L’area del Mercato Vecchio, già dal Settecento, aveva subito un profondo e progressivo degrado architettonico, sociale ed urbanistico. Un giornalista dell’800, Giulio Piccini, detto Jarro, che a parer mio aveva il dente parecchio avvelenato, descriveva così la zona: “chi crederebbe che entro Firenze, la città molle, vezzosa, che ha per tutto levato grido di miti e dolci costumi è una Firenze dove stanno in combutta il sicario e il ladro, l’assassino negl’intervalli in cui esce di galera e il lenone, il ruffiano abietto e atroce? Siete voi andati mai in quegl’antri, in quelle tane, per que’sotterranei, dove la notte le pareti formicolano di insetti, dove il soffitto è così basso che è impossibile ad un uomo di giusta statura entrare lì senza curvarsi, e dove su putridi giacigli si scambiano gli amplessi ladri e baldracche, lordure umane, sgorganti in quegli orrendi sterquilini, dopo aver corso trabalzando per le fogne del vizio?”
Jarro raccolse i risultati della sua inchiesta in un volume dal titolo “Firenze sotterranea” che uscì nel 1881 e che, con diverse edizioni fino al 1899, suscitò notevole scalpore ed ebbe notevole influenza sulle decisioni politiche che vennero prese.
L’area del Mercato Vecchio e tutto il Vecchio Centro sino ai Camaldoli (la zona di San Lorenzo), era fin dal Settecento soggetta a continuo degrado e sin dall’occupazione napoleonica, nei primi anni dell’Ottocento, si stava pensando ad un riordinamento dell’intera zona.
Nel 1835 Firenze venne investita da una grande epidemia di colera; sembra che uno dei focolai più importanti fosse scoppiato proprio nella zona, date le condizioni di degrado igienico in cui versava.
Provvedimenti per risanare la zona del Ghetto erano stati studiati già ai tempi di Ferdinando II e di Cosimo III, ma non vennero mai attuati. Con la demolizione dei Camaldoli, nel 1860 circa, e con la costruzione del Mercato di San Lorenzo, le condizioni del Ghetto si aggravarono ulteriormente. Ormai gli ebrei avevano quasi totalmente abbandonato la zona, che era diventata pian piano rifugio per tutta quella popolazione emarginata di cui parlava Jarro, a cui si andavano aggiungendo gli abitanti del popolo di Camaldoli, lì trasferiti dopo la distruzione delle loro case per far posto al Mercato Centrale di San Lorenzo.
Nel 1876 il sindaco Ubaldino Peruzzi nominò una commissione per condurre un’indagine sulle condizioni dell’area del Mercato Vecchio e nel 1884 vennero iniziate le pratiche di esproprio delle abitazioni del Ghetto. Già nel 1885 tutte le 364 famiglie che lo abitavano erano state evacuate, e di esse solo 40 erano fiorentine, mentre le altre provenivano da diverse province e dall’estero.
Nell’aprile 1885 veniva approvato il nuovo piano regolatore edilizio, che prevedeva l’intera ristrutturazione dell’area del Mercato Vecchio. Della commissione nominata per la demolizione degli antichi edifici facevano parte anche Corinto Corinti e Guido Carocci; alla decisione presa di abbattere tutti gli edifici tentò di opporsi soltanto il Carocci, che difese il non abbattimento di alcuni edifici.
Secoli di storia di Firenze vennero cancellati in poco tempo. Vennero distrutte molte torri, come quella degli Amieri e dei Caponsacchi, e diverse chiese, come quelle di Sant’Andrea, di San Pietro Buonconsiglio, di San Tommaso, di Santa Maria in Campidoglio che erano parte della storia antica, medievale e rinascimentale di Firenze; ed anche altri edifici in cui risiedevano, ad esempio, l’Arte degli Albergatori e l’Arte dei Rigattieri. Venne distrutta la Beccheria, e la Loggia del Pesce venne smontata per accumularne i pezzi in San Marco ed essere ricostruita, quasi un secolo dopo, in Piazza dei Ciompi.
Tra le poche strutture architettoniche salvate vi fu un tabernacolo del Trecento che venne sistemato nel Palagio della Lana, il Tabernacolo di Santa Maria della Tromba. Il suo nome derivava da quello di un vicolo detto “della Tromba”, ove risiedevano i “trombetti” del Comune. Era il più grande tabernacolo di Firenze, tanto che quando venne chiuso il vicolo della Tromba, venne ingrandito fino a diventare un vero e proprio oratorio, con la pittura del tabernacolo che ne decorava l’altare. Esso confinava, sul retro, con la chiesa di San Tommaso.
Le demolizioni avvennero in tempi rapidissimi e in breve la piazza assunse un aspetto interamente diverso. Agli antichi edifici vennero sostituiti quelli di stile neoclassico od eclettico (definiti non senza amarezza da Telemaco Signorini “porcherie”) che ancora oggi si vedono nell’attuale Piazza della Repubblica.
Venne costruito il grande edificio con i Portici, inusuali a Firenze, con l’Arcone centrale, che venne progettato da Vincenzo Micheli. Venne costruito un palazzo in stile neorinascimentale sul lato settentrionale, da allora sede della Fondiaria. A mezzogiorno venne edificato un palazzo in stile neoclassico detto poi delle Giubbe Rosse; ed altri palazzi in stile eclettico come il palazzo Trianon ed il palazzo Savoia.
Nacquero anche quei famosi caffè, come il Gilli, il Paszcowski, il Gambrinus e le Giubbe Rosse, che divennero il centro della vita pubblica di Firenze.
Al centro della piazza venne sistemato un monumento a Vittorio Emanuele II, da cui prese il nome anche la piazza. Questo monumento, definito da un sonetto di Vamba “Emanuele a corpo sciorto”, nel 1915 venne trasferito nel Parco delle Cascine. Sempre negli stessi anni venne ricostruita la Colonna dell’Abbondanza con una copia della statua, e sistemata nel sito in cui ancora oggi si trova.
La piazza del Mercato Vecchio, centro della vita popolare cittadina, scomparve. Venne indegnamente sostituita dalla nuova Piazza Vittorio Emanuele II, che divenne anch’essa centro della vita cittadina, non più popolare ma borghese. Nei nuovi palazzi si sistemarono la Borsa, La Fondiaria e gli uffici di molte importanti attività imprenditoriali, commerciali e finanziarie della borghesia fiorentina.
Il Mercato Vecchio, centro della storia medievale e rinascimentale di Firenze e cuore della città sino all’Ottocento, scomparve definitivamente, lasciando il posto a quella nuova piazza che oggi si chiama Piazza della Repubblica.
Quella Piazza che non è mai riuscita ad entrare nel cuore di noi fiorentini, che sentiamo come un corpo estraneo – e tale è -, che niente ha a che vedere con la nostra Firenze, che ci fa rimpiangere ogni giorno quel che era e che non abbiamo potuto purtroppo conoscere. E trovo aberrante quella stomachevole scritta che campeggia sull’arco: “L’ANTICO CENTRO DELLA CITTÀ DA SECOLARE SQUALLORE A VITA NUOVA RESTITUITO”. Un pugno nello stomaco ogni volta che l’incrocio con lo sguardo.
Si aprirono le porte ad una nuova era dei mercati: quella dei mercati coperti, che a Firenze iniziò con il Mercato Centrale di San Lorenzo, con quello di Sant’Ambrogio e che si protrasse fino al 1953 con la costruzione del Mercato Ortofrutticolo di Novoli che a sua volta venne inserito nel Centro Alimentare Polivalente, gestito dalla Mercafir, costruito nei primi anni ‘80.