Stampato a Firenze e pubblicato nel 1840, “Carteggio inedito d’artisti dei secoli XIV, XV, XVI“ è una raccolta di documenti storici, lettere ma anche decreti di antiche repubbliche e “cadenti municipi“, ritrovati negli archivi, poi scelti e testo dei quali quindi pubblicato dallo storico dell’arte tedesco Johannes Gaye ( Tönning, 8 novembre 1804 – Firenze, 26 agosto 1840 ), con l’intento di “chiarire maggiormente l’unità, la quale fra le arti e fra la storia politica ha necessariamente in ogni tempo esistito ”, testimonianza veritiera del rapporto tra coloro che detenevano il potere politico in quei secoli e gli artisti, a volte maestri straordinari come Michelangelo Buonarroti e Leonardo da Vinci.
(N.d.R. LINK dell’intero carteggio per consultazione)
Conteso tra milanesi e fiorentini, tre lettere, la numero XXXII, la XXXIII e la XXXIV pubblicate nel secondo volume del “Carteggio” da pagina 86 nell’edizione presa in considerazione dal sottoscritto, raccontano un episodio importante della vita di Leonardo e quanto il genio fosse amato da alcuni e detestato da altri.
Sono i tempi del ritorno a Milano, soggiorno di pochi mesi per Leonardo, su invito di Carlo II d’Amboise (Chaumont-sur-Loire, 1473 – Correggio, 1511), preludio di un rapporto importantissimo con un altro Re di Francia, Francesco I e del trasferimento a Cloux nei pressi del castello reale di Amboise.
Con le lettere XXXII e XXXIII del 19 e 18 agosto 1506 e indirizzate alla Signoria di Firenze, Gioffredo Caroli (nel documento pubblicato dal Gaye si legge Iafredus Kardi) Vicecancelliere del Ducato milanese, proprio all’indomani della nomina dell’artista toscano ad ingegnere e pittore di corte da Re Luigi XII (Blois, 27 giugno 1462 – Parigi, 1º gennaio 1515), chiede alla signoria di Firenze il permesso di trattenere Leonardo a Milano “per fornire certa opera, che li habiamo facto principiare“, “de prolungare lo tempo che hano dato ad esso Mro. Leonardo per dì, nonostante la promessa per lui facta“, “et che per questo non incorra pena alcuna“.
Il tono della missiva, quasi una preghiera, è il linguaggio formale proprio di quei diplomatici, una cortese richiesta alla quale sarebbe davvero stato difficile non dare seguito, richiesta che probabilmente avrà anche meravigliato i destinatari politici fiorentini d’inizio cinquecento avvezzi ad altro genere di contese diplomatiche che poco ebbero a che vedere con le arti e gli artisti di quegli anni.
Gioffredo Caroli purtroppo non specifica di quale genere di impresa fosse stato incaricato al tempo Leonardo da Vinci a Milano.
Pier Soderini (Soderini Piero di Tommaso, Firenze 1452 – Roma 1522) dal 1502 Gonfaloniere a vita della Repubblica di Firenze, proprio a seguito di quella richiesta , il 9 di ottobre del 1506 risponde al Vicecancelliere milanese ed il testo di quella lettera, la numero XXXIV del “Carteggio”, è di grande interesse storico non solo perché racconta al meglio un momento importante della storia e dell’arte fiorentina ma anche perché tratteggia le personalità ed anche alcuni sentimenti dei protagonisti di quelle vicende, ovvero il più importante Magistrato fiorentino e l’artista più conteso e noto del tempo, il Maestro più grande anche dei tempi che verranno dopo.
“Anchora ciscusa la S.V. in concordar un dì Leonardo da Vinci, il quale non si è portato come doveva con questa Repubblica; perché ha preso buona somma di denaro e dato un piccolo principio a un’ opera grande doveva fare, et per amore della S.V. si è conportato già da delatore. Desideriamo non essere ricerchi di più, perché l’opera ha ad satisfare allo universale, et noi non possiamo senza nostro caricho fare più sostenere…”.
Una grande somma di denaro riscossa da Leonardo come provvigione per un opera che egli mai portò a termine, una mancanza imperdonabile ed una scorrettezza nei confronti della Repubblica di Firenze che Pier Soderini non esitò a riferire al Caroli con quella lettera di risposta, terribili referenze, le peggiori possibili, commiato e buonuscita da parte della Repubblica toscana.
