La scritta “CERCA TROVA“ dipinta su di uno stendardo verde nell’affresco di Giorgio Vasari ed aiuti  “La battaglia di Marciano in Val di Chiana” è sito nel Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio a Firenze. E’ stata interpretata da alcuni ricercatori come un’esortazione a “cercare e trovare” proprio la battaglia di Anghiari, affresco murale di Leonardo da Vinci, opera commissionata a questi dal gonfaloniere della Repubblica fiorentina Pier Soderini nel 1503 per celebrare la vittoria riportata dalla coalizione guidata dalla Repubblica di Firenze contro le truppe milanesi nella battaglia della piana di Anghiari del 1440. Le fonti storiche sono concordi nel ritenere che Leonardo dipinse in una delle pareti della Sala del Consiglio (oggi Salone dei Cinquecento) ma nessuna certezza c’è in merito a quale sia stata la parete prescelta ed alle effettive dimensioni dell’opera.

Della Battaglia di Anghiari di Leonardo da Vinci si è perduta ogni traccia e nulla si sa in merito alla sua sorte.

Nel 2011, sostenuto dalla National Geographic e dall’allora sindaco del Comune di Firenze Matteo Renzi, il professor Maurizio Seracini docente dell’Università di San Diego e fondatore del Center of Interdisciplinary Science for Art, Architecture and Archaeology della University of California, diede inizio ad una serie di indagini parietali proprio dietro l’affresco di Giorgio Vasari, indagini che purtroppo si sono rivelate infruttuose e che destarono polemiche e proteste nell’ambiente degli storici dell’arte e negli ambienti della cultura.

L’approccio del sottoscritto alla vicenda, nel marzo del 2012, è stato lo stesso di ogni appassionato di quei giochi di parole che sono gli anagrammi. Quindi notando già da subito quanto quell’iscrizione dal punto di vista della forma fosse una palese forzatura (Giorgio Vasari o uno dei suoi aiuti avrebbe potuto e dovuto scrivere “CHI CERCA TROVA” oppure “CERCA E TROVA”, ovvero le forme corrette di quel motto (1) riportate anche nelle edizioni del vocabolario degli “Accademici della Crusca “ del XVII secolo) e anagrammando “CERCA TROVA ha ottenuto subito le parole “TORRE VACCA”, il nome della torre di Palazzo Vecchio noto anche in quegli anni in cui Giorgio Vasari affrescava ed abbelliva il Salone dei Cinquecento.

Soldati ed armature, lance e spade, cavalli e stendardi, la mente è confusa e l’occhio di chi guarda è distratto dai tanti particolari ritratti nell’affresco del Vasari, ma il significato di quella scritta non va cercato in ciò che è dipinto tutto attorno ad essa ma in ciò che manca, un pronome ed una congiunzione.

L’inizio dei lavori per la costruzione di Palazzo Vecchio di Firenze, nell’anno 1299, viene attribuita proprio da Giorgio Vasari all’architetto toscano Arnolfo di Cambio (Colle di Val d’Elsa, 1232 o 1240 circa – Firenze, 8 marzo 1302-1310 circa). Al tempo era chiamato Palazzo dei Priori e per l’edificazione furono acquistate sia la terra che alcuni edifici, alcuni dei quali vennero demoliti mentre altri utilizzati come la Torre della Vacca, già scapitozzata nel 1250 fino all’altezza di 50 braccia ed in seguito fasciata letteralmente con le mura del Palazzo.

Nel 1561 il Vasari al quale il Duca Cosimo I (Firenze, 11 giugno 1519 – Firenze, 21 aprile 1574) affidò oltre che i lavori di abbellimento anche il restauro del Palazzo scopre le mura della Torre della Vacca, come si legge nella biografia di Arnolfo di Cambio de “Le vite de più eccellenti pittori, scultori e architettori” (edizione Giuntina) :

