Con la scusa di proteggere le opere d’arte italiane dagli attacchi aerei alleati, lo stato maggiore tedesco trovò il modo di arricchire i musei del Reich con i capolavori requisiti nei paesi occupati o acquistati in modi più o meno leciti nei paesi amici. Va premesso che, durante l’ultimo conflitto mondiale, le opere d’arte sottratte dai nazisti in tutta Europa furono milioni, compresi libri e documenti preziosi.

All’interno dell’esercito tedesco erano state istituite due organizzazioni preposte all’individuazione e al trasferimento delle opere, l’Einsatzstab Rosemberg ed il Sicherheits Dienst. Per ciò che riguardò l’Italia, inizialmente i tedeschi incentrarono la loro politica sugli “acquisti”. 

Hitler iniziò il suo “shopping” dal Discobolo Lancellotti, copia romana di quello bronzeo di Mirone, considerata opera di alto interesse nazionale e, dunque, non esportabile. 

Nonostante il parere negativo all’espatrio dato dal Consiglio Superiore delle Scienze e delle Arti, il ministro degli Esteri conte Ciano obbligò il ministro dell’Educazione Bottai a far partire immediatamente per la Germania il Discobolo, dietro il corrispettivo di 16 milioni di lire dell’ epoca. Questo fu l’antefatto che dette il via ad una lunga serie di cessioni ai tedeschi di molti capolavori. 

Mussolini e Ciano si dimostrarono non essere in grado di opporsi alle richieste dell’ingombrante alleato. Quando nel 1938 Hitler arrivò in visita a Firenze, insieme a Mussolini, si recò a Palazzo Vecchio e alla Galleria degli Uffizi. Più che una visita, col senno di poi, si potrebbe definire una ricognizione volta a quantificare i capolavori contenuti nei musei fiorentini. 

Adocchiò in particolare due dipinti conservati agli Uffizi, Adamo ed Eva di Lucas Cranach. 

L’artefice materiale del traffico di opere d’arte tra Italia e Germania fu il feldmaresciallo Hermann Goering, avido collezionista, che ai suoi viaggi diplomatici associava sempre visite ad antiquari e collezionisti, per incrementare la sua raccolta. 

Dal 1941, complice il Ministero degli Esteri italiano, gli acquisti di Goering in Italia si fecero sempre più numerosi, grazie anche all’assenza di qualsiasi controllo doganale. Tra la fine del 1942 e la primavera del 1943, per timore di saccheggi o danni dovuti a bombardamenti, le opere d’arte delle chiese fiorentine e dei maggiori musei, primi fra tutti Uffizi e Pitti, vennero trasferite in alcune residenze del contado, tra cui il castello di Montegufoni e la villa di Poggio a Caiano; le porte del Battistero vennero nascoste ad Incisa Valdarno, in una galleria ferroviaria in disuso; a differenza dei tedeschi, che utilizzarono le miniere per proteggere le opere, in Italia non si trovavano rifugi altrettanto sicuri. 

Rodolfo Siviero raccontava: “… a Firenze, per esempio, si era provveduto a mandare in campagna le opere d’arte della città e a portare in città quelle della campagna. Un inglese di buon umore si è divertito a pubblicare la nota dei capolavori dei musei fiorentini consegnati in fretta e furia al suo fattore che, di buon grado, firmava un elenco spropositato, senza sapere di essere diventato di colpo il conservatore del complesso artistico più importante del mondo “. 

Nel 1943, dopo l’armistizio italiano, le razzie degli inviati di Hitler e Goring si fecero sempre più frequenti ed abbandonarono ogni ritegno. Vennero prese di mira anche le collezioni private, spogliate dei capolavori più belli. 

