La prima è Berta Di Lotaringia, contessa di Arles e marchesa di Toscana, nonché pronipote di Carlo Magno. Si unì in matrimonio con il conte lorense Teobaldo, da cui ebbe quattro figli. Rimasta vedova, nell’887 sposò Il marchese di Toscana Adalberto. Da questa unione nacquero altri due figli Guido e Lamberto che in seguito ereditarono il titolo del padre.
Berta visse a Lucca che allora era la capitale del marchesato, entrò in contrasto con tutti i sovrani dell’epoca tra cui anche il califfo di Cordoba Al Mhuktafi. Per stabilire con lui un’alleanza e porre fine ai dissidi, gli inviò alcuni sfarzosi doni accompagnati da una lettera scritta su della seta bianca. La lettera ancora oggi è considerata un capolavoro dell’arte diplomatica.
Insieme al marito contrastò Berengario impedendogli di essere consacrato re d’Italia. Secondo la donna il titolo sarebbe spettato invece a suo figlio Ugo, nato dalle sue prime nozze.
Alla morte del marito fu fatta prigioniera e portata a Mantova insieme al figlio Guido. Così Berengario, riuscì a farsi incoronare re, ma tutti i feudatari della Toscana si ribellarono rifiutandosi di diventare vassalli di questo sovrano. Alla contesa si schierarono anche il vescovo di Lucca e Pietro II con tutti i canonici della cattedrale. La rivolta permise la liberazione di Berta e Guido, che così rientrarono trionfalmente a Lucca, intanto Guido riceveva la carica di marchese di Toscana.
Ma i propositi di Berta e Guido non si erano spenti, volevano insorgere insieme a tutti i nobili e gli ecclesiastici contro l’odiato Berengario e finalmente far diventare Ugo sovrano d’Italia. Ma Berta non ebbe la soddisfazione di vedere il figlio incoronato, perché morì poco prima che il figlio ricevesse la carica.
Venne dunque sepolta nel duomo di San Martino a Lucca dove ancora oggi è possibile vedere il suo sarcofago che la immortala nella sua bellezza, qualità che accostava ad un carattere determinato, grandi capacità intellettive e diplomatiche, non mancando però di essere sempre pietosa nei confronti di umili e bisognosi.
La seconda donna da ricordare è sicuramente Matilde di Canossa, contessa di Firenze e marchesa di Toscana. Rimase talmente tanto nei cuori di fiorentini che per molto tempo le bambine del capoluogo vennero battezzate sia con il nome di Matilde, che con quello di Contessa, Contessina o Tessa.
Matilde era nata a Mantova nel 1046, era figlia di Bonifacio di Canossa e Beatrice di Lotaringia ed era imparentata con gli Svevi. Portò con se la triste nomina di fattucchiera e porta sfortuna, nomina che si era guadagnata presso la famiglia del primo marito Goffredo il gobbo.
La donna si rifugiò dunque in Toscana, presso la madre Beatrice. Rimasta vedova del suo secondo marito, il marchese di Toscana, ereditava dall’uomo titolo e possedimenti. Quando poi nel 1076 morì anche la madre, Matilde restò sovrana di grandi ed estesi possedimenti, che si estendevano dal Lago di Garda fino al Lazio. Nel frattempo aveva anche ereditato le terre del marito Goffredo, che era morto in un agguato di cui si sospetta fosse la mandante.
Appoggiò Gregorio VII nella lotta contro l’imperatore Enrico IV, in quella che viene ricordata come la “lotta delle investiture”, continuando ad opporsi per tutta la vita contro l’imperatore suo cugino. Quando questi fu costretto a chiedere perdono al papa per ottenere la revoca della scomunica che lo avrebbe privato di tutti i suoi feudi e feudatari, la donna era presente. L’umiliante cerimonia infatti si tenne proprio nel castello di Canossa dove il papa era ospite e dove per tre giorni Enrico IV fu costretto a fare anticamera in ginocchio sulla neve con in dosso le sole vesti di penitente. Proprio da questo fatto nasce il detto “andare a Canossa”, ovvero chiedere perdono in maniera umiliante.