“ …Ma tornando ad Arnolfo, dico che essendo tenuto, come era, ecc [ellentissimo], s’era acquistato tanta fede che niuna cosa d’importanza senza il suo consiglio si deliberava; onde il medesimo anno, essendosi finito di fondar dal Comune di Firenze l’ultimo cerchio delle mura della città, come si disse di sopra essersi già cominciato, e così i torrioni delle porte e in gran parte tirati inanzi, diede al Palazzo de’ Signori principio e disegno, a somiglianza di quello che in Casentino aveva fatto Lapo suo padre ai conti di Poppi. Ma non potette già, comeché magnifico e grande lo disegnasse, dargli quella perfezione che l’arte et il giudizio suo richiedevano, perciò che, essendo state disfatte e mandate per terra le case degl’Uberti, rubelli del popolo fiorentino e ghibellini, e fattone piazza, potette tanto la sciocca caparbietà d’alcuni, che non ebbe forza Arnolfo, per molte ragioni che alegasse, di far sì che gli fusse conceduto almeno mettere il palazzo in isquadra, per non avere voluto chi governava che in modo nessuno il palazzo avesse i fondamenti in sul terreno degl’Uberti rebelli, epiù tosto comportarono che si gettasse per terra la navata di verso tramontana di S. Piero Scheraggio che lasciarlo fare in mezzo della piazza con le sue misure; oltreché volsono ancora che si unisse et accomodasse nel palazzo la torre de’ Foraboschi, chiamata la torre della Vacca, alta cinquanta braccia, per uso della campana grossa, et insieme con essa alcune case comperate dal Comune per cotale edifizio. Per le quali cagioni niuno maravigliare si dee se il fondamento del palazzo è bieco e fuor di squadra, essendo stato forza, per accommodar la torre nel mezzo e renderla più forte, fasciarla intorno colle mura del palazzo, le quali da Giorgio Vasari pittore e architettoessendo state scoperte l’anno 1561 per rassettare il detto palazzo al tempo del duca Cosimo, sono state trovate bonissime. Avendo dunque Arnolfo ripiena la detta torre di buona materia, ad altri maestri fu poi facile farvi sopra il campanile altissimo che oggi vi si vede, non avendo egli in termine di due anni finito se non il palazzo, il quale poi, di tempo in tempo, ha ricevuto que’ miglioramenti che lo fanno esser oggi di quella grandezza e maestà che si vede…”.

Di proprietà della nobile famiglia fiorentina dei Foraboschi, la Torre della Vacca è riconoscibile ancor oggi da un osservatore che guardi la facciata di Palazzo Vecchio da Piazza della Signoria, cioé quella fila di finestre chiuse proprio sotto la Torre di Arnolfo. In passato fu un simbolo per i fiorentini e ogni volta che la sua grande campana suonava dicevano “la vacca mugghia”, la vacca muggisce e se il Palazzo era il cuore pulsante di Firenze la sua Torre, senza alcun dubbio, ne era l’anima.

Gli anagrammi erano degli escamotages (2) conosciuti anche a Firenze tra gli artisti ed i letterati negli anni di Giorgio Vasari, molto famosi qualche anno più tardi quelli dell’astronomo Galileo Galilei del 1610 (3), veri e propri messaggi cifrati con cui comunicò al collega ed amico Keplero importanti scoperte astronomiche. Così come anche Cosimo Bartoli, amico intimo e consigliere del Vasari, si firmò con lo pseudonimo Neri Dortelata (4), anagramma conosciuto da anni di “ordina lettera” (5), “colui che mette in ordine le parole”. Una cosa davvero interessante considerato il ruolo del Bartoli nel progetto e nello studio proprio dell’ affresco “La Battaglia di Marciano in Val di Chiana”, il dipinto della scritta “CERCA TROVA”. Erudito ecclesiastico e letterato fiorentino, partigiano della famiglia Medici per conto dei quali svolse anche il ruolo di rappresentante diplomatico a Venezia, Cosimo Bartoli è ricordato anche per il suo tentativo di “piegare la lingua volgare, divenuta ormai perfetto strumento nelle mani di poeti e prosatori d’arte, ad esprimere anche contenuti scientifici”.

Un visitatore che si trovasse oggi al centro del Salone dei Cinquecento a guardare dal basso verso l’alto quei sei grandi affreschi di Giorgio Vasari avrebbe la certezza che il “senso“ di quei dipinti sia proprio quello di celebrare Firenze e la sua gloriosa storia.

In verità quel ciclo di affreschi commissionato al Vasari proprio dal Duca Cosimo I verso la metà del cinquecento racconta un’altra “storia”.

I sei grandi dipinti illustrano sei episodi di due guerre combattute e vinte da Firenze contro Pisa e contro Siena, una combattuta dalla Repubblica ed una dal Duca Cosimo I, una vinta in quattordici anni e l’altra in quattordici mesi e “La battaglia di Marciano in Val di Chiana “ è proprio uno di quei sei grandi affreschi. L’arte è il mezzo che usa la politica per il confronto, ossia la forza e la velocità del Duca Cosimo I da un lato ed i tempi lunghi e la precarietà dall’altra, l’efficienza dei Medici contro il caos di una democrazia che non ha un vero condottiero. Quello che desiderava Cosimo I con quegli affreschi non era solo illustrare la storia della città ma era quel consenso dei fiorentini assolutamente necessario all’epoca per il consolidamento del potere; è lo stesso Vasari che lo sottolinea nella sua autobiografia ne “Le vite”, opera interamente dedicata al Duca, proprio quando scrive delle vicende del restauro di Palazzo Vecchio:
“…Le quali storie dico trattano delle cose di Fiorenza, dalla sua edificazione insino a oggi, la divisione in quartieri, le città sottoposte, nemici superati, città soggiogate, et in ultimo il principio e fine della guerra di Pisa, da uno de’ lati, e dall’altro il principio similmente e fine di quella di Siena; una dal governo popolare condotta et ottenuta nello spazio di quattordici anni, e l’altra dal Duca in quattordici mesi, come si vedrà;…” .