La Wehrmacht aveva istituito il Kunstschutz, una organizzazione per la tutela delle opere d’arte. Questo organismo, avvalendosi della competenza di funzionari degli istituti tedeschi in Italia, coordinò il “salvataggio” del deposito d’arte di Montecassino, dove erano state raccolte anche le opere dei musei napoletani. Fu solo grazie all’intervento di colui che in seguito sarebbe diventato Papa Paolo VI, monsignor Montini, che le casse contenenti le opere provenienti da Montecassino vennero consegnate al governo italiano, nel corso di una cerimonia in Piazza Venezia. 

Tuttavia, ben sedici casse di capolavori erano già state recapitate come regalo di Natale a casa di Goring, nel 1943.

Tra luglio e settembre del 1944 i tedeschi prelevarono 297 dipinti degli Uffizi da un deposito di Montagnana; da Dicomano vennero asportate 27 casse di sculture ed anche il castello di Poppi e la villa di Poggio a Caiano vennero svuotate. 

Una colonna di 32 autocarri trasportò le opere fino in Alto Adige, diretti verso il tribunale di S. Leonardo di Passiria, in Tirolo, dove i dipinti vennero scaricati ed accatastati all’interno dell’edificio. I marmi antichi degli Uffizi, oltre ad altri dipinti, vennero invece stivati all’interno del castello di Neumelans, sempre in Tirolo. 

Quando nel 1945 le sorti della guerra volsero al peggio per i tedeschi, Goring inviò nel sud della Germania un treno con un carico di 739 quadri, 60 statue, 50 arazzi per essere nascosti in un bunker segreto. Le casse provenienti da Montecassino, contenenti dipinti preziosissimi, vennero consegnate alla Cancelleria che le trasferì con un camion ad una miniera di sale nei pressi di Salisburgo, dove vennero nascoste insieme ad altre opere provenienti dai vari paesi occupati. 

Il 2 maggio 1945, quando i tedeschi si arresero, gli americani giunti in Tirolo si trovarono davanti agli occhi l’inestimabile patrimonio culturale trafugato al nostro Paese, il più grande tesoro che un esercito fosse mai riuscito a depredare. Contemporaneamente, in Germania, i soldati americani scovarono il rifugio segreto in cui Goring aveva trasferito la sua collezione: per svuotare del tutto il deposito, occorsero ben quattro giorni. 

Oltre a sculture, tappeti, arazzi, soprammobili, vennero rinvenute opere di eccelsi maestri quali Rembrandt, Van Dyck, Rubens, Botticelli, Velasquez e molti altri nomi illustri. Nelle miniere di sale, oltre alle opere, vennero trovati consistenti quantitativi di lingotti e di monete d’oro. 

Rodolfo Siviero

A questo punto, terminato il conflitto, si pose il problema di recuperare quanto razziato dai tedeschi; dalla Germania, in un sol colpo, vennero riportati in Italia decine di capolavori, opere dei più grandi maestri… un inestimabile valore. Ma per un così consistente recupero, tantissime altre opere d’arte trafugate restavano ancora nelle mani dei tedeschi, e fu a questo momento che si fece spazio una figura di importanza fondamentale: Rodolfo Siviero.

A lui venne affidata la gestione dell’Ufficio appositamente istituito per recuperare le opere d’arte illegalmente esportate. Siviero era un ex agente segreto del SIM (Servizio Informazioni Militari), che aveva aderito al fascismo, convinto che solo un regime totalitario potesse cambiare il paese per renderlo migliore; dopo l’8 settembre 1943, Siviero cambiò totalmente posizione, schierandosi con il fronte antifascista.

Nel 1946 venne nominato ministro plenipotenziario da De Gasperi e venne posto a capo dell’ufficio recuperi; l’incarico affidatogli prevedeva una missione diplomatica presso il Governo militare alleato in Germania, con lo scopo di stabilire le linee guida per la restituzione delle opere.

Rodolfo Siviero

Già durante la guerra Siviero si recava a Berlino per tentare di recuperare i nostri capolavori: venne addirittura catturato e torturato, ma riuscì a liberarsi e salvare dei quadri di Botticelli, Leonardo, Michelangelo, Donatello, Poliziano, Perugino, Pollaiolo… Purtroppo, molte opere che avrebbero dovuto essere restituite ai paesi d’origine, erano già finite sul mercato antiquario; Siviero si rese conto che la sola strada diplomatica non avrebbe portato a grandi risultati.

