Quello che oggi noi chiamiamo centro storico, poco più di un secolo fa aveva un aspetto ben diverso dall’attuale. Le strade erano più strette, buie ed anche contorte di adesso, le piazze erano affollate da mercati in cui i colori, i profumi, il chiasso e i chiacchiericci erano una nota predominante: la vita era senza dubbio meno stressante ed i ritmi meno frenetici.
Oggi siamo abituati agli orari continuati, ad aperture in qualsiasi giorno della settimana, ci si stupisce e quasi ci si inalbera se qualche negozio decide di osservare un pomeriggio di riposo: non era così, a quei tempi.
Durante la settimana le botteghe chiudevano a i’tocco (le tredici) per consentire di pranzare con la famiglia; il pomeriggio riaprivano alle quindici fino all’Avemaria della sera, alle venti. La domenica rigorosamente gli sporti rimanevano chiusi e, se non lo avessero fatto, sarebbero stati passibili di multa.
Molte delle attività si svolgevano sul marciapiede o sulla strada, davanti alla bottega: i tappezzieri cardavano la lana e cucivano i materassi direttamente sulla strada, i ciabattini riparavano le scarpe sul marciapiede, i seggiolai rimettevano la paglia alle sedie sfondate, i falegnami scaldavano la colla e piallavano il legno, e così anche gli arrotini, i fiascai e tutti gli artigiani trasformavano la strada in una specie di laboratorio a cielo aperto.
Il Gonfaloniere Luigi Cambray Digny scrisse a tal proposito: “I manifattori non solo fanno fuoco per i loro lavori, ma con i banchi, le morse, le incudini, rendono bottega la strada, stanza di riposo la bottega. Se piccola stanza ridotta dal proprietario con apertura esterna vien nominata bottega ed affittata per tale, non si pensa se adattata al mestiere, ma si prende, e ciò che manca al comodo, si occupa la strada”.
Provate per un attimo ad isolare i rumori del traffico, delle sirene, dei moderni martelli pneumatici ed attrezzi vari, cancellateli. Sostituiteli con il suono di un martello sull’incudine, di una pialla sul legno, di una mola che gira azionata dal piede dell’arrotino, e a questi aggiungete le voci degli artigiani che sicuramente si scambiavano battute, ascoltate le grida del cenciaiolo, del venditore di schiacciate, miscelateli con le voci della gente che passando chiacchierava, si soffermava, comprava o curiosava…
I bottegai e i negozianti di una strada sovente abitavano sopra o accanto alla bottega, per cui in molti casi la loro intera vita trascorreva nel ristretto ambito di poche strade, del quartiere: tutti si conoscevano da sempre, amicizie di una vita e rivalità di sempre: per una discussione erano – da bravi fiorentini – sempre tutti pronti ma, al momento del bisogno, tutti si facevano in quattro per tutti.
Problemi ce n’erano e in abbondanza: il Gonfaloniere riceveva quotidianamente lettere di protesta da parte dei privati cittadini e rapporti allarmanti da parte delle forze di polizia. Uno tra i problemi che più frequentemente venivano portati all’attenzione del Gonfaloniere era relativo alla viabilità: Firenze in questo non è cambiata, purtroppo!
Le strade erano strette, erano le strade di una città medievale che si sarebbe presto trasformata in una città borghese. Il traffico delle carrozze private e dei fiaccherai era piuttosto sostenuto e molto spesso era intralciato dai barrocci degli ambulanti, da casotti abusivi, da merci esposte fuori dalla bottega, su delle assi di legno lungo la strada. Nonostante già dalla fine del Settecento esistessero leggi e regolamenti che disciplinavano questa materia, ancora alla vigilia della partenza di Leopoldo II, l’ultimo granduca, le autorità non riuscivano a farli rispettare.
La legge stabiliva che a nessuno e a nessun titolo era concesso di occupare e ingombrare le strade, le piazze e i luoghi pubblici, neanche con baracche, tende o altra cosa mobile che le ingombri e cagioni impedimento al libero transito delle persone, delle bestie, delle carrozze ed altri “legni” da trasporto.
Ai venditori ambulanti di generi alimentari e non era permesso di sostare davanti alle porte delle case o delle botteghe, sotto i loggiati o sopra marciapiedi e muriccioli, sempre che avessero preventivamente ottenuto il permesso dai proprietari. Ai proprietari era fatto divieto di farsi pagare per la concessione di questi permessi, ma all’atto pratico l’ambulante ricompensava sempre in qualche modo chi gli permetteva di svolgere la sua attività.
Erano piccoli abusi che difficilmente venivano alla luce, vista la convenienza da entrambe le parti a mantenere il riserbo. Ma le autorità avevano mangiato la foglia, e vennero approvate delle modifiche al regolamento, attribuendo soltanto al Magistrato della Comunità la facoltà di concedere licenze e permessi, tenendo conto dell’ampiezza della strada e del tipo di ingombro, per non ostacolare la libera circolazione. Poiché i venditori ambulanti provenivano in massima parte dalla fascia più povera della popolazione, si attenuarono in loro favore i divieti di esporre al pubblico generi commestibili.