Firenze, nei secoli, ha visto fiorire artisti, scienziati ed inventori, conosciuti ed ammirati in tutto il mondo, vanto e lustro della nostra storia. Anche in tempi moderni Firenze ha visto crescere nel suo reticolo urbano scienziati ed inventori, basti pensare ad Antonio Meucci e a Margherita Hack. Ma non è di loro che voglio parlarvi oggi, ma di un tipo molto particolare e ai più sconosciuto. Potrebbe essere definito un inventore, un creativo, uno scienzato… o forse no.
Di sicuro, su Giulio Ulivi sappiamo ben poco.
Si sa che nacque nel 1881, a Borgo San Lorenzo da una famiglia di modeste origini e che ben presto si stabilì a Firenze. Tranne un breve periodo in cui girò per l’Europa, tra Parigi e Londra, Ulivi ha sempre vissuto a Firenze, dove da giovanissimo aveva gestito un piccolo laboratorio meccanico in Via degli Alfani. Ma la sua passione vera era la sperimentazione, lo studio delle onde elettromagnetiche e dei raggi solari.
A soli 32 anni saltò agli onori delle cronache per aver realizzato un mezzo capace di far saltare esplosivi a distanza, di spegnere motori di aerei e altri veicoli con l’utilizzo di onde elettromagnetiche, di fondere corazze con singolari emissioni prodotte da segreti marchingegni, di far addirittura scoppiare colossali incendi semplicemente azionando una manovella.
Una scoperta che, in campo militare, avrebbe prodotto un cataclisma… con un simile marchingegno, ogni guerra sarebbe venuta meno… qualunque Santa Barbara avrebbe potuto essere neutralizzata solo con piccolo movimento e dunque, nessuno più avrebbe utilizzato armi ed esplosivi.
L’invenzione di Ulivi sostanzialmente consisteva nell’impiego dei raggi infrarossi. Nello spettro solare esistono raggi di diversi colori, che si distinguono tra loro per le vibrazioni più o meno frequenti e per la diversa lunghezza d’onda. Ulivi stava sperimentando il modo per riuscire ad isolare le onde dei raggi infrarossi, quando si rese conto di strani fenomeni elettrici che queste onde producevano a distanza. In pratica, in una vicina scuderia, gli zoccoli ferrati dei cavalli producevano scintille; questo fatto lo portò a meditare su questi fenomeni e in lui prese campo l’idea di poter riuscire a produrre l’esplosione di ordigni che fossero racchiusi dentro pareti metalliche.
Con diverse sperimentazioni, riuscì a realizzare quello che da tutti venne definito il “RAGGIO M”, raggio della morte.
Sperimentò in mare: da bordo di uno yacht, riuscì a far brillare delle mine poste in acqua alla distanza di 23 km. Naturalmente queste sue sperimentazioni non passarono inosservate, ed anche la stampa, prima locale e poi internazionale, si occupò di questo strano soggetto, dedicandogli ampio spazio e risalto su varie testate.
A Firenze un ammiraglio della Regia Marina a riposo gli offrì sostegno e addirittura gli mise a disposizione dei locali della sua casa di famiglia, in Via del Ghirlandaio, dove Ulivi poté sistemare le sue attrezzature e continuare le sue ricerche.
Proprio qui a Firenze Ulivi trovò il momento di sua massima gloria.
Asserì di riuscire a far scoppiare delle mine poste nelle acque dell’Arno, posizionandosi con il suo raggio M su Monte Senario, a circa 20 km. di distanza. Sui ponti di Firenze una gran folla si radunò per assistere all’esperimento, era presente persino un alto ufficiale inviato dal Ministero della Guerra. Fu un’apoteosi. I fiorentini, meravigliati e nel contempo spaventati assistettero allo spettacolo delle mine che esplodevano. Un gran brusio, un vocìo, un esclamare a gran voce accompagnarono l’evento. Probabilmente anche ad Ulivi, a Monte Senario, con le sue cuffie in testa intento a regolare i raggi M, arrivava l’eco di tutto quel clamore.
Padre Giovanni Battista Alfani, direttore dell’Osservatorio Ximeniano di Firenze, rimase colpito da questo esperimento, al quale diede fiducia e guardò con ottimismo, esprimendo solo una perplessità in merito alla possibilità delle onde di poter arrivare fino all’Arno in presenza di vari impedimenti, quali edifici e colline; malgrado questa riflessione, però, dopo aver visto le bombe esplodere in Arno, Alfani considerava Ulivi “uno dei più grandi scopritori ed inventori di fisica”.
Il Ministero della Marina e quello della Guerra si interessarono ad Ulivi, e gli avrebbero messo a disposizioni strumenti e locazioni dell’Istituto Militare di Radiotelegrafia, ma Ulivi declinò ogni tipo di offerta, asserendo di voler continuare in proprio le sperimentazioni e gli studi, non volendo in alcun modo essere soggetto a critiche per aver utilizzato soldi pubblici.
