Le ‘Stinche’ sono delle antiche prigioni costruite nel 1299 dalla Repubblica fiorentina. Per ereggerle si riciclarono molte pietre di torri e case distrutte nelle varie guerre civili tra clan famigliari, come quella della famiglia Uberti, i ghibellini cacciati dopo la battaglia di Benevento.
Nel 1304 furono proprio i ghibellini ad esserne ospitati, sequestrati nella presa del castello delle Stinche, nei pressi di Greve in Chianti tra Panzano in Chianti, Lamole e Radda di proprietà dei Cavalcanti. In questo carcere vi erano prigionieri di guerra e i colpevoli di reati politici, tra cui i nemici politici del tiranno Gualtieri VI di Brienne, assaltata dai fiorentini insorti quando lo cacciarono.
A ricordo di questo evento fu eseguito un affresco dall’Orcagna: ‘la Cacciata del Duca d’Atene’, in cui Sant’Anna riconsegna ai fiorentini le bandiere delle Arti, mentre un angelo caccia dalla città il Gualtieri. L’affresco era nel cortile del carcere, ma oggi per preservarlo è conservato ed esposto nel museo di Palazzo Vecchio.
Il carcere fu poi utilizzato anche per rinchiudere debitori e falliti. Vari nomi noti spiccano tra i suoi ospiti : lo storico Giovanni Villani, coinvolto nella crisi bancaria dei Bardi e dei Peruzzi, Giovanni Cavalcanti, che qui recluso vi scrisse la ‘Storia dei suoi tempi’, probabile ma non certa la reclusione del pittore Cennino Cennini, che qui pare scrisse ‘il Libro dell’arte’.
Altri ospiti illustri furono: Niccolò Machiavelli, implicato nella congiura degli Orti Oricellari, Roberto Acciaioli, ambasciatore di Francia, la moglie di Francesco Gianfigliazzi arrestata dopo essersi introdotta a Firenze travestita per non farsi riconoscere nel 1440 per perorare la causa del marito esiliato, Pietro Vespucci, ambasciatore del Re di Napoli complice nella congiura dei Pazzi.
Sul lato sud vi erano i lavatoi pubblici, costruiti attorno al 1428, in quella che oggi è conosciuta come via dei Lavatoi.
Sulle Stinche nel 1833 dopo una parziale demolizione furono costruite una sala per spettacoli equestri e una sala per la Società Filarmonica Fiorentina, poi teatro di Pagliano, oggi teatro Verdi.
Dopo la chiusura del carcere delle Stinche, la zona penitenziaria si spostò di alcuni isolati più a est della città, nel già citato in un altro mio articolo, carcere delle Murate.
Le Stinche avevano una forma quadrata recintata da un muraglione alto diciotto metri e privo di aperture e circondato da un fossato. Per questo il complesso è conosciuto con il nome di ‘Isola delle Stinche’. L’ ingresso era un unica porticina che riportava la scritta: Oportet misereri (occorre compatire).
Il mantenimento dei detenuti infatti era basato sulla carità dei privati, non certo sul denaro pubblico, infatti il popolo chiamava questa entrata la ‘Porta della miseria’. Era attraverso la via Ghibellina che passavano i cortei dei condannati diretti alla torre della Zecca dove subivano la loro esecuzione capitale. Lungo il percorso furono eretti una serie di grandi tabernacoli per confortare questi disgraziati. Da segnalare il Tabernacolo delle Stinche, dipinto da Giovanni da San Giovanni nel 1616.
Per l’assistenza morale, spirituale ma anche materiale, vi era la congrega dei Buononimi delle Stinche, insieme a quella dei Battuti Neri. Aiutavano i prigionieri amministrando le carità dei privati per tutti quei carcerati più sfortunati e meno abbienti. Ovviamente quelli più ricchi potevano spesarsi da soli e vivere in maniera meno precaria. Tra i membri della congrega a servizio dei carcerati vi erano un cappellano, un medico, un custode e un barbiere.
Ricordiamo tra i detti fiorentini : ‘andare alle Stinche’, che voleva dire andare, per antonomasia, in carcere, così come poi si dirà : “andare alle Murate” o “andare a Sollicciano”. Altri luoghi di detenzione tristemente famosi sono: le celle del Bargello, ‘l’Alberghetto’ nella Torre di Arnolfo, dove fu detenuto Cosimo il Vecchio e Girolamo Savonarola e le ‘Burella’, ossia le celle ricavate dagli anfratti costituiti dai sotterranei dell’anfiteatro romano, a ricordo Via delle Burella.