Ricchissima famiglia fiorentina costruttrice della Certosa fiorentina.
In torno all’anno Mille, il capostipite Guigliarallo, si dice arrivato da Brescia in fuga dalle faide fra le due fazioni sempre in guerra tra loro. Parteggiando per i Guelfi e desideroso di vivere in pace giunse a Firenze. Si stabilì in Borgo Santi Apostoli costruendosi due palazzi uno in stile medievale, l’altro più moderno di fronte al fiume Arno. Si iscrisse all’Arte del Cambio e commerciando l’acciaio, si guadagnò il soprannome di acciaiuolo, diventato in seguito il cognome della famiglia. In breve tempo divennero fiorentini a tutti gli effetti, partecipando anche alla vita politica. Ebbero; Priori, Gonfalonieri di Giustizia, e Consoli delle Arti
Quando i Ghibellini vincitori entrarono in Firenze, dovette andare in esilio come tutti gli altri appartenenti alla fazione guelfa, stabilendosi a Lucca. Iniziarono a fare attività bancaria, cambiando e prestando denaro a interessi altissimi. A Cremona fondarono una compagnia commerciale. Tempo dopo Leone Acciaiuoli rientrò definitivamente a Firenze. Associandosi con i Bardi e i Peruzzi aprirono filiali in tutta Europa. Gli Acciaiuoli rischiarono il fallimento quando insieme alle Compagnie dei Bardi e dei Peruzzi, prestarono al Re d’Inghilterra Edoardo II, invischiato nella guerra dei Cento Anni contro la Francia, alcuni milioni di fiorini d’oro, che il Sire inglese non restituì mai.
Mentre i loro consorziati fallirono, gli Acciaiuoli, si salvarono dal tracollo, grazie a cospicue somme di denaro accantonate in precedenza. Le Compagnie dei banchieri fiorentini erano affidabili ed accorte, si poteva dare denaro in custodia o chiedere un prestito, pagando interessi alti quasi da strozzino, ma erano disposti a venire incontro al debitore, quando si trovava in difficoltà e giungere a degli accomodamenti soddisfacenti per entrambe le parti. Nel trecento la compagnia aprì filiali in molte città italiane, con conseguente aumento del loro potere politico. In Firenze insieme agli Scali ottennero di diventare esattori del Comune della gabella detta dei “quattro denari”. Questa esazione non rendeva lauti guadagni, ma permetteva loro di avere maggior peso politico nell’amministrazione cittadina.
Si espansero ancora di più in Europa aprendo un banco a Bruges. Entrano nelle grazie del Papa Benedetto XII, e dopo aver aperto un banco in Polonia, vennero incaricati di riscuotere le tasse incamerare le collette destinate alla chiesa. Nel quattordicesimo secolo un ramo della famiglia si stabilì a Napoli alla corte di Roberto d’Angiò Re di Napoli e Sicilia. Divennero banchieri degli Angioini, del Pontefice e dell’Ordine dei Gerosolimitani. Un suo rappresentante Niccolò Acciaiuoli divenne Gran Siniscalco del Regno di Napoli. Tramite Neri Acciaioli acquistò il titolo del Ducato di Atene, tenuto dalla famiglia per un secolo.
Niccolò Acciaiuoli volle essere ricordato oltre che per l’attività bancaria anche per altre cose. Decise di costruire una chiesa sul Montaguto nel paese del Galluzzo, nei pressi di Firenze. Doveva essere un luogo per fondare un centro studi, per studenti laici in teologia, diritto canonico e filosofia. I Certosini si stabilirono nella nuova chiesa, e quando nel 1365 passò a miglior vita i frati riconoscenti lo seppellirono nella Certosa nella cappella di Tobia dell’ordine di San Bruno.
Gli Acciaiuoli furono una grande famiglia, si divisero in più rami, sempre accompagnati dalla buona stella nei loro affari bancari e mercantili. Corsero un brutto rischio quando Angelo Acciaiuoli si alleò con Diotisalvi Neroni, Niccolò Soderini, e Luca Pitti per contrastare Piero de’ Medici e allontanarlo dal potere. La congiura venne scoperta grazie al giovane Lorenzo, e Angelo dovette andare in esilio a Napoli, trovandovi una buona accoglienza ed un rifugio sicuro. Pentito di aver partecipato alla congiura contro Piero, scrisse una lettera chiedendo il perdono e poter rientrare a Firenze, cosa che avvenne un anno dopo.
Gli Acciaiuoli furono anche senatori, quando venne istituita questa carica, sempre cercati da chi sedeva sul trono del Granducato, per avere da loro consigli politici e sull’amministrazione del regno. Oramai la famiglia si avviava al tramonto. Ebbero un tracollo finanziario quando prestarono ai Ricci ingenti somme di denaro mai restituite, per il fallimento di quel banco. Rimasero nell’ombra per qualche tempo, ma ritornarono in breve sulla scena cittadina, riuscendo a riacquistare quello che avevano venduto per salvarsi dal fallimento. La famiglia si estinse nel 1834, lasciando un vuoto incolmabile nella vita politica cittadina, dove per molto tempo erano stati protagonisti occupando posti di rilievo.