Piazza Vittorio Emanuele, sorta sulle macerie del demolito Mercato Vecchio, ospitò la statua equestre in memoria del “re galantuomo”.
Il monumento venne inaugurato il 20 settembre 1890, prima ancora che la piazza fosse ultimata. Il giorno dell’inaugurazione venne fatto quanto possibile per tentare di nascondere agli occhi di Re Umberto gli edifici ancora da demolire, costruendo due tribune addobbate con festoni tricolori, mentre dalle finestre delle case ormai disabitate penzolavano tristemente stendardi sabaudi.
Ancora non era stato costruito l’orribile arco che immette in Via Strozzi, sul quale campeggia la dileggiatoria scritta “L’antico centro della città da secolare squallore a vita nuova restituito”.
Il motivo per cui il monumento fu inaugurato prima che la piazza fosse finita, era dovuto alla data: infatti il 20 settembre correva il ventesimo anniversario della presa di Porta Pia.
Inizialmente si era pensato di innalzare la statua a Vittorio Emanuele in mezzo a Piazza Indipendenza, ma non vi fu sostegno a questa idea. Si pensò allora di posizionarla in Piazza Pitti di fronte allo Sdrucciolo. Per fortuna il rifacimento di piazza del Mercato Vecchio offrì il giusto spunto per collocare la statua del re, evitando un ulteriore scempio!
La statua rimase in Piazza della Repubblica fino al 19 agosto del 1932 quando, nottetempo, venne spostata in Piazza Vittorio Veneto alle Cascine. Ai fiorentini non era mai piaciuta, la trovavano retorica e troppo celebrativa.
Ultima nota, conosciuta ma forse non da tutti… La statua venne soprannominata “Emanuele a corpo sciorto”
Questo singolare soprannome le venne affibbiato dal noto scrittore fiorentino Luigi Bertelli, meglio conosciuto come Vamba, l’autore di Giamburrasca, che appositamente per questo monumento aveva scritto questo sonetto:
Lasciamo anda’, ‘io bono, i’ piedistallo
se gli è un po’ troppo lungo o troppo corto;
mondo birbone, guardami i’cavallo;
guardami Emanuele a corpo sciorto.
Dice: “Gli era”. O se gli era ni’ rifallo
che s’ha rifà la statua d’un abborto?
Gli è brutto in tutti i versi, a riguardallo.
Per me, ringrazia Iddio che gli era morto.
Tu mi dirai: “Ma un c’era il su’figliolo?”
Sì, ma Umberto, dinanzi all’architetto,
restò, ‘io bono, come un cetriolo,
quando gli disse: “Questo è vostro padre”
io, mondaccio birbone, gn’ avre’ detto:
“Mi padre? La Befana di tu’ madre!”