Ma la guerra con l’imperatore Enrico IV non era finita con la revoca della scomunica. Nel 1082 Matilde organizzò la resistenza dei fiorentini contro l’assedio che l’imperatore aveva posto alla città che si rifiutava di essere sua suddita e pagargli una ingente tassa. La contessa diede ordine di rinforzare la cerchia muraria che ancora oggi porta il nome di Matildea. Fece poi costruire il castello d’Altafronte oggi Palazzo Castellani, sede dell’Istituto e Museo di Storia della Scienza, che era situato proprio nell’omonima via di Firenze. Proprio da questo castello si racconta che Matilde facesse boccacce e sberleffi lanciando ingiurie al cugino assediante.
Nel 1088 Matilde sconfisse di nuovo l’imperatore nella battaglia di Sorbara vicino Modena. In questa occasione scese in campo alla testa di una coalizione papale, ai suoi feudatari e agli abitanti di Bologna. Di nuovo nel 1092 assunse il comando di un’altra coalizione stavolta formata da feudatari tosco romagnoli. Anche in questa circostanza combatté in prima fila riportando un’altra vittoria sull’imperatore.
Riuscì poi a liberare e a portare presso di sé la principessa russa Prassede moglie di Enrico IV, che era tenuta segregata dal marito in uno sperduto castello, convincendo la donna a denunciare il marito al Concilio di Piacenza, raccontando tutte le depravate pratiche sessuali a cui il consorte la sottoponeva. Poi si adoperò affinché tutte le corti europee venissero a conoscenza della cosa.
A quarantadue anni nel 1088, Matilde si sposò con il diciannovenne Guelfo di Baviera, al quale aveva mandato una proposta scritta di suo pugno piuttosto audace. Organizzò poi una festa per il matrimonio che sarebbe dovuta durare ben centoventi giorni. Peccato che l’idillio durò poco. Infatti il suo sposo non riuscì ad adempiere ai suoi obblighi coniugali, forse a causa della grande differenza di età. Così Matilde stizzita cacciò il nuovo marito a calci e pugni umiliandolo davanti a tutti. Nuovamente fece sapere a tutte le corti europee della dubbia mascolinità dell’ uomo, tanto che venne ricordato come “Guelfo l’impotente”.
A sessantanove anni nel 1115 Matilde muore, una bella età considerando che non si era mai trattenuta sia nel mangiare che nel bere. La salma fu sepolta prima a San Benedetto Po e poi traslata nel 1633 a Castel Sant’Angelo per poi arrivare a San Pietro dove ancora oggi riposa in un sepolcro scolpito dal Bernini. Sulla sua lapide campeggia il motto “Onore e Gloria d’Italia”.
La terza donna eccellente è una fanciulla fiorentina poco conosciuta, si tratta di Gualdrada, una bella ed attraente ragazza figlia di Bellincion dei Berti un ricco mercante senza discendenze nobili.
Nel 1170 l’imperatore Ottone III che si trovava in visita a Firenze, mentre era nella cattedrale di Santa Reparata, notò questa bellissima ragazza e chiese il permesso di baciarla. Il padre onorato gli diede il permesso, ma la ragazza si oppose stizzita, dicendo che: nessun uomo l’avrebbe baciata a meno che non si fosse trattato di suo marito. Il conte Guido dei Conti Guidi fu talmente colpito dalla virtù e dalla bellezza di questa ragazza, che volle prenderla in moglie. I due si sposarono a San Pier Maggiore. Dalla coppia nacquero cinque figli. Questa unione suggellò anche un altro sodalizio, quello tra la nobiltà di origine feudale e la borghesia mercantile fiorentina alla cui il padre della sposa apparteneva.
In seguito i Conti Guidi erediteranno a Firenze la proprietà dei Berti nel sesto di porta San Pietro. Qui avranno la loro dimora, vicino a quella di tante altre casate nobili, famiglie come i Cerchi, i Donati, gli Adimari e gli Alighieri.
Gualdrada è rimasto uno degli esempi di virtù femminili più famosi di Firenze, tanto che alla donna è stata dedicata una delle stanze di Palazzo vecchio, dov’è raffigurata insieme ad altre donne illustri del passato.
Scusate la mia ignoranza, ma ci sono rimasta molto male a sapere che Ugo di Toscana non era figlio di Matilde, ma di Berta di Lotaringia.
Avevo saputo quel che vi ho scritto da tanto tempo, è per questo che ci sono rimasta male…..
Però Matilde di Canossa doveva essere un bel tipo davvero, intelligente si, ma troppo avida e cattiva per i miei gusti….
Grazie di questo bell’articolo.