concesso di rientrare in Firenze come pacificazione, per la calata dell’Imperatore Enrico VII, dalla quale è escluso Dante Alighieri, che si è giocato il ritorno a Firenze con le sue lettere dirette all’Imperatore Enrico. La famiglia di Baldo d’Aguglione, proveniva dal contado, precisamente dal castello posseduto in Val di Pesa chiamato d’Aquilone (Aguglione, o Agulione, scritto in forma antica). Non è nota l’epoca nella quale si sono inurbati. Erano Ghibellini e nel 1268, al ritorno dei Guelfi dopo la battaglia di Benevento furono banditi da Firenze: il padre Guglielmo e il fratello Puccio. Non si conosce l’anno di nascita di Baldo e se a quell’epoca potesse avere autonome decisioni politiche.
La sua partecipazione alla vita politica fiorentina, inizia nel gennaio del 1293, quando essendo Guelfo e giurista, viene incaricato dal nuovo ceto politico dirigente alla stesura degli “Ordinamenti di Giustizia” con la decisa spinta del Priore Giano della Bella, insieme ad altri giuristi: Messer Alberto di Donato Ristori, e Messer Ubertino degli Strozzi. Questa legislazione anti magnatizia stabilì il loro allontanamento dalla vita politica, con il definitivo passaggio del potere alle Corporazioni artigiane, delineando una nuova struttura comunale destinata a durare nel tempo. Baldo aveva studiato a Bologna, dove godeva di una buona reputazione come giurista e politico. In Firenze faceva parte della potente Arte dei Giudici e Notai, prevalente per fama sulle altre Arti.
La potenza dell’Arte dei Giudici e Notai, si nota negli Ordinamenti di Giustizia, dove si trova scritto il desiderio dei legislatori di salvaguardare l’Arte dalle intromissioni dei giuristi stranieri, vietando la loro iscrizione, indicandoli come cattivi interpreti delle Leggi fiorentine. Con questo divieto volevano dimostrare il desiderio di avvicinare i giuristi al popolo, dal quale erano condannati, per il rigoroso attenersi alle leggi, ed emettere sentenze e decisioni con parole incomprensibili alla massa dei cittadini. Baldo, è citato in un documento del 1293 come testimone, del sindacato dei Magistrati di Poggio Bonizio (Poggibonsi). Nel dicembre del 1294, come appartenente al Sesto di San Piero, venne eletto fra i quattordici “arbitri” deputati a riformare la legislazione fiorentina. La riforma venne suggerita da Giano della Bella, per adeguare la legislazione agli Ordinamenti di Giustizia, per toglierla alla faziosa interpretazione dei Giudici, chiamati da Dino Compagni “maladetti Giudici”.
Gli affiliati dell’Arte in un primo momento, sostennero Giano nella sua opera riformatrice, per il loro interesse, essendo desiderosi di accedere agli uffici comunali, per abbandonarlo in seguito per rivolgersi ai magnati. Dino Compagni, facendo parte della commissione riformatrice in qualità di “arbitro” alla nuova stesura degli Ordinamenti di Giustizia, nella “Cronica” racconta come cinque “arbitri” fra i quali si trovava Baldo, fossero d’accordo con i magnati e rappresentanti della Parte Guelfa, nemici del capo del governo popolare.
Nel bimestre 15 aprile 15 giugno 1298, Baldo venne eletto Priore, fu incaricato nello stesso anno di mediare la pace fra Bologna e gli Estensi, sempre nel dicembre nella piazza antistante la chiesa di Santa Reparata in Firenze, partecipò come testimone alla ratifica di un primo accordo fra i contendenti. Bonifacio VIII avocò la disputa fra le due città per comporla definitivamente. Firenze nel settembre, inviò a Roma una ambasceria per seguire l’evolversi delle trattative. Di questa ambasciata faceva parte Baldo d’Aguglione come premio per essersi speso nel cercare un accordo. Il Compagni a seguito di questa ambasceria ne tessé le lodi, presentandolo come “Giudice sagacissimo”, mentre l’Anonimo fiorentino ne parla come “pessimo Giudice Ghibellino antico”.
Un’ombra suo operato di Giudice, si trova quando il Podestà trevisano Monfiorito da Coderta di Treviso, strumento dalla fazione donatesca, durante il suo mandato, per i suoi soprusi, venne esonerato dalla carica e mandato a processo. Sotto tortura, il Podestà, rivelò molti suoi misfatti, che implicavano cittadini influenti, fra loro si trovava Nicola Acciaioli, ragguardevole esponente della borghesia al potere. Sempre il Compagni ne parla con questa frase “della ragione torto e del torto ragione, come a loro paresse”. L’Acciaioli si era macchiato di falsa testimonianza, eletto priore per il bimestre 15 agosto 15 ottobre, su consiglio del sodale, Baldo approfittando della sua carica si fece consegnare dal Notaio, il registro dove era trascritta la confessione del Monfiorito, dalla quale d’Aguglione rasò la parte compromettente per il suo cliente.
Sembra che l’ambasceria ad Anagni presso Bonifacio VIII, alla quale partecipò Baldo, fosse un premio per quanto fatto a favore dell’Acciaioli. Quando scadde la carica di Nicola, venne scoperto quanto era stato fatto in favore del Priore. Fu intentato un processo contro i due Giudici, che si risolse in una multa di 3000 lire per l’Acciaioli e una multa di lire 2000 per il contumace d’Aguglione, più il confine per la durata di un anno. Ma il Baldo non rientrò in Firenze, preferendo rimanere al Anagni sotto la protezione del Pontefice. Dante ricorda questo episodio nel Canto del Purgatorio nella Divina Commedia, dicendo che un tempo i “quaderni”, non rischiavano di essere falsificati da Magistrati corrotti. Della falsificazione ne parla nel Canto del paradiso il suo antenato Cacciaguida, ricordando i tempi in cui “il sangue dei fiorentini non si era mischiato con gente venuta da fuori i confini, e non dover sentire il puzzo del villan d’Aguglione, di quel da Signa/che già per barattare ha l’occhio aguzzo!”.
La riabilitazione di Baldo con il ritorno a Firenze avvenne nel 1300, quando fu scelto come arbitro in una controversia patrimoniale tra Corso Donati e sua moglie Tessa, contro Giovanna vedova di Ubertino da Gaville, madre della stessa Tessa, con in ballo una dote di 6000 fiorini. Nella disputa oltre agli Ubertini si unirono i Cerchi, nel tentativo di impedire a Corso di incassare tale somma. Questa intromissione dei Cerchi non fece altro che acuire l’odio fra loro e i Donati. Giovanna per la storia della dote, era stata processata e condannata al carcere dal Podestà Monfiorito. Ma dopo la condanna di lui per corruzione, venne riaperta la disputa, e portata nuovamente in discussione davanti a due Giudici, uno dei quali Baldo era reduce da un processo nel quale era stato condannato per falso in atti pubblici.