Un argomento già trattato in passato che di tanto in tanto si riaffaccia su nuove pubblicazioni o su vecchie dimentica e ritrovate impolverate.

Le donne nel periodo medievale non avevano una grande libertà di movimento, tantomeno potevano curare il proprio aspetto fisico. Erano quasi sempre costrette in casa, impiegate in lavori domestici con scarse possibilità di svago. L’unica possibilità era quella di uscire per recarsi in chiesa la domenica, o quando vi erano particolari festività, sempre sotto la stretta sorveglianza dei parenti soprattutto maschi.

I vestiti delle donne rimasero bene o male quasi invariati per tutto il medioevo, spesso disadorni ed essenziali, realizzati con stoffe rozze, con stoffe tessute in casa tinte con colori spenti e poco appariscenti; anche perché i colori brillanti e che resistevano all’usura e non stingevano avevano dei prezzi piuttosto alti.

Questo ovviamente era ciò di cui disponeva il popolo, le nobili e le borghesi invece potevano contare su stoffe molto più morbide, colorate e potevano o abbellire le proprie vesti con monili e gioielli.

Lo stesso Dante si conformava alla rigida mentalità nel castigare i costumi femminili; infatti nello stesso Paradiso, esalta il pensiero del suo avo Cacciaguida, in un passo in cui l’uomo rimpiangeva quando nei tempi passati all’interno delle mura (cioè all’interno della città), le donne vestivano in maniera semplice e pudica, senza fronzoli e poco appariscenti. A differenza del presente, in cui evidentemente la moda femminile cominciava seppur timidamente, ad esprimersi più liberamente.

Le donne oltre che essere poco appariscenti e rimanere segregate nelle mura domestiche, dovevano possibilmente rimanere anche ignoranti, raramente infatti studiavano. Il loro compito era quello di preoccuparsi della casa e della propria prole. “Senza grilli per la testa” come recita un vecchio detto fiorentino.

Era Inoltre consuetudine che le donne raccogliessero i propri capelli e li nascondessero sotto un velo per non attirare gli sguardi maschili. Liberi e svolazzanti avrebbero anche potuto attrarre il demonio! Da questo deriverebbe il detto “Avere un diavolo per  capello”…

Dunque, ogni donna per bene doveva avere i capelli raccolti e dopo il matrimonio mantenerli coperti con delle cuffie o con dei veli. Le uniche “deroghe” per così dire erano per le prostitute e gli artisti, gli unici a non avere copricapi e i bambini e le bambine in tenera età.

Più avanti, forse per ricercare una propria femminilità, intorno al XIV secolo, le donne aggiungeranno delle piccole reticelle d’oro o d’argento sulle proprie teste, arricchendole di fiori, piccoli nastri o gioielli, per ingentilire le proprie castigate acconciature. Intorno al XVI secolo invece arriveranno i cappelli e le piume, particolarmente ricche, colorate e sfarzose, fino ad arrivare al XVII e al XVIII secolo, con l’uso di improbabili e vistose parrucche. Ma Ormai il cappello indossato da una donna è un oggetto frivolo che serve solo a mostrare il ceto di appartenenza. Qui però siamo lontani dal periodo che ci interessa.

Nel medioevo, ma anche dopo, le donne di basso ceto si sono dovute spesso accontentare di una cuffia bianca in cotone  o di un semplice cappello di paglia, soprattutto quando erano costrette a lavori che le portassero fuori casa e dunque alla portata di occhi indiscreti.

Sottolineo che l’usanza di un copricapo o di un cappello, è giunta fino a noi tacitamente ”rispettata” fino almeno agli anni ’50. Coprirsi la testa per uomini e donne oltre che ad evidenziarne lo status sociale, era pressappoco un obbligo. Guardate le foto dell’immediato dopo guerra e notate tra la folla quante persone non indossano un cappello…

Ancora oggi questa usanza viene mantenuta come forma di rispetto dalle donne verso ciò che è sacro. È in uso in molte chiese, in cui solo se si ha il capo coperto da un velo si può entrare… antico retaggio medioevale.

