L’uccisione di Buondelmonte. In Giovanni Villani, Nuova Cronica, ms. Chigiano L VIII 296 (Roma, Biblioteca Vaticana)

Come scrive Giovanni Villani nella sua Cronica (XIV secolo), la colonia romana di Florentia “sorse sotto l’ascendente del Dio Marte”.

La presenza del Dio della guerra sembra aver caratterizzato Firenze attraverso i secoli. Per molto tempo sulla città ha “gravato” la presenza di una grossa statua che secondo i più rappresentava proprio Marte.
Questo idolo è stato per molto tempo compagno dei fiorentini; ha avuto almeno tre sistemazioni diverse, quasi come se ogni volta si cercasse di rimuoverlo senza successo. Molti vescovi dovettero sopportarne la presenza, alla quale il popolo non sapeva rinunciare. Sul finire del medioevo la Statua di Marte era decrepita e corrosa, ma ancora suscitava, in modo alterno, l’affetto e l’odio dei fiorentini evocandone l’animosità più irrequieta.
Ricercare sulla storia di questa statua significa confrontarsi con ciò che, con tutta probabilità, meglio ha rappresentato il daimon fiorentino, assorbendone molte negatività (come quelle relative ai sanguinari conflitti tra Neri e Bianchi). Forse non a caso, la sua esistenza fu praticamente rimossa: la Statua di Marte è ricordata in modo approssimativo e molti fiorentini non sanno nemmeno della sua antica esistenza.
Ma cerchiamo di ripercorrere la vicenda di questo monumento scomparso.

Il “campo” romano di Florentia venne creato in virtù della Lex Julia di Cesare. In seguito alla Lex Triumviralis di Ottaviano, Antonio e Lepido (43 a.C.) esso fu donato ai veterani di guerra i quali, pur lasciando la spada per la vanga, non potevano dimenticare il loro antico protettore.
I figli e nipoti della prima generazione di Florentia avevano animo fiero e avventuroso prediligendo il servizio militare, lontano dalla propria città, nelle legioni romane. Non a caso, ricordi di legionari fiorentini sono stati trovati su pietre tombali in vari luoghi come Aquileia, Pozzuoli, Susa; in Austria, in Dalmazia, in Asia Minore. Senza contare coloro di cui è rimasta memoria come Pretoriani di stanza a Roma. Così, sembra giusto che l’idolo dei primi fiorentini fosse Marte.

I cronisti del XIV secolo asseriscono che il tempio del Dio si trovasse  dove poi sorse la chiesa del santo patrono, cioè il  Battistero di San Giovanni. Il Villani lo descrive come se l’avesse visto coi propri occhi: il tempio era “ottagono e con l’idolo nel mezzo, coperto da una cupola forata come quella del Pantheon”.
Anche Dante credeva che il simulacro del “primo padrone”, cioè di Marte, corrispondesse al Battistero. E tornando al Villani, egli scrive: “quando si sparse in Toscana e per tutta l’Italia e poi per tutto il mondo la verace fede in Iesu Cristo, i fiorentini levarono il loro idolo”. Ma la fede in Cristo non era in loro molto più forte della tenace superstizione pagana, in quanto il supposto idolo, come vedremo, fu soltanto traslocato da “dentro le mura”, al di là del Ponte Vecchio.

Seguendo la cronologia degli scavi archeologici effettuati in passato dentro e intorno al Battistero, risulta che esso non fu edificato sopra il tempio di Marte ma sopra i resti di una “domus” romana del I secolo d.C. trasformata poi nel IV-V secolo in un “pistrinum” ossia un panificio.
Fu nel periodo longobardo che, grazie alla conversione dei regnanti Agilulfo e Teodolinda, si innalzò in pietra il battistero fiorentino prendendo a modello gli edifici classici. Così il “bel San Giovanni” non risalirebbe all’epoca romana, né al X-XI secolo come si legge ancora in qualche guida turistica, ma all’inizio del VII secolo d.C.

Ad una attenta osservazione della costruzione si scopre che probabilmente nella stessa epoca longobarda, in seguito a cedimenti strutturali, forse per la caduta di una precedente cupola tutta a volta, dovette subire un radicale rafforzamento dello spessore murario con la successiva realizzazione del tetto esterno piramidale. Ciò può essere dimostrato anche dalla troppa differenza delle mura tra la parte inferiore e quella superiore, rapportata alle “modeste” proporzioni del tempio, di cui abbiamo un esempio nel Battistero di Lomello presso Pavia (rifacimento longobardo di una precedente costruzione).

