L’Imperatore Carlo V d’Asburgo nel 1527, con il suo esercito, formato da italiani, spagnoli e lanzichenecchi tedeschi luterani, era sceso in Italia per dare una lezione al Papa Medici Clemente VII regnante in Roma. Dopo un lungo assedio terminato il il 6 maggio 1527, riuscì a sconfiggere i difensori papalini, e a costringere nello stesso tempo il Papa, a rifugiarsi in Castel Sant’Angelo per sfuggire al sacco della città, e per evitare le violenze dei Lanzi, ed in special modo del loro comandante Georg Von Frundsberg, il quale portava legato alla sella del cavallo, un cappio d’oro, con il quale diceva che avrebbe impiccato il Papa.

Quando a Firenze giunse la notizia del sacco, decisero che era giunto il momento per liberarsi dei rampolli di casa Medici Ippolito e Alessandro, del loro tutore Cardinale Passerini che governava in nome e per conto del Papa. Il 18 maggio 1527, venne tolto, lo stemma del Pontefice dal palazzo dei Signori, le insegne della sua casata tolte e distrutte, e sostituite con le insegne e le armi repubblicane. Si insediò nel contempo una “Pratica Larga” per definire la mutazione dello Stato.

Nel frattempo il Papa, era riuscito a liberarsi pagando una forte somma al capitano imperiale Luigi Gonzaga detto “Rodomonte”.  Questi assalì il palazzo liberò il Papa, che travestito da ortolano, riuscì ad abbandonare Roma con una nutrita scorta e a rifugiarsi ad Orvieto. Dal suo rifugio intavolò trattative con Carlo V, per farsi aiutare a riportare i Medici a Firenze.

I Signori si richiamavano alla prima Repubblica del 1512 di ispirazione savonaroliana, come se non fossero passati dodici anni dalla sua fine. Fra i primi provvedimenti ad essere effettuati fu la ricostituzione dei Dieci di Balia o di Guerra, rimanenti in carica per sei mesi, cui competeva “la condotta”, l’arruolamento delle truppe per la difesa della Città e dello Stato. Una delibera del nove febbraio 1528, incaricò il legnaiuolo e architetto e Capo Mastro dell’Opera Baccio d’Agnolo, di fare una cartella di marmo da applicare sopra la porta d’ingresso del Palazzo della Signoria, con una iscrizione dedicata a Cristo protettore e Signore della città, fra due Marzocchi dorati con croci e gigli fiorentini. Questa scritta venne in seguito modificata dal Duca Cosimo I° de’ Medici.

Sergenti degli Otto
I sergenti degli Otto di Guardia sfilano nel corteo storico prima della partita del calcio storico fiorentino

Si accentuava intanto l’intransigenza e l’ostilità verso i Medici, con la nomina il 18 di aprile 1529 di Niccolò Carducci a Gonfaloniere, al posto di Niccolò Capponi, deposto per aver tentato di scongiurare l’alleanza fra i pontifici e gli imperiali intrattenendo con il Pontefice una lunga serie epistolare, come poi avvenne. Il 7 maggio 1529 un domenicano che andava pronosticando la prossima caduta della Repubblica, e il ritorno al potere della famiglia Medici, venne catturato e condotto alla presenza dei Signori Otto di Guardia e Balia, la Magistratura criminale. Dalla accusa di disfattismo e dalle conseguenti punizioni, si salvo grazie alla sua veste religiosa, con un anno da passare nel carcere delle Stinche. Andò peggio ad un sarto colpevole di aver bestemmiato davanti ad un tabernacolo sulla pubblica, via venne catturato e condannato, gli venne traforata la lingua messo su un carro, e portato al luogo del delitto e impiccato. Era ritornata in voga l’intransigenza dei tempi del Savonarola.

La notizia dell’accordo fra il Pontefice e l’Imperatore giunse a Firenze il 16 luglio 1529. Da quel momento fu capito che questa alleanza avrebbe portato all’assedio di Firenze, la sua caduta e la restaurazione della dinastia medicea. Mentre la città si preparava a sostenere l’assedio annunciato, cercava di vivere una esistenza normale come se non ci fosse il temuto arrivo dell’esercito imperiale. Nei laboratori e nelle botteghe, si continuava a lavorare e a commerciare, e nello stesso tempo ad assoldare soldati per la difesa cittadina.

Intanto l’esercito imperiale si avvicinava alla città più il morale dei difensori aumentava, convinti di poter vincere. Pertanto fu deciso di approntare le difese per meglio resistere. Michelangelo in quel momento presente per sfuggire alle ire del Papa, venne daIla Signoria, nominato Commissario alle fortificazioni.

Il 13 agosto giunse la notizia dell’arrivo a Genova dell’Imperatore, pertanto i Dieci di Guerra decisero di inviare una ambasceria per trovare un accordo. Ma il Cesare non li ricevette, si era spostato a Piacenza.