In definitiva quei sei affreschi sono uno straordinario esempio di propaganda e quindi non è difficile immaginare i motivi per cui La battaglia di Anghiari di Leonardo non avrebbe mai potuto trovare alcuna collocazione in alcun palazzo o edificio mediceo: malgrado non fosse stata mai portata a termine era un dipinto di Leonardo da Vinci, il maestro più grande, era l’opera che affascinò e sconvolse gli artisti contemporanei che la videro, era un magnete che attirava sguardi e catalizzava l’attenzione ma che purtroppo raccontava le gesta eroiche di Firenze del governo popolare, i nemici dei Medici al potere e negli anni di Giorgio Vasari fresche erano ancora le ferite e vivi erano l’odio ed il ricordo della guerra fratricida tra la Repubblica e i Medici tiranni.

Peter Paul Ruben – copia di un particolare della battaglia di Anghiari

E’ possibile che la scritta CERCA TROVA possa davvero trattarsi di un messaggio, forse di un’indicazione e davvero riferita alla Battaglia di Anghiari di Leonardo da Vinci, opera forse traslata da un parete del Salone dei Cinquecento per far posto ad altre opere e nascosta nella Torre della Vacca durante i grandi lavori di restauro del Palazzo della Signoria o forse occultata dagli stessi fiorentini nei giorni del crepuscolo della Repubblica poco tempo prima del ritorno dei Medici a Firenze e poi riscoperta in maniera casuale ai tempi della ristrutturazione del Palazzo.

Un’antica Torre ritrovata ed un antico dipinto andato perduto e mai dimenticato. Malgrado qualcuno più volte nel corso dei secoli abbia tentato di cancellarne la memoria, la storia di Firenze è colma di simboli ed è noto che i simboli non si cancellano, rimangono simboli per sempre.

Precisazioni dell’autore

La presunta soluzione dell’anagramma del CERCA TROVA da parte del sottoscritto risale al marzo 2012, proprio durante i giorni delle ricerche della Battaglia di Anghiari di Leonardo da Vinci nel Salone dei Cinquecento. Dopo qualche settimana spesa a cercare di comprendere al meglio quelle vicende storiche, il sottoscritto contattò la redazione fiorentina del quotidiano L’Unità e quei giornalisti furono molto cordiali ma sopratutto attenti perchè la storia dell’anagramma in qualche maniera metteva in dubbio proprio quelle ricerche dietro il dipinto del Vasari fortemente volute dal sindaco Renzi. L’edizione fiorentina de L’Unità pubblicò un articolo firmato da Tommaso Galgani il 16 maggio 2012 dal titolo “L’anagramma choc che sposta la Battaglia di Anghiari”. A quei tempi a Firenze arrivò anche lo scrittore americano Dan Brown per diversi sopralluoghi con il suo staff alla ricerca di spunti per il nuovo romanzo “Inferno“.

Esattamente un anno dopo la pubblicazione dell’articolo de L’Unità, il 14 maggio 2013, uscì in tutto il mondo il romanzo “Inferno”, storia ambientata a Firenze ed imperniata sulla scritta CERCA TROVA e su di un suo anagramma. Il sottoscritto non sa se lo scrittore americano si sia ispirato per la stesura del nuovo romanzo anche alla sua vicenda, sicuramente non è accaduto il contrario.

Marco Mattia

Note:

(1) Vocabolario degli Accademici della Crusca, terza edizione, Nella stamperia dell’Accademia della Crusca, 1691, Firenze : Indice dei proverbi greci, pagina 316.

(2) Vincenzo Lancetti, “Pseudonimia, ovvero Tavole alfabetiche de’ nomi finti o supposti degli scrittori con la contrapposizione de’ veri ad uso de’ bibliofili, degli amatori della storia letteraria e de’ libraj di Vincenzo Lancetti”, Luigi di Giacomo Pirola Tipografo Libraio, Milano 1836.

(3) Gio. Batista Clemente de Nelli, “Vita e commercio letterario di Galileo Galilei Nobile e patrizio fiorentino“ , Volume I, Losanna 1793, pag. 213.

(4) “Catalogo della libreria Capponi o sia de’ libri italiani del fù Marchese Alessandro Gregorio Capponi“, Bernabò e Lazzaroni editori, anno 1747, nota a fondo pagina 161.

(5) S. Salvini, Fasti consolari dell’Accademia Fiorentina, Firenze 1717, p. 80.

Il mistero del Cerca Trova

Un pensiero su “Il mistero del Cerca Trova

  • 31 Maggio 2020 alle 15:58
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    Bello, ben fatto, ottimo articolo!

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