Questa usanza è però è stata completamente dimenticata dal cinema, che  dimentica regolarmente di far indossare il cappello al proprio personaggio, soprattutto nei film ambientati nel periodo medioevale. Un orpello però essenziale, che connota lo stesso personaggio sia dal punto di vista sociale che temporale. Nella maggior parte dei film che vediamo invece l’attore principale si aggira sempre inequivocabilmente con l’assenza di un qualsiasi copricapo. Questa responsabilità va attribuita a sceneggiatori e registi evidentemente disattenti o peggio ignoranti. Eppure basterebbe guardare una qualsiasi iconografia e Firenze, come qualsiasi altra città italiana ne è piena per avere conferma di ciò. Quadri, pitture, miniature, codici, sculture, forniscono informazioni inequivocabilmente disattese dal cinema… peccato.

Dopo questa giusta è dovuta riflessione, ritorniamo alle donne del medioevo.

Spesso le poverine erano costrette a passare la loro vita nei monasteri di cui Firenze e i suoi dintorni sono pieni. Le badesse, ovvero le responsabili del luogo sacro, provenivano sempre da famiglie ricche o nobili, che spesso provvedevano anche a finanziare quel determinato convento, in primis per allungare i propri “tentacoli” all’interno del mondo ecclesiastico, in secondo luogo per sistemare quelle ragazze che non si sarebbero potute sposare per vari motivi. Paradossalmente in queste prigioni dorate, le donne trovavano una discreta serenità e godevano di quel minimo di libertà e autonomia a loro qui concesse, lontane dal controllo maschile. Spesso purtroppo si trattava però di vere e proprie prigioni in cui le ragazze indesiderate venivano chiuse per liberarsi di esse. Accadeva o per non dipanare il patrimonio familiare, magari a causa di una dote, o per evitare una dispersione di risorse economiche. Spesso le “recluse” erano ragazze non molto belle, magari con qualche menomazione fisica o mentale, oppure al contrario, erano troppo belle e quindi troppo “pericolose” per essere lasciate in giro libere. Questi conventi fungevano anche da riformatorio, per quelle donne troppo libertine, o ribelli, o che magari avevano avuto storie d’amore non tollerate dalle famiglie.

Altre invece scelsero il convento per vocazione, o per protezione. Come nel caso di Piccarda Donati, che per sfuggire alle prepotenze del fratello Forese, si fece monaca nell’Ordine delle Clarisse. Ma suo fratello riuscì a rapirla e a costringerla a sposare un suo alleato, tale Rossellino della Tosa. Avrete riconosciuto il cognome Donati… il suo alleato era infatti un guelfo nero tra i più violenti. Sembra che la povera Piccarda sia morta di peste o di dolore dopo aver contratto questo matrimonio, così come cita anche Dante che la incontra nel suo Paradiso…

Altre donne vennero dimenticate tra queste mura, si direbbe murate vive nel vero senso della parola, private di ogni possibilità di essere libere e di vivere una vita diversa, rinchiuse in queste vere e proprie prigioni divenute carcere a vita, condannate perché semplicemente nate donne.

C’è un detto fiorentino che cita: “Le ragazze piangono con un occhio, le maritate con due e le monache con quattro”… vorrà ben dire qualcosa!

Riccardo Massaro
La condizione femminile nella Firenze medievale
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2 pensieri su “La condizione femminile nella Firenze medievale

  • 26 Marzo 2023 alle 20:27
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    Grazie! Ho pensato che potesse essere una “chicca” originale come argomento! Mi fa molto piacere! A presto!

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  • 26 Marzo 2023 alle 0:22
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    Ottimo articolo, Complimenti! Fino ad ora infatti nessuno aveva mai osato parlare di questo e invece ce ne sarebbe da straparlare….Un esempio su tutti “La monaca di Monza” che il nostro bravo Manzoni scrivendo un libro dentro un altro libro ne parla abbondantemente. Manzoni non si era inventato tutto, ma aveva riportato una storia nota, documentandosi negli archivi dell’epoca. Ora ho parlato di suore, ma anche le coniugate non stavano meglio, il loro compito era di far figli e basta….Per fortuna non siamo nate a quell’epoca….

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