Viveva un tempo a Firenze un giovane chiamato Michele che trascorreva la maggior parte del suo tempo dividendosi tra il lavoro e il compiere opere di bene.
Questo giovane uomo possedeva un magazzino che era stato adibito a deposito di grano, ed una stalla con dei cavalli.
Il suo mestiere consisteva nel trasportare a dorso dei suoi cavalli il grano che gli veniva consegnato dai fiorentini per farlo macinare nei mulini che si trovavano sulle rive dell’Arno.
A fine giornata Michele con i suoi cavalli tornava al magazzino e riconsegnava la farina ottenuta dalla macinazione ai clienti. Una volta terminati i suoi doveri, era libero di potersi dedicare alle opere di bene che con tanta passione realizzava: aiutava le famiglie bisognose, correva in soccorso dei mendicanti e non mancava di far visita agli infermi e agli anziani.
Tutto il popolo del Sestiere di Porta Santa Maria aveva una vera e propria venerazione per questo giovanotto, tanto da paragonarlo ad un santo e chiamarlo addirittura “San Michele”. La sua casa ed i campi da cui era circondata venivano chiamati “Gli Orti di San Michele”. Per questo, quando inaspettatamente il povero Michele rese l’anima al Signore, la famiglia e tutto il popolo non riuscivano a darsi pace, addolorati e sgomenti da questa morte improvvisa.
Tuttavia, Michele non abbandonò il suo popolo: dal giorno della sua dipartita apparve svariate volte in sogno al padre, al quale ogni volta ostinatamente chiedeva che fosse fatta costruire una cappella negli orti della sua casa. Quando Michele appariva in sogno al padre, nella stalla accadevano fatti inspiegabili: la mattina, quando gli stallieri entravano nella scuderia i cavalli erano già puliti e strigliati e le mangiatoie erano già state riempite di fieno, senza che loro avessero mosso un dito. Michele continuava ad apparire in sogno al padre, facendo sempre la stessa richiesta, ma l’uomo non si decideva ad esaudire il desiderio del figlio.
Un giorno uno dei cavalli ebbe un incidente e si azzoppò, e fu subito chiamato il maniscalco per controllare la ferratura dell’animale. Il maniscalco tolse il ferro e prese la zampa del cavallo e fu a questo punto che accadde qualcosa di molto particolare, che lasciò tutti i presenti stupiti: lo zoccolo si staccò dall’arto dell’animale, senza che uscisse una goccia di sangue e rimase tra le mani del maniscalco, più interdetto di tutti.
Tra la meraviglia generale, il cavallo avvicinò l’arto offeso allo zoccolo e questo si riattaccò in modo perfetto, tanto che l’animale cominciò a trotterellare tranquillamente nella stalla. Tutti immediatamente si resero conto che si trattava di un miracolo operato da Michele, ed il ferro di quel cavallo venne conservato come portafortuna.
Finalmente, il padre capì che era giunto il momento di soddisfare il desiderio del figlio e fece costruire nel punto esatto in cui si era verificato il miracolo una piccola cappella che venne chiamata “San Michele in Orto”.
Successivamente il nome venne cambiato in “Orti di San Michele”, fino a diventare, in modo definitivo, “Orsanmichele”.