L’opera in questione è il dipinto murale “La Battaglia di Anghiari”, capolavoro di cui si è perduta ogni traccia e commissionata all’artista di Vinci per espresso volere dei fiorentini tutti proprio dal Gonfaloniere nel 1503. Leonardo iniziò a dipingere su di una parete del Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, all’epoca Sala del Consiglio Maggiore, un grande dipinto che celebrava l’importante vittoria militare della Repubblica di Firenze contro l’esercito del Duca di Milano, battaglia combattuta il 29 giugno 1440 nella piana di Anghiari oggi in provincia di Arezzo e gioiello dalla valle del Tevere. Un’altra parete della Sala del Consiglio Maggiore venne dal Soderini riservata invece ad un altro straordinario artista di quei tempi, Michelangelo Buonarroti (Caprese, 6 marzo 1475 – Roma, 18 febbraio 1564) affinché egli dipingesse un’altra scena di un’altra impresa militare di Firenze contro Pisa, la Battaglia di Cascina combattuta il 29 luglio 1364.
Per la propria opera Leonardo da Vinci scelse l’encausto, una tecnica di pittura in uso presso gli antichi e che prevedeva l’utilizzo di grandi bracieri da porsi a ridosso del muro per asciugare, consolidare e fissare la pittura.
Giorgio Vasari (Arezzo, 30 luglio 1511 – Firenze, 27 giugno 1574) nella biografia di Leonardo da Vinci de “Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori” racconta al meglio ciò che accadde e come si concluse l’ardito esperimento : “ …Dicesi che per disegnare il detto cartone fece uno edifizio artificiosissimo, che stringendolo, s’alzava, et allargandolo, s’abbassava. Et imaginandosi di volere a olio colorire in muro, fece una composizione d’una mistura sí grossa, per lo incollato del muro, che continuando a dipignere in detta sala, cominciò a colare, di maniera che in breve tempo abbandonò quella…”.
Pier Soderini nella lettera del 9 ottobre del 1506 non fa menzione al Caroli di quelle “colature” e dello stato della “Battaglia di Anghiari” di Leonardo, forse l’opera non era poi così compromessa e forse agli occhi del politico quei difetti sembravano dettagli correggibili ma è invece facile comprendere che sarebbero state quelle le peggiori referenze riferibili, la cronaca di un presunto fallimento del Maestro più grande e più conteso.
Importantissimo ciò che invece il Gonfaloniere fiorentino scrive in merito alle dimensioni del dipinto che il Maestro aveva quasi abbandonato, parole che dovrebbero essere tenute in forte considerazione da quegli storici dell’arte e da quegli studiosi che ritengono possibile che l’opera si celata in qualche luogo di Palazzo Vecchio ma che ostinatamente continuano a cercare un dipinto di grandi dimensioni : “dato un piccolo principio a un’ opera grande doveva fare”.
Giorgio Vasari, sempre nella biografia di Leonardo, racconta come andò a finire quella storia: “…Aveva Lionardo grandissimo animo et in ogni sua azzione era generosissimo. Dicesi che andando al banco per la provisione, ch’ogni mese da Piero Soderini soleva pigliare, il cassiere gli volse dare certi cartocci di quattrini, et egli non li volse pigliare, rispondendogli: “Io non sono dipintore da quattrini”. Essendo incolpato d’aver giuntato, da Piero Soderini fu mormorato contra di lui; perché Lionardo fece tanto con gli amici suoi, che ragunò i danari e portolli per restituire, ma Piero non li volle accettare…”.
La nota a seguito della lettera numero XXXIV è da considerarsi un documento storico importantissimo per chi vorrà intraprendere ogni futura ricerca del dipinto di Leonardo.
“ Essendo di somma importanza ogni minuta particolarità che riguardi tal opera e tal uomo “ Johannes Gaye compie una ricerca negli archivi storici dove sono conservati i manoscritti circa gli “stanziamenti agli operai del Palazzo e della Sala del Consiglio” e quella nota altro non è che una lunga lista di voci che si riferiscono ad alcune delle spese sostenute dalla Repubblica fiorentina, compensi agli artisti e pagamenti dei materiali per consentire a Leonardo di portare a compimento la “Battaglia di Anghiari” in un lasso di tempo compreso tra l’ 8 febbraio 1504 al 30 agosto 1505 e per lavori eseguiti prima nella Sala del Papa in Santa Maria Novella a Firenze e poi nella Sala del Consiglio Maggiore, oggi Salone dei Cinquecento.