Per avere un’idea del valore che poteva avere il bottino nazista, basta pensare che i quadri di Botticelli che possiamo ammirare agli Uffizi erano tra quelli impacchettati e portati via. Servendosi di una efficiente rete di informatori, Siviero cominciò a dare la caccia anche alle opere finite in mani alleate, o finite in Russia per mano delle truppe sovietiche. Muovendosi in apparenza solo per canali diplomatici, con spregiudicatezza e grande abilità riuscì a riportare in Italia gran parte del patrimonio illecitamente esportato e finito sul mercato antiquario; le “Fatiche di Ercole” del Pollaiolo, che erano sparite da Montagnana nel luglio del 1944, vennero ritrovate da Siviero nel 1963 a Los Angeles.

Durante questa sua “caccia al tesoro”, Siviero si trovò ad occuparsi anche dei furti che la criminalità organizzata, in combutta col mercato antiquario clandestino, aveva perpetrato. Nel 1971 recuperò l’“Efebo” di Selinunte che era stato rubato dalla mafia agrigentina. Durante questa operazione vi fu una drammatica sparatoria. Nel 1972 a Firenze venne allestita una mostra di ben 141 opere trafugate dai nazisti e recuperate dall’agente segreto dell’arte.

Nei quasi quarant’anni di attività, Siviero ha recuperato circa 3000 opere d’arte; aveva predisposto un elenco delle opere ancora da recuperare, ben 2500, rimasto inedito fino al 1995.

Con la caduta del muro di Berlino, gli equilibri tra gli stati europei sono cambiati e non è più stato possibile attuare le strategie decisioniste di Siviero, che non si faceva scrupoli a girare armato, effettuare raid notturni ed utilizzare macchine blindate nelle sue azioni di recupero.

Se gran parte del nostro patrimonio artistico è ancora integro ed ammirabile nei nostri musei, è grazie all’opera di Siviero, che morì nel 1983. Il suo corpo è tumulato nella Cappella di San Luca, alla Santissima Annunziata, tra Cellini e Portormo, ultimo a ottenere il privilegio di riposare accanto a questi eccelsi artisti.

Oggi è possibile ammirare la sua raccolta di opere d’arte visitando la Casa Musei Siviero, sul Lungarno Serristori, che raccoglie pezzi di ogni genere che Siviero, appassionato collezionista, era riuscito a possedere e che alla sua morte ha donato con disposizione testamentaria alla Regione Toscana.

Gabriella Bazzani
Il ritorno della bellezza
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Un pensiero su “Il ritorno della bellezza

  • 29 Marzo 2020 alle 0:58
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    Caduta del muro di Berlino o no, questo non c’entra niente con le opere rubate dai nazisti. I tedeschi ce le dovrebbero restituire senza se e senza ma se adesso sono diventati un popolo civile, se sono degli incivili….. allora è un’altra cosa.
    Pensandoci bene però i tedeschi e mi scappa da ridere (si fa per dire) non avrebbero più un museo se dovessero restituire le opere rubate non solo nel nostro paese, ma in tutta Europa e in medio Oriente!
    Diversi anni fa sono stata a Berlino, all’isola dei musei, cosa non ho visto!!! Atene in pratica è là nei musei di Berlino. Non so se lo sapevate, ma loro smontavano tutte le pietre che formavano i monumenti, le numeravano e poi le ricostruivano nei loro musei. La porta di Babilonia è a Berlino. Tutto questo senza parlare dei quadri italiani e spagnoli nei loro musei. Hanno costruito un museo egizio con la testa di Nefertari, bellissima, in pratica non c’è altro in quel museo, ma non gli poteva mancare un museo egizio alla grande città di Berlino…

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