Il fiorentino che intervistiamo oggi non è legato a Firenze per la sua arte, potrebbe esercitarla ovunque, ma per la sua nascita, l’è proprio di Firenze ed è diventato famoso perchè disegna fumetti, alcuni di sua ideazione, altri come continuità di genere. Paliamo di Giuseppe Di Bernardo uno dei disegnatori della serie Diabolik creato dalle sorelle Giussani nel 1962 e pubblicato dalla casa editrice Astorina.
Chi non conosce Diabolik? Tutti, nessuno escluso, lo abbiamo da amato a sfogliato almeno una volta. Personalmente ricordo intere estati a fare la posta dal giornalaio, con i pochi spiccioli in tasca, a confezioni offerta con all’interno almeno tre fumetti.
Veniamo al fiorentino Di Bernardo.
- Fornisca le sue generalità? Nascita e fede di quartiere per il calcio storico!
Giuseppe Di Bernardo, classe 1971, nato in Santo Spirito e per questo di incrollabile fede bianca.
- Come hai approdato al fumetto? Una passione infantile coltivata oppure la scoperta di un dono fra le dita?
Ho iniziato da marmocchio a scarabocchiare l’intonaco di casa, poi qualche maestra elementare fa notare alla mamma la mano felice e si passano gli anni a disegnare improbabili fumetti home made. All’inizio erano piccole storie dedicate ai robottoni, poi venne il periodo dei puffi (!!!) e per finire, al liceo, i fumetti avevano come protagonisti i miei amici e il sottoscritto. Essendo spintarelli riscuotevano anche un discreto successo tra i maschietti in piena tempesta ormonale. Poi i corsi di grafica, illustrazione e finalmente il fumetto presso la Scuola internazionale di Comics, oggi TheSign – Comics & Arts Academy, dove insegno.
- Quali sono stati i tuoi lavori nel corso del tempo?
Ho esordito negli anni 90 con L’Insonne, poi Mister No e Lazarus Ledd. La crisi del popolare della fine di quel decennio mi ha spinto a lavorare tanto nella pubblicità come storyborder e copy. Poi nel 2002 sono tornato al fumetto lavorando per il mercato francese e finalmente per Diabolik. Come sceneggiatore, oltre L’Insonne, ho una serie con Carlo Lucarelli, il notissimo giallista, e The Secret, sul folklore e i miti del complottismo.
- L’insonne so che è diventato un giornalino cult, introvabile, ma desiderato dai collezionisti, per quale ragione non ha proseguito la sua corsa?
L’Insonne, per chiarire, era una mini serie bimestrale del formato di Tex o Dylan Dog, per intenderci. Narrava le vicende di Desdemona, una affascinante deejay notturna fiorentina (scusate se è poco) affetta da una misteriosa forma di insonnia. Un po’ Talk Radio un po’ Twilight zone e un po’ Dan Brown, veniva distribuita in edicola a metà degli anni duemila e non ha proseguito la sua corsa perché era una serie “a termine”. In effetti avrebbe potuto continuare con una seconda stagione, ma il mondo dell’editoria è complesso e fatto di scelte a volte giuste e a volte sbagliate. Non c’è stata la possibilità di continuare allora, ma sto lavorando ad una nuova incarnazione. L’Insonne è stata anche una serie di trasmissioni radiofoniche, un romanzo, una serie di webcomic e anche una puntata pilota di una serie tv con Chiara Gensini, Giulio Pampiglione e Francesco Montanari, per la regia di Alessandro Giordani. Oggi sto lavorando ad una graphic novel che sarà un po’ prequel e un po’ reboot della serie.
- A disegnare Diabolik come sei approdato?
