Nel Cinquecento, per volere del Granduca Cosimo I de’ Medici, erano state realizzate le cosiddette “buche da ghiaccio”, delle fosse in cui durante l’inverno veniva accumulato il ghiaccio, che sarebbe servito nel periodo primaverile-estivo a mantenere fresche le bevande e conservare gli alimenti.
Stava nascendo la moda del “bever fresco”, il sorbetto ed il gelato erano molto richiesti, ed inoltre c’era la necessità di disporre di ghiaccio per la conservazione di cibi e bevande. Queste erano le motivazioni principali per cui si fece ricorso a queste “buche”.
Lungo le mura della città e soprattutto nei luoghi più esposti al vento di tramontana si trovavano le “ghiacciaie”, cioè profonde fosse scavate nel terreno a ridosso delle mura, dove si raccoglieva l’acqua piovana che nei mesi invernali gelava.
L’uso di adoperare il ghiaccio per rinfrescare le bevande ebbe il suo maggior sviluppo sotto Ferdinando II. “Si cominciò al principio del secolo a riporre l’inverno il ghiaccio, per valersene l’estate a rinfrescare il vino, l’acqua, la frutta, et altro, et à preso tanto piede questa delizia, che molti l’usano continuamente anco l’inverno”.
Ma come funzionavano queste ghiacciaie? Venivano scavate nel terreno profonde buche, rivestite di paglia e riempite durante l’inverno o con l’acqua piovana che gelava, o direttamente con la neve pigiata e ricoperta a sua volta di paglia e pula, di modo che anche in estate i raggi del sole non riuscissero a penetrare e sciogliere il ghiaccio. Per favorire la conservazione del ghiaccio, queste buche venivano scavate in prossimità delle mura, dalla parte di tramontana, cioè là dove anche d’estate l’incidenza dei raggi solari era minima, o la zona era addirittura in ombra.
Talvolta le ghiacciaie erano scoperte, come vasche. Questa è la descrizione che Ugo Pesci ne fa nel suo libro “Firenze Capitale”: “Fra le mura e la strada erano dei vasti rettangoli più bassi del piano stradale, chiamati ghiacciaie, perché d’inverno vi si lascia andare l’acqua fino ad una certa altezza per farne ghiaccio e magari pattinarvi sopra”.
Le ghiacciaie si trovavano nei pressi di Porta al Prato, verso Porta San Gallo, tra questa e Porta a Pinti e nel tratto vicino a Porta alla Croce. Le ghiacciaie non erano tutte uguali, a seconda del punto dove si trovavano pativano più il caldo, mentre altre erano più protette; Le più famose erano quelle tra Porta San Gallo e Porta a Pinti. Queste, nel periodo invernale, venivano anche utilizzate come piste per il pattinaggio.
Durante l’estate le ghiacciaie ormai svuotate venivano utilizzate dalla popolazione per giocare a pallone.
Nel XVII secolo la produzione e distribuzione di ghiaccio assunse i connotati di una vera e propria industria, tanto che veniva concessa in appalto ai privati cittadini che, quando il freddo invernale non era sufficiente a far gelare le acque contenute nelle fosse, erano obbligati a procurarsi la neve dalle montagne circostanti, trasportarla in città e accumularla nelle fosse.
Con l’avvento delle leggi leopoldine nel 1776, venne abolito l’appalto e venne concesso ad ogni privato cittadino di acquistare liberamente il ghiaccio che rimaneva nelle fosse dopo che erano state riempite le “diacciaie” del Principe. Infatti, nel Giardino di Boboli, erano presenti le ghiacciaie che servivano a rifornire Palazzo Pitti e la corte. Si tratta di due grandi strutture, tuttora presenti nel Giardino, sorte sulle prime buche da ghiaccio volute da Cosimo; l’architetto Parigi, nel Seicento, venne incaricato di creare dei manufatti di una certa complessità, oltre ad essere imponenti per grandezza. Sono strutture coniche che, scavate nel terreno in profondità, per più di dieci metri, hanno una copertura a cupola; gli ambienti sotterranei sono distribuiti tra cantine e vari vani accessibili per la conservazione di bevande ed alimenti. Sono di grandezza diversa, una poteva contenere circa 150 metri cubi di ghiaccio, l’altra addirittura 250 metri cubi.
Il ghiaccio veniva caricato attraverso uno sportello laterale, che oggi appare murato. All’interno della ghiacciaia venivano inseriti blocchi di ghiaccio foderati con paglia, di modo che quest’ultima costituisse una specie di camicia isolante che riusciva a mantenere la temperatura del ghiaccio al di sotto dello zero termico fino all’estate. Il ghiaccio accumulato in queste ghiacciaie proveniva dai corsi d’acqua che d’inverno ghiacciavano: i grossi blocchi di ghiaccio venivano spaccati, trasportati all’interno del Giardino di Boboli e stipati nelle ghiacciaie.
Un’altra ghiacciaia piuttosto conosciuta è quella delle Cascine, la Piramide del Manetti. Durante l’inverno, anche qui, nel locale che si trova al di sotto del manto stradale, veniva raccolta una grande quantità di neve, che si conservava fino all’estate, quando i fiorentini amavano mangiare sorbetti e gelati. Nella stagione calda le fosse, ormai semivuote, venivano utilizzate anche come cantina per tenere il vino in fresco; anche Francesco Redi ce ne parla nel suo saggio “Bacco in Toscana”:
Venga pur da ogni bicocca [piccola fortezza], neve in chiocca [a josa].
E voi satiri lasciate tante frottole [parlar misterioso] e tanti riboboli [parlare in burla].
E del ghiaccio mi portate dalla Grotta del Monte Boboli
Con altri picchi dé mazzapicchi [martelli di legno]
Dirompetelo, sgretolatelo, infragnetelo, stritolatelo,
finchè tutto si possa risolvere in minuta freddissima polvere,
che mi renda il ber più fresco
per rinfresco del palato, or ch’io son morto assetato.
Del vin caldo s’io n’insacco [se non mando giù]
Dite pur ch’io non son Bacco!
Per dover di cronaca, va menzionata anche Via delle Ghiacciaie che, pur essendo una via senza alcuna peculiarità di rilievo, posizionata in una zona piuttosto moderna, tra Viale Belfiore e Viale Fratelli Rosselli, deve il suo nome proprio al fatto che qui passavano le antiche mura e vi si trovavano delle ghiacciaie.
Interessante come sempre il suo articolo. Grazie!
Noi Fiorentini siamo sempre stahi ganzi e geniali, tutti hell’attri : poero mondo.