Fino dai tempi più antichi, fu necessario emanare delle leggio suntuarie per evitare di mettersi in mostra per ostentare la propria opulenza e ricchezza. Lo fecero i Greci i Romani, e Carlo Magno, che rifuggiva dal mettersi in mostra, previlegiando un abbigliamento modesto.
Le prime leggi di cui si hanno notizie, risalgono alla antica Roma. Con la legge del tribuno Marco Oppio, chiamata Lex Oppia del 215 a.c. per promuovere uno stile di vita morigerato, ed evitare sperperi. Essendo Roma in un momento difficile per la guerra combattuta contro i Cartaginesi. Detta legge colpì in maggior parte le donne, limitandone il possesso di oro e di mostrare abiti colorati.
Nel periodo di maggior ricchezza e benessere nella città di Firenze, ma anche in molte altri parti d’Italia, dovuto a commerci dei mercanti delle Arti della Lana e della Seta, e dei suoi banchieri, che prestavano denari in tutto il mondo allora conosciuto. Il lusso, la ricchezza e lo sfarzo la facevano da padrone. Le donne fiorentine dei ceti più agiati e della nobiltà, facevano a gara nel mostrare a tutti la loro ricchezza. E anche esporre alla vista degli uomini le loro grazie. Tutto ciò indossando abiti fastosi, con guarnizioni di ermellino, finiture con fili d’oro e d’argento, collane, anelli pietre preziose, e capelli con acconciature sempre più elaborate, con cappelli, fili di perle, e cerchi per fermare i capelli.
Giovanni Villani nella sua Cronaca Cittadina, ci racconta con dovizia di particolari, quello che successe in una festa di Calen di Aprile nel XIV secolo. “Essendo le donne di Firenze molto trascorse in soperchi ornamenti di corone e ghirlande d’oro e d’argento, e di perle preziose, e reti e intrecciatoi di perle, e altri divisati ornamenti in testa e di grande costo, e simili di vestiti intagliati in diversi panni e di panni rilevati di seta più maniere, con fregi e perle e di bottoni d’argento dorati ispessi a quattro e sei fila accoppiati insieme, e fibbiagli di perle e pietre preziose al petto con diversi segni e lettere“.
Le Leggi Suntuarie diramate dalla Signoria, per fermare queste esibizioni di sfarzo ordinavano che; “Niuna donna non potesse portare nulla corona né ghirlanda né d’oro né d’ariento né di perle né di vetro né di seta né niuna similitudine di corona né di ghirlanda, enziandio di carta dipinta, né rete né trecciere di nulla spezie se non semplici, né nullo addogato né traverso, se non semplici, né nullo vestimento intagliato né dipinto con niuna figura, se non fosse tessuto, né nullo addogato ne traverso, se non semplice partita di due colori; né la fregiatua d’oro né d’ariento, né di seta, né niuna pietra preziosa, né enziandio ismalto, né vetro, né potere portare più di due anella in dito, né nullo scaggiale né cintura di più di XII spranghe d’argento; e che d’ora innanzi nulla si potesse vestire di sciamito, e quelle che ll’avevano il dovessero marcare acciò ch’altra nol potesse fare e tutti vestiti di drappi di seta furono tolti e difesi; e che nulla potesse portare panni lunghi dietro più di due braccia, né iscollato di più di braccia uno e quarto il capezzale; e per simile modo furono difese le gonnelle e robe divisate a fanciulli e fanciulle, e tutti i fregi, e enziandio ermellini, se non a’ cavalieri e a loro donne; e agli uomini tolto ogni ornamento e cintura d’argento, e giubbetti di zenzado o di drappo o di ciambellotto“.
Un altro divieto emanato dalle autorità cittadine: Non dovevano essere indossati abiti “dimidiati, cioè realizzati per metà con un tessuto e l’altra con stoffa di diverso colore. Venivano anche proibiti i vestiti a righe colorate. Questi abiti venivano indossati da chi professava altre religioni (ebrei e musulmani), dagli emarginati o dai colpevoli (eretici, lebbrosi, pazzi, boia, prostitute, falsari, cavalieri traditori, vigliacchi e talvolta giullari e saltimbanchi).
Anche ai tempi di Dante le belle fiorentine, portavano vestiti bellissimi e molto scollati, “Hanno le poppe al vento, mostrando il seno. Inoltre conoscevano l’arte del trucco. Usavano imbiancarsi la faccia con la biacca, di allungare la forma degli occhi, aumentare l’altezza della fronte, rasando i capelli con lame e pezzi di vetro. Avevano imparato a tingersi i capelli, facendoli diventare biondi, sottoponendosi a lunghe sedute sotto il sole per schiarirli.
Oltre che i vestiti venne tentato di mettere un freno alle calzature, in particolare alle pianelle o “chopine” che avevano altissime zeppe, tanto che le donne che le indossavano dovevano essere sostenute da due cavalieri per non cadere. Agli uomini fu vietato di portare scarpe a punta di moda in tutta l’Europa dette “poulaines” essendo di origine polacca, con punte lunghissime fino ad un metro. I censori le consideravano un simbolo sessuale quando erano portate dagli uomini. Inoltre chi le calzava non poteva muoversi in libertà in quanto ostacolati dalla esagerata lunghezza, non adatte per chi svolgeva un lavoro, considerandole un bene di lusso da portare stando in ozio.
A Firenze il fenomeno dei “soperchi”, lusso smodato offerto agli occhi delle persone, davano scandalo e riprovazione da parte della Signoria, che erogava multe salatissime a queste donne e uomini, che ostentavano senza ritegno alcuno la loro ricchezza. Anche la chiesa si univa alla deplorazione con sermoni violentissimi da parte dei preti e rincarate dalla autorevole voce di San Bernardino che lo riteneva opera del demonio.
Le norme suntuarie non ottennero quanto sperato dalle autorità, non ottennero di calmare li sperperi e la ostentazione smodata del lusso e la ricchezza posseduta. L’unico risultato ottenuto, fu quello di rimpinguare la casse comunali, con l’erogazione delle multe applicate.