Quello che vi vado a fare non è il solito ritratto di Lorenzo de’ Medici.
Ho voluto, per quanto possibile, tracciarne un ritratto più umano, facendo fede su parole tracciate da personaggi di un certo rilievo storico. Il ritratto di un giovane, con tutti i suoi pregi ma anche con i suoi difetti, con i suoi pruriti e col suo spirito fiorentinaccio.
Lorenzo il Magnifico. O meglio, il Magnifico Lorenzo.
Questo era un riconoscimento onorifico che veniva rivolto alle persone di rango. E Lorenzo, certo lo era.
Ma talmente lo era, che per lui quel “Magnifico” divenne un vezzeggiativo: si parlava di Lorenzo “il” Magnifico, intendendo con questo il lusso, la ricchezza, lo splendore del suo stile di vita ma, soprattutto, la sua liberalità.
A soli vent’anni infatti Lorenzo governava la città di Firenze, con grande fermezza e larghezza di vedute.
Lorenzo, diciamocelo francamente, era brutto. Era molto alto, di corporatura robusta, ma “nell’altre esteriori doti del corpo la natura gli fu matrigna”, essendo “di vista debole” e avendo “il naso depresso ed al tutto dell’odorato privato”, come scriveva Niccolò Valori.
Lorenzo era un tipo autoironico, tanto che scherzava su quest’ultimo punto, ritenendosi fortunato per essergli risparmiati i tanti odori sgradevoli, senz’altro più frequenti di quelli piacevoli.
Aveva un timbro di voce roco, il Guicciardini diceva “pareva parlassi col naso”. Era scuro di capelli e di incarnato, aveva “le gote stiacciate, la bocca grande fuori dell’ordinario”, sentenziava Bartolomeo Cerretani.
Aveva però molta cura del suo aspetto, una certa ricercatezza nel vestire ed era un uomo decisamente simpatico, come ogni fiorentino che si rispetti; aveva sempre la battuta pronta ed amava le spiritosaggini, mantenendo comunque un comportamento impeccabile.
Da ragazzo, con gli amici, Lorenzo aveva inventato un linguaggio cifrato, la “lingua zerga”, con cui comunicavano per iscritto, parlando di fatti osceni, senza che ciò venisse compreso da altri.
La parola “pesce”, per esempio, alludeva alle prostitute. Luigi Pulci una volta scrisse a Lorenzo, che si trovava in Mugello, di rientrare subito a Firenze perché in una casa si era acquartierato un “branco di pesci”.
Lorenzo certo non disdegnava l’argomento, tanto che più volte era stato sorpreso dal suo precettore Gentile de’ Becchi a girare di notte per la città in compagnia di donnine allegre ed era stato duramente rimproverato.
Era un uomo che amava divertirsi, in ogni frangente. Niccolò Machiavelli disse “nelle cose veneree era meravigliosamente involto e si dilettava di uomini faceti e mordaci e di giuochi puerili più che tanto uomo non pareva si convenisse”. Sempre a detta di Machiavelli, questo carattere giocoso era un pregio di Lorenzo: “tanto che a considerare in quello e la vita voluttuosa e la grave, si vedeva in lui essere due persone diverse, quasi con impossibile congiunzione congiunte”.
Francesco Guicciardini, riferendo delle sue attitudini amorose, disse: “fu libidinoso et tutto venereo e costante negli amori sua, che duravano parecchi anni”.
Proprio quando aveva vent’anni, Lorenzo convolò a nozze con Clarice Orsini, la giovane aristocratica romana che sua madre Lucrezia aveva scelto per lui. Gli Orsini avevano buoni rapporti con la Curia Papale, erano soldati di professione e proprietari di grandi appezzamenti di terreno a nord di Roma e nel napoletano.
Il matrimonio tra Lorenzo e Clarice fu attentamente studiato: l’alleanza tra le due famiglie avrebbe portato ai Medici una certa influenza sul papato, compensato la debolezza militare fiorentina e rafforzati i rapporti con Napoli.
Lucrezia Tornabuoni si recò personalmente a Roma per vedere con i propri occhi la futura sposa del figlio e in alcune lettere che scrisse al marito e al figlio descrisse Clarice come una fanciulla alta, graziosa, anche se un po’ troppo snella e con le guance un po’ pendenti, di carnagione chiara; del seno non si era potuta fare un’idea, perché l’abito che indossava era molto accollato. Un difetto era il portamento: “va col capo non ardita come le nostre, ma pare lo porti un po’ innanzi e questo mi stimo proceda perché si verghogniava”. E terminava dicendo che era molto religiosa.
Venne in seguito siglato il contratto e stabilita la dote che Clarice portava con sé, pari a seimila fiorