In Firenze oltre alle compagnie religiose, ve ne furono di laiche conosciute come Potenze o brigate d’allegrezza dedite ai festeggiamenti rionali. La festa del patrono, carnevale, visite di regnanti di passaggio a Firenze, matrimoni o nascite di discendenti di casate importanti. Queste furono istituite nel 1343 da Gualtieri di Brienne Duca di Atene, chiamato in città per ristabilire l’ordine. Lo fece per ingraziarsi il popolo minuto, vessato e mal pagato, con lo scopo di adularli con elargizioni e finte concessioni.
Si ha notizia nell’anno 1283, per la festa del patrono San Giovanni Battista, che la famiglia nobile dei De Rossi in Santa Trinita, fece una “armeggeria” di mille uomini attraverso tutta la città, chiamata “compagnia dell’amore”. I componenti erano riccamente vestiti di bianco, a capo di questa brigata festeggiante c’era un componente della famiglia De Rossi chiamato “signore dell’amore”. La festa andò avanti per due mesi con pranzi, balli, giostre, e cavalcate per tutta la città.
Nell’anno 1333 durante le feste di Calendimaggio, gli abitanti di via Ghibellina vestirono di giallo trecento uomini, e quelli del corso de’ Tintori in competizione cinquecento vestiti di bianco, le feste andarono avanti per un mese.
Queste compagnie ebbero il loro momento di maggior sviluppo con il ritorno dei Medici al potere. Cosimo I le incoraggiò e le finanziò con lo scopo di accattivarsi il popolo e farli dimenticare la libertà perduta. Avevano un territorio ben delimitato radicato nei quartieri, entro i confini i loro signori esercitavano il loro potere. Se una potenza sconfinava nel territorio di un’altra, si rivolgeva al Duca per aver soddisfazione, anche per evitare che il contrasto si tramutasse in rissa.
Il popolo ad imitazione dei nobili, ebbe a capo di queste confraternite dei personaggi che si fregiavano di titoli quali: imperatore, re, signore, duca, vicere, arciduca, principe, ecc. Questi esercitavano i loro diritti, e talvolta taglieggiavano nel richiedere tributi in denaro agli artigiani, bottegai e alle ricche famiglie tutto per acquistare vestiario, finte spade di legno, tamburi, trombe e bandiere, per agghindare gli abitanti del loro dominio.
Le più importanti brigate erano quelle della: Città Rossa, Gran Monarca di Sant’Ambrogio, Signoria della Spada in borgo San Paolo, Imperatore del Prato al Prato, la Nespola in Santa Felicita, la Mela al Canto alla Mela, Monteloro al Canto di Candeli, Duca del Cardo al Tiratoio d’Arno, dei Battilani a Orsanmichele, il Re Piccinino alla Loggia della Neghittosa, del Giglio, Signore del covone al Canto alla Paglia, Re del Tribolo al Canto del Tribolo, Re delle Macine al Canto alla Macina, della Spiga, Re di Beliemme (di cui è rimasto un ricordo, il tabernacolo delle Fonticine nella odierna via Nazionale, opera di Giovanni della Robbia), della Graticola in San Lorenzo.
Queste feste oltre ai pranzi, balli, e sfilate, avevano talvolta un svolgimento cruento, gli appartenenti alle varie potenze si sfidavano in violente sassaiole che finivano con lasciare sul terreno del Prato, morti e feriti. Queste sfide violente andarono avanti fin quando il Granduca non le vietò, con pene severessime per chi avesse aggirato il divieto. Le sfilate militaresche divennero dimostrazioni di bellezza e le cruente sassaiole divennero gare per fare l’approntamento più bello.
Altre parate importanti si ebbero nel 1577 alla nascita dell’erede maschio Filippo del Granduca Francesco. Il quale per il fausto evento, elargì alle compagnie molti denari e fuori del palazzo granducale fece mettere delle botti di vino bianco e rosso per il popolo minuto. Un’altra nell’anno 1583 per il matrimonio della figlia Eleonora con Don Vincenzo Duca di Mantova, con l’occasione elargì per i festeggiamenti ottocento ducati d’oro.
Purtroppo queste compagine laiche di festeggiamenti finirono per sempre a causa della peste che dall’anno 1629 al 1630 fece novemila morti, dimezzando la popolazione. Finiva così un evento che per trecento anni aveva animato la città.