Forse a causa di un furto. Colto da una misteriosa premonizione, in una calda notte fiorentina, rubai da una edicola un cartone pubblicitario di Diabolik che baciava appassionatamente Eva. Non so perché lo feci, ma quell’immagine mi aveva colpito. Pochi giorni dopo una persona mi chiese di mandargli dei miei disegni per un suo progetto. Gli misi nella busta anche delle mie tavole a matita con il solo intento di togliermele da sopra il tavolo. Era un periodo difficile e stavo per smetterla col fumetto, dove non riuscivo ad entrare in pianta stabile, per dedicarmi esclusivamente alla pubblicità, ma accadde il miracolo. I miei disegni finirono sotto gli occhi di Giorgio Montorio, autore di Diabolik che li apprezzò e li mostrò in casa editrice. Poco tempo dopo ero già al lavoro su un albo della serie. Diaboliche sincronicità, quindi.
- Da veri bastardoni abbiamo stampato il logo di FlorenceCity e gli imponiamo di disegnarci attorno un Diabolik integrandolo al logo stesso! Voglio vedere cosa pugnala, il cupolone, il giglio o la scritta FlorenceCity!
Cupolone e giglio non si toccano! (NDR: ops, credo di sapere a chi toccherà la coltellata!)
- Tornando al tuo lavoro, so che insegni anche a giovani virgulti? Ti da soddisfazione insegnare a futuri creatori di domani?
Da oltre dieci anni insegno alla scuola del fumetto di Firenze. Faccio solo un paio di mesi alla fine del corso. Di più non potrei, ho troppi impegni, ma mi piace molto perché più che insegnare imparo. Le cose cambiano cambiando il modo in cui le si osservano e il modo di osservare di un “ragazzo” del 1971 sarà sensibilmente diverso da quello di un 2001, e a me interessa scoprire punti di vista sempre nuovi, perché la realtà è sfaccettata. Quindi insegno, racconto il mio punto di vista e prendo spunto dal loro. Dovrei pagare io la retta del corso.
- Una professione che presenta ancora possibilità di crescita e invenzione o soffre il digitale come altre professioni?
Io disegno in digitale da tre anni. Ho fatto questa scelta per rimettermi in discussione, e mi trovo benissimo. Il fumetto popolare è in crisi, ma lo è ormai da vent’anni almeno. L’intrattenimento a basso costo morirà inevitabilmente. Immagino un futuro dove liberamente le storie a fumetti circoleranno gratis su piattaforme digitali, per poi essere raccolte in volumi di pregio per collezionisti.
- Tu a chi ti sei ispirato come disegnatore?
Vengo dalla “linea chiara” francese. I miei preferiti sono Moebius, Vittorio Giardino, Bruno Brindisi, Giampiero Casertano, Sergio Zaniboni e tanti altri. Ma il mio segno è in evoluzione e risente molto dell’umore: a volte faccio tutte linee spigolose ed altre volte morbidissime. Sono praticamente un bipolare del disegno.
- Parlando di Diabolik, come si è trasformato nel tempo? Ricordo un personaggio duro e violento che poi è diventato quasi romantico e giusto, sempre far un omicidio e l’altro.
Negli anni 70 c’è stata una invasione di fumetti che, sulla scia di Diabolik, usavano la violenza per sedurre i lettori. Le autrici del Re del Terrore, li chiamavano “la banda dei kappa”, per questo decisero di prendere una strada un po’ diversa. Oggi Diabolik uccide, potremmo dire, chi se lo merita. Va detto che un personaggio più violento e cupo è auspicato da molti lettori anche perché in fondo, Diabolik è freddo, determinato, spietato, calcolatore ed indossa delle maschere, insomma, è un perfetto psicopatico.
- Il tuo disegno si è adattato agli stili precedenti o ha apportato del nuovo al duo del thriller?
In una fase iniziale mi sono adeguato al tratto dei maestri, specialmente Zaniboni, cercando soprattutto di lavorare sulla regia. Oggi sono un po’ più libero, ma il mio stile non si discosta molto dalla tradizione.
- Cambiando argomento… Conosco la tua passione per gli eventi fiorentini del mostro, so che hai una tua teoria, ne parliamo?