Ulivi asseriva di poter localizzare le bombe col 99% di precisione e stava lavorando a strumenti in grado di colpire a distanze maggiori dei 20 km. finora raggiunti. Per continuare nelle sue ricerche, aveva ricevuto delle sottoscrizioni in denaro, alcune persone gli avevano versato somme di 20.000 lire ciascuno, purchè lui potesse portare avanti i suoi esperimenti.
A luglio del 1914 Ulivi avrebbe dovuto far scoppiare a distanza altre quattro bombe, nel momento in cui la sua fama era al culmine. La sera prima di questo evento, Ulivi scomparve da Firenze. C’è da dire che qualche giorno prima una rivista scientifica aveva messo in dubbio le teorie del fiorentino, argomentando sulle inconsistenze tecniche dell’operato di Ulivi. Ulivi leggendo questo articolo si rese conto che il clima si stava facendo incandescente e la situazione si andava complicando.
Il 16 luglio Giulio Ulivi lasciò di nascosto Firenze, insieme alla figlia del suo mentore, Maria Fornari e si diresse in auto a Milano dove nel mese di agosto sposò la fidanzata. Sul cancello della sua casa fiorentina apparve un cartello che diceva: “L’ingegner Giulio Ulivi essendo fuori Firenze, l’officina viene riaperta lunedì”
A Firenze nel frattempo era diventato di dominio pubblico il fatto che Ulivi avesse ricevuto finanziamenti per 80.000 lire, da diversi uomini, tra cui il conte Piero Capponi, e grazie a quei soldi aveva affittato un villino a Parigi, dove si era rifugiato.
Nell’officina fiorentina abbandonata di tutta fretta, venne ritrovato del sodio e si scoprì che questo, posto negli involucri metallici, a contatto con l’acqua provocava la deflagrazione degli ordigni, a circa venti minuti dal momento in cui erano stati posti in acqua.
Venne fuori anche che le bombe usate da Ulivi erano solo dei grossi fuochi d’artificio commissionati alla ditta Pietro Fantappiè di Firenze, che poi lui poneva in contenitori metallici da lui assemblati.
Quasi sicuramente Ulivi non era un ingegnere, come paventava essere.
Dalla Francia arrivavano anche notizie che confermavano la inconsistenza dell’invenzione di Ulivi: sembra che un capitano di marina francese, durante un esperimento di Ulivi avesse fornito delle bombe: il risultato era stato che gli ordigni di Ulivi erano saltati, i suoi no. Dopo varie, intricatissime, vicende giudiziarie, Ulivi, che era rientrato in Italia e viveva a Milano, nel 1929 espatriò definitivamente in Belgio, dove poi morì nel 1948.
L’ingegnoso ingegnere, o millantato tale, è un personaggio che avrebbe potuto rivestire un ruolo di primo piano in un film di Totò… Chissà, a dargli tempo, forse Ulivi sarebbe riuscito anche a vendere la fontana del Biancone a qualche incauto turista…!!
Ulivi mi pare che sia stato contemporaneo di Nikola Tesla, anche questo oggetto di critiche. Fu un ricercatore e registrò tanti brevetti quanti il suo rivale Thomas Alva Edison. Ma non riuscì altrettanto bene a beneficiare delle sue idee: ogni volta fu privato dei meritati guadagni. Proprio per questo la sua figura attira oggi tanta simpatia e considerazione. Quindi si può dire che hanno percorso strade parallele di una parte della fisica poco nota a quei tempi : le onde radio….e non solo. Purtroppo i tempi non erano maturi, forse oggi con la fisica dell’ultra piccolo, le nanoparticelle, etc si sta finalmente aprendo un nuovo scenario. Forse se avesse potuto collaborare con Eintein, Borhn, Fermi, comreso lo stesso Marconi avremo sicuramente compreso più rapidamente la Meccanica dei Quanti.
Poi c’è la storia contemporanea ad Ulivi, di un altro Raggio della Morte e di un gruppo di studiosi che incuriosì persino Mussolini . Questo gruppo ( si dice che ci avesse partecipato perfino Marconi ) ad un certo punto si fermò spaventato di quello che stavano per scoprire, addirittura chiesero un parere al Papa ( mi pare fosse PIO XI ) . Il pontefice naturalmente consigliò di sospendere le ricerche e di portare i documenti in Svizzera. Negli anni a seguire i gruppo di ricercatori italiani si sciolse e ne son perse le tracce, anche se molti sono concordi nel ritenere che una parte importante di queste ricerche furono seppellite nei sotterranei del Vaticano . Vero, falso ? Ai posteri l’ardua sentenza…
Si ma Tesla non era un imbroglione. L’altro gruppo erano i ragazzi di via Panisperna. In realtà loro fecero altro, vedi Fermi. Uno si allontanò dal gruppo, si Tratta di Maiorana, e fu lui a progettare una macchina che era in grado di fare cose spettacolari, eredità lasciata a Pellizza.
Jak
Interessante l’articolo sul Raggio della Morte.