Il tempo passava e giungevano notizie poco rassicuranti per gli assediati. Il Principe Filiberto di Chalons, si trovava ancora a Roma il 17 agosto, in attesa dell’arrivo di quattro cannoni presi da “Castello e Civita Castellana”. Nel mese di settembre giunse la notizia dell’arrivo imminente delle truppe nemiche, forti di 10.000 uomini, 500 cavalleggeri, e 300 uomini d’arme. I fiorentini invece disponevano in Perugia di 3000 fanti, circa 5/6000 in Arezzo ed un presidio in Cortona, 5000 di riserva a Poggibonsi.

Nella città intanto, i Dieci di Guerra, avevano consegnato il Bastone di Comando al Capitano Malatesta Baglioni già signore di Perugia, esule da quando la città era caduta nelle mani degli imperiali, nominandolo comandante di tutte le truppe presenti per la difesa di Firenze (per salvarsi aveva dovuto pagare una forte somma). Aveva portato nella ritirata 3000 fanti e tutti quelli che lungo la strada si erano aggregati. Per pagare le truppe mercenarie ed i loro comandanti, la Signoria aveva deliberato di tassare i cittadini raccogliendo una somma di 30.000 ducati.

Intanto il 3 ottobre, la cavalleria del Principe d’Orange era arrivata a Rovezzano, mentre il grosso delle truppe era ancora acquartierato a Fighine (Figline). Dandosi al saccheggio del contado per approvvigionarsi di vettovaglie. In quei giorni veniva ritirato da Siena il proprio Ambasciatore, essendo i senesi passati dalla parte degli imperiali. Nello stesso tempo gli ambasciatori fiorentini presso il Papa, si lamentavano delle scorrerie e dei saccheggi fatti nel territorio del Mugello.

Dopo molte battaglie di avvicinamento le truppe imperiali, provenienti da Fighine (Figline), il 14 ottobre 1529, giunsero in vista della città. Una leggenda racconta che, i Lanzichenecchi giunti su di un poggio chimato “Bigallo”, volgendo lo sguardo in basso la videro, e pregustando un sacco come a Roma, esclamarono: “Monna Fiorenza, apparecchia le tue sete che veniamo a comprarle a misura di picca“.

Nel frattempo le mura della città, erette a protezione da Arnolfo negli anni 1310/14, non rispondevano più all’arte della guerra, e all’avvento dei cannoni. Pertanto l’ufficio dei “Cinque Procuratori delle Mura” preoccupati per le armi da fuoco, decisero di rafforzarle, arruolando Antonio da San Gallo il Giovane e il Buonarroti, per aggiornare le difese alle nuove tecniche della guerra. Furono scapitozzate le torri delle mura, e ad approntate le buche per inserire le artiglierie, divenendo così delle “cannoniere”. Vennero ingaggiati contadini e braccianti gente abituata a maneggiare la vanga e la marra. Impiegati nelle fortificazioni a “scarpa” per neutralizzare i colpi delle artiglierie, “cavalieri”, bastioni e altre opere di difesa per le quali occorrevano questi lavoratori.

Michelangelo, venne interpellato, sulla possibilità di inserire nel sistema difensivo anche della collina chiamata “Giramontino”, ma constatato il costo elevato di tutta l’operazione venne deciso di soprassedere. In quel luogo si sarebbero accampati gli imperiali, e da li avrebbero battuto le mura, ed il complesso di San Miniato. Fu presentato dallo scultore un piano di difesa per le chiese di San Miniato, San Francesco, ed i conventi. Ma il Gonfaloniere Capponi, non ritenne necessaria quest’opera, dando solamente l’assenso per rinforzare i muri del campanile della Basilica di San Miniato. Si iniziò con l’abbassamento dello stesso, per evitare che gli eventuali colpi delle artiglierie, recassero danni alla struttura. Venne circondato da un terrapieno fino ad una certa altezza, infine furono calati dalla cella campanaria dei materassi forniti dall’Arte della Lana. Due colubrine vennero installate nella cella, servite da un bombardiere un certo Giovanni Antonio Lupini da Firenze detto “Lupo”, che da quella posizione avrebbe arrecato molti danni alle truppe nemiche.

Intanto i “Dieci di Guerra e Balia”, continuavano nell’arruolamento di truppe mercenarie e all’istituzione nei sedici Gonfaloni in cui era divisa la città, la milizia dei Fanti dell’Ordinanza”, formata da cittadini li abitanti con una età dai 18/50 anni armati con una picca, con sulla giubba dalla parte del cuore l’insegna della Repubblica. Croce Bianca in campo rosso. Una ordinanza della Signoria imponeva a tutti i difensori di portare sempre tale segno di riconoscimento, con l’avvertenza di incorrere nella pena di morte, per chi non l’avesse esibita.

Fine prima parte.

Alberto Chiarugi

La vita della Repubblica fiorentina al tempo dell’assedio: Prima Parte.
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