Con l’unità d’Italia le principali città del paese subiscono modifiche e stravolgimenti urbanistici, con lo scopo di elevarle al rango delle più moderne città europee. In particolare si diffonde la realizzazione di grandi spazi commerciali coperti, le cosiddette “gallerie”, che diventano centrali nella vita mondana, ma anche politica sociale ed artistica, delle città.

A Milano la galleria Vittorio Emanuele, costruita di fianco al duomo a partire dal 1865 ed inaugurata nel 1878, oltre che per le passeggiate dei milanesi fu utilizzata anche come teatro di manifestazioni politiche e come punto di ritrovo dei futuristi milanesi di Marinetti.

A Napoli la Galleria Umberto I, di pochi anni successiva, anch’essa intitolata ad un Re ed anch’essa dotata di imponente copertura in ferro e vetro, secondo le tendenze architettonico-ingegneristiche dell’epoca, fu realizzata a seguito della cosiddetta “legge di Napoli”: una legge sul risanamento delle aree degradate (Legge n. 2892/1885) che avrà molta importanza nei decenni successivi, tanto da essere tuttora citata nei testi di diritto urbanistico in relazione alle normative sugli espropri.

Roma, che divenne capitale dopo la breve – e sciagurata dal punto di vista urbanistico – parentesi di Firenze capitale, si dotò anch’essa della sua galleria anche se diversi anni più tardi: nel 1922, anno primo dell’era fascista, fu inaugurata la galleria di piazza Colonna, oggi intitolata ad Alberto Sordi, concepita a partire dagli anni ‘80 del XIX° secolo

E Firenze? Da sempre un po’ allergica alle novità e “scottata” (anche economicamente, visto il fallimento del Comune) dagli ampliamenti di Firenze capitale e dallo sventurato risanamento di fine ‘800, il capoluogo toscano non seguì la tendenza di dotarsi di gallerie commerciali coperte, a meno di non considerare tale il progetto, non realizzato, di Giuseppe Martelli di trasformare il Ponte Vecchio in una galleria coperta da una struttura di vetro ed acciaio.

I disegni originali di Adolfo Coppedé per la galleria Mussolini

Nel 1926 l’architetto fiorentino Adolfo Coppedè, fratello del più celebre Gino, propose la realizzazione di una galleria coperta sul modello di quelle di Milano e Napoli: la “Galleria Mussolini”, che avrebbe dovuto sorgere tra Piazza San Giovanni, Piazza San Lorenzo e Via Martelli, al posto dell’ex collegio gesuitico.

I disegni ci mostrano, sulla facciata principale affacciata sul Battistero, un monumentale arcone di trionfo, sul tipo di quello di Piazza della Repubblica ma assai più decorato e con un ricco coronamento molto aggettante, inserito in una facciata con richiami neocinquecenteschi (finestre timpanate, bugnato liscio al primo livello e al mezzanino).

Il disegno dell’interno invece ci mostra un grande spazio ottagono, delimitato da ampie serliane e pesantemente decorato con statue, cariatidi, clipei ed altri elementi decorativi. In questo spazio, verosimilmente, avrebbero dovuto confluire, sotto una maestosa cupola in ferro e vetro, i grandi passaggi coperti provenienti da P.za S. Giovanni, da via Martelli e Piazza S. Lorenzo.

I disegni originali di Adolfo Coppedé per la galleria Mussolini

Il Duce in persona spese elogi per Coppedè ed il suo progetto, ma inaspettatamente fu Gabriele D’Annunzio che, dalle pagine del Corriere della Sera del 25 marzo, espresse nel suo consueto stile roboante un giudizio pesantemente negativo sull’opera: “…ma questa terribile macchina arcimacchinata da non so quale arcimaiuscolo Arcigocciolone, non può di Michelangiolo ricordare, ai miei fiorentini ben nati, se non il pugno del Torrigiani (n.d.r. il riferimento è al famoso episodio del pugno col quale lo scultore Torregiani ruppe il naso al giovane Michelangelo). Alla vergogna io mi opporrò con tutte le mie forze, e con quelle de’ miei pochi o molti fedeli, pur anco se dagli Italiani io fossi per esser mandato novamente a confine; ché di Firenze mi sento già esiliato da tanta buaggine che cerca di cangiare il bel Giglio ‘fatto vermiglio’ in utile cavolfiore concimato a Varlungo“.

Seguì il solito italico vespaio di polemiche, alle quali si unì l’allora Sindaco (poi podestà) Senatore Antonio Garbasso, il quale ebbe a dichiarare, in un’accesa difesa della “modernità” pur nel rispetto del passato: “Non si può vivere la vita del passato e non si può vivere soltanto la vita d’oggi. Rispetto, dunque ai monumenti del passato, ma quel rispetto che non impedisce a noi di vivere la nostra vita!

Fatto sta che, vuoi per il tremendo giudizio critico del “Vate” o forse (anche) per la mancanza dei fondi necessari a realizzare un’opera così faraonica, non se ne fece di nulla e la galleria andò a inserirsi nella lunga lista dei progetti pensati per Firenze e mai realizzati.

Enrico Bartocci
Enrico Bartocci
La Firenze che NON fu (4): la “Galleria Mussolini”

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