Dovremmo farlo a puntate. In breve, seguo il caso fin da bambino e ho attraversato un po’ tutto “l’arco costituzionale” delle tesi sul mostro: paccianista, pista esoterica, pista sarda e alla fine mi sono concentrato su una ipotesi poco battuta dai “mostrologi”. In breve, mi ero fatto l’idea che il Mostro di Firenze potesse essere in qualche modo legato alle vicende italiane degli anni 70. La mia ricerca è partita da questa ipotesi: il delitto del 1968 deve essere stato fatto in accordo con qualcuno dell’ambiente della vittima femminile. Ho pensato al film “L’altro uomo” di Hitchcock dove due quasi sconosciuti si accordano per un delitto incrociato. Allora mi sono chiesto se il gruppo dei cosiddetti sardi avesse potuto entrare in contatto con una persona “abituata” ad uccidere, qualcuno che avesse un passato fatto di violenza. Da questa ipotesi ho ricostruito il passato del protagonista che ho chiamato Dante, e la sua adesione a gruppi eversivi che hanno avuto un ruolo fondamentale nell’Italia di Piazza Fontana e dell’Italicus. Ma attenzione, non intendo dire che i delitti del Mostro di Firenze fossero orchestrati dagli stessi mandanti della Strategia della Tensione, ma che una persona che ha operato in qui contesti era anche uno psicopatico maligno, estremamente narcisista, che ha agito di personale iniziativa per continuare la propria personale guerra contro il sistema, come un mostruoso Onoda Hiroo, l’ultimo soldato giapponese incredulo che la guerra fosse finita. Il Mostro era per me un assassino istrionico che aveva in odio quei ragazzi che rappresentavano un mondo che ideologicamente rifiutava, il mondo degli anni 80 che promettevano un futuro fatto di libertà. E sì, parlo degli anni 80, perché i veri delitti del Mostro di Firenze, a mio parere, sono quelli che vanno dal 1981 al 1985, visto che i due precedenti sono frutto di condizioni diverse. Ci tengo comunque a sottolineare che si tratta ovviamente solo di ipotesi. L’indagine nel mondo reale è un’altra cosa e ha bisogno di prove.
- Questa tua teoria si sta sviluppando come un lavoro o sbaglio?
Sto lavorando a una graphic novel per le Edizioni Inkiostro che, spero, uscirà a Lucca comics 2019. E’ un lungo e travagliato parto. Ci sto lavorando da tre anni. Seguivo una pista che è stata sorprendentemente portata agli onori della cronaca dalle nuove indagini della Procura. Quando è successo, l’estate scorsa, ho dovuto interrompere la lavorazione perché si rischiava (e si rischia ancora oggi) che la realtà superasse la fantasia. Cosa che accade spesso a dire il vero.
- Approfondisci, è la tua versione di cosa è successo in quegli anni terribili o è romanzata?
Sarà solo una storia di fantasia. Insomma un “liberamente tratto da”. Visto che io sono una persona che ama anche il linguaggio esoterico, va da sé che probabilmente il fumetto (come tutti gli altri che ho fatto come sceneggiatore) avrà più piani di lettura. Starà ai lettori unire i puntini e grattare il velo narrativo che, per ovvie ragioni, ricoprirà l’opera. “O voi ch’avete li ‘ntelletti sani…”. Dopodiché farò quello che a chi scrive noir piace di più, ovvero calarsi nella mente dell’assassino. Cosa lo ha spinto, quali processi mentali, traumi, bisogni, perversioni lo hanno trasformato in quello che è. Normalmente, fruendo di un racconto di paura ci si immedesima nelle vittime, l’autore invece si mette dalla parte del manico del coltello ed è quello che spesso fanno gli investigatori.
- Un augurio per il tuo futuro; fai un saluto ai lettori fiorentini.
Grazie, auguri anche a voi. Siamo vicini al 24 giugno, il giorno di San Giovanni Battista, patrono di Firenze, che aveva detto: “E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce”. Ecco, l’augurio è che finalmente si scelga la luce.
- Ringraziamo Giuseppe di Bernardo che ha concluso con uno splendido augurio a cui volentieri ci associamo.