Le donne fiorentine nel rinascimento calzavano pianelle o pantofole di pelle molto sottile, di seta, di raso o di velluto, spesso ricamate con decori di perline di vetro colorato e con fili d’oro e d’argento, ornate da pietre preziose, perle e intagli, montate su di un’altissima suola in legno o sughero rivestita di tessuto o di cuoio e decorata con pietre preziose.
Per raggiungere la stessa altezza del cavaliere che le accompagnava, le calzature femminili si dotarono di scomode zeppe in legno o sughero, sempre nascoste sotto le gonne, che avevano anche lo scopo di preservare i piedi dal fango e da altre sporcizie di cui le strade dell’epoca traboccavano, ma che servivano anche al compito di rendere più controllabili moglie e figlie, grazie alla difficoltà di movimento che comportava indossarle, giacché essendo molto alte, spesso le donne si dovevano servire di due ancelle che le aiutassero a camminare.
Presentavano delle sagome che lasciavano scoperto il calcagno e delle suole rialzate, tramite strati di legno o sughero, talvolta fissate al piede solo da strisce di cuoio o di stoffa.
Inizialmente, durante il Rinascimento europeo, le scarpe col tacco erano indossate da uomini e donne per simboleggiare il loro status sociale più elevato; in seguito in varie città – tra le quali anche Firenze – se ne vietò l’utilizzo da parte degli uomini.
Le scarpe avevano forma larga e rotonda, a muso di bue; le pianelle o pantofole continuarono ad essere fatte con tessuti preziosi e ad essere ricamate in oro e perle. Si continuò ad usare il tacco a zeppa.
Erano un vero status symbol per dimostrare ricchezza e prestigio, inoltre permettevano alla dama di avere vesti e strascichi più lunghe e mostrare così una quantità maggiore di stoffe preziose.
I rialzi erano principalmente di 8-10 centimetri, ma in alcuni casi potevano raggiungere anche uno spessore di 60 centimetri; tutto ciò lo fece ritenere dagli studiosi il modello di scarpe femminili probabilmente più estremo che sia mai stato creato in Occidente, che costringevano la dama a camminare appollaiata su veri trampoli instabili, appoggiata e sorretta da due domestici che l’aiutavano a muoversi.
Queste pianelle appartenevano a diverse tipologie, ognuna delle quali, a seconda dell’altezza, trasmetteva informazioni precise sul ceto e sull’identità della donna che le indossava.
A Firenze si riteneva che le scarpe molto alte non fossero adatte alle donne rispettabili. La differenza di pochi centimetri nell’altezza delle suole poteva servire a distinguere la donna famosa da quella malfamata e, nel XVI secolo, la condotta decorosa da quella disdicevole. Il legame culturale tra l’altezza delle scarpe ed il comportamento morale rimase per tutto il XVI secolo.
Il fatto che queste nascondessero solo parzialmente il piede femminile, la cui esposizione in pubblico era sempre stata disapprovata, unitamente al fatto che venissero indossate da donne di più o meno scarsa moralità, finì per attirare le critiche della Chiesa, che non mancò di punire questi eccessi nelle maniere più dure.
La prima calzatura con tacco alto fu indossata per vanità, a Marsiglia, il 28 ottobre 1533, da Caterina de’ Medici in occasione delle sue nozze con Enrico II di Valois, duca di Orléans.
La futura regina ordinò ad un artigiano fiorentino un paio di scarpe eleganti, con tacco e punta allungata per il suo matrimonio. Il geniale maestro artigiano tolse la pesante zeppa in legno e la sostituì con un tacco.
Caterina stupì la Francia indossando quelle scarpe, con tacchi alti 7 cm. che le davano un fisico più imponente e un seducente ondeggiare quando camminava. I suoi tacchi riscossero un successo enorme e da allora, vennero associati come privilegio dell’abbigliamento femminile. La calzatura viene ricordata con il nome di “Souliers à pont”.
E ancora una volta Caterina ha primeggiato!