Falegnami, muratori, cartolai, speziali, commercianti di tessuti, manovali, un camerlengo della dogana, compensi per lavori, servizi e materiali di ogni sorta come l’attrezzatura e gli ingredienti per le pitture usate da Leonardo, ingredienti i quali Tomaso di Giovanni Masini, un garzone, dovrà macinare per la preparazione delle pitture appunto e per cui verrà ricompensato con la cifra di un fiorino d’oro il 30 agosto 1505: bianca alessandrina, bianchetta soda, gesso volterrano, pere greche, olio di lino, spugna veneziana, olio di noce, biaccha e anche cera bianca per appannare certe finestre dei locali dove lavorava il Maestro.
Tra le voci più importanti naturalmente i compensi al Genio di Vinci, diversi pagamenti in lire, fiorini d’oro e fiorini larghi d’oro e anche le provvigioni ai due straordinari aiuti del Maestro, Raffaello d’Antonio di Biagio ( probabilmente trattasi di Biagio d’Antonio da Firenze) e Ferrando Spagnuolo.
Importantissima ai fini di una eventuale ricerca futura del dipinto perduto di Leonardo è anche l’ultima annotazione del Gaye, quella del 30 aprile 1513 quando Francesco di Chappello falegname, venne retribuito con 8 lire per costruire un’armatura di legno per proteggere “le figure dipinte nella sala grande, per difenderle che non sieno guaste”.
La lotta per il potere politico ed economico a Firenze nel XV e XVI secolo ebbe come protagonisti la famiglia de’ Medici da un lato e i sostenitori della Repubblica dall’altro e le fonti storiche raccontano di vicende sanguinose e assassinii, congiure e vendette erano assai frequenti, quasi all’ordine del giorno e accadde che nel corso di quegli anni le due fazioni si avvicendarono più volte alla guida della città. La data di quell’ultimo stanziamento, il 30 aprile 1513, a parere del sottoscritto è molto significativa perché in un momento ben preciso, un contesto storico particolare.
Pochi giorni prima di quella data, il 14 settembre 1512, alcuni soldati mercenari con alla testa il cardinale Giovanni de’ Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico, suo fratello Giuliano ed ad altri membri della casata medicea entrarono a Firenze e due giorni dopo il cardinale Giovanni ed alcuni fedelissimi armati occuparono proprio il Palazzo della Signoria, un vero colpo di stato che reinsedia ancora una volta i Medici sul trono di Firenze: aboliti il Consiglio Grande e quello degli Ottanta e istituiti i consigli dei Settanta e dei Cento, naturalmente controllati dai Medici.
A febbraio del 1513 venne sventata la congiura antimedicea di Pietropaolo Boscoli e Agostino Capponi in seguito giustiziati e l’11 marzo Giovanni de’ Medici ascende al soglio pontificio con il nome di Leone X, ponendo di fatto fine ai tempi della Repubblica.
Vicende importanti per la storia di Firenze si susseguirono in un breve lasso temporale, facile immaginare il caos di quei giorni in città, i timori di vendette e ritorsioni di coloro che parteggiarono per la Repubblica fiorentina erano in effetti assolutamente motivati.
Proprio nei giorni del crepuscolo di quella travagliata esperienza di democrazia e malgrado fossero ben altre le priorità per la città qualcuno ritenne assolutamente necessario che quello che rimaneva al tempo visibile agli occhi dei fiorentini della “Battaglia di Anghiari” di Leonardo da Vinci venisse preservato tanto per la magnificenza di quelle figure dipinte quanto sicuramente anche per il loro messaggio politico simbolico, una vittoria militare di Firenze, una delle più grandi glorie della Repubblica ed impedire quindi che l’opera avesse la stessa sorte dell’arredamento ligneo della Sala del Consiglio Maggiore, distrutto nel 1512 dalle truppe dei mercenari spagnoli che lì si erano acquartierate per insediare di nuovo i Medici al potere.
Chi commissionò al falegname Francesco di Chappello quell’armatura di legno? Furono i partigiani della Repubblica di Firenze oppure fu Giuliano de Medici sincero ammiratore di Leonardo e della sua arte? Probabilmente la risposta a questo quesito è il vero punto di partenza per ogni ricerca della Battaglia di Anghiari di Leonardo da Vinci.
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