Ma lasciamo i Longobardi, e torniamo indietro nel tempo per chiarire l’esistenza della statua di Marte.
Durante l’Impero, l’importanza della città fu favorita dall’Imperatore Publius Aelius Hadrianus. L’Imperatore nell’anno 123 d.C. fece collegare Florentia a Chiusi con un nuovo braccio della via Cassia e probabilmente, da buon monarca qual’era, fece effettuare lavori di abbellimento edilizio e un grande ponte a più arcate sull’Arno (poi abbattuto durante le guerre goto-bizantine del VI secolo).
Poco dopo, alla fine del secolo successivo, Florentia fu favorita anche dall’Imperatore Aurelio Diocleziano. Diocleziano la scelse come residenza del “Corrector Italiae”, cioè del Governatore delle regioni riunite dell’Etruria e dell’Umbria (287-366 d.C.). Per la sua privilegiata condizione di capitale, oltre a possedere già Anfiteatro e Teatro, fu arricchita all’inizio del IV secolo anche di un Circo Massimo. Per questo il governatore di Florentia Aelius Marcianus fece erigere in onore dell’Imperatore, alla Porta Sud della città, una statua equestre in marmo. La via che conduceva al ponte adrianeo sull’Arno era leggermente più a monte dell’attuale Ponte Vecchio.

Ma la statua non durò a lungo perché dopo nemmeno vent’anni i nuovi dittatori Costantino e Licinio, sospettosi di Diocleziano anche se ormai anziano, decretarono che si atterrassero tutte le statue del loro predecessore e che si cancellasse il suo nome da tutte le epigrafi. Il monumento  fu “strascicato” e abbandonato sul greto del fiume. Infatti la base, mutilata secondo l’editto, ritornò alla luce nel 1873 in via Por Santa Maria ed è adesso al Museo Archeologico.

In seguito, probabilmente ai tempi di Carlo Magno (VIII-IX sec.) e ormai dimentichi di Diocleziano, la  statua equestre fu ritrovata nel letto dell’Arno, e in quella occasione fu ritenuta la statua di Marte, che doveva trovarsi un tempo dentro il Battistero, supposto tempio della divinità romana.
La statua fu ripulita e posta di là d’Arno, vicino alla Piramide nei pressi della chiesa di Santa Felicita. Ma nel 1177 una piena del fiume la rovesciò a terra danneggiandola. Fu di nuovo restaurata e collocata sopra una colonna, questa volta al di qua dell’Arno.
I fiorentini di quel tempo avevano un certo timore e un occhio di riguardo verso il loro antico patrono. Per un ingenuo orgoglio pagano e fanatica superstizione ancora nel duegento si  usava ornare il supposto simulacro di Marte con ghirlande di fiori se la stagione agricola era stata clemente. Altrimenti, lo si imbrattava di fango.

Quando iniziarono le lotte tra Guelfi e Ghibellini con l’uccisione del giovane Buondelmonte dei Buondelmonti (1215) proprio ai piedi della statua, fu fatto apparire come una vittima offerta al dio della guerra. (ndr: vedi foto iniziale)
Dante la definì la pietra scema che guarda il ponte. Boccaccio nel descriverla affermò: “Questa statua era diminuita dalla cintola in su; […] essa tutta era per l’acqua e per li freddi e per li caldi molto rosa per tutto, tanto che quasi, […] né dell’uomo, né del cavallo alcuna cosa si discernea”.Giovanni Villani scrisse: “Gli antichi diceano e lasciarono in iscritto che, quando la statua di Marte cadesse o fosse mossa, la città di Firenze avrebbe gran pericolo o mutazione”. (1)

Il popolo fiorentino era proprio convinto che quella statua rappresentasse Marte e si suppone che la conseguente posizione a rischio, presso il fiume, fosse stata scelta dal clero cristiano con la speranza che un giorno o l’altro l’Arno se la portasse via. E così fu.

Nel 1333, quando l’Arno straripò, la statua fu trascinata via dalle acque e persa per sempre.
Da allora, la Statua di Marte è entrata a far parte delle leggende dell’antica Firenze. Ma solo raramente se ne è scritto in modo approfondito e la sua possibile individuazione ha ispirato ben pochi ricercatori.
Forse l’antico “idolo” sta ancora nel letto del fiume, magari più a valle, coperto dal fango. Forse è stato ritrovato in epoca remota e fatto scomparire dal clero fiorentino stesso. O forse, alcuni suoi frammenti potrebbero esser stati trafugati da qualche collezionista. La fantasia, in tal senso, può sbizzarrirsi.

Ma tornando a Marte, dove si trovava realmente il suo culto nell’antica Florentia?
Anche nella Florentia romana, per un rituale motivo di prudenziale scongiuro, il santuario di Marte era stato edificato fuori del “pomerium” lungo il tratto della via consolare che conduceva a Faenza.
Sappiamo da una lapide marmorea rinvenuta nelle adiacenze del Battistero (Gori, Inscrip. Antiq., I, pag. 141, n. 43), che in prossimità della Porta Nord  (Aquilonarum) per Faenza sorgeva un piccolo edificio termale. Questo “Balneum Martis” (probabilmente con annesso Hospitum), aveva preso per “insegna” il tempio pagano costruito a poca distanza fuori della cerchia muraria sulla “collina” del Monticulus Sancti Laurentii.
In tale luogo esiste una delle più vetuste chiese cristiane fiorentine, la cui prima costruzione fu consacrata, presente San Zanobi, da Sant’Ambrogio vescovo di Milano alla fine del IV secolo.

Enio e Lorenzo Pecchioni

La Statua di Marte, non è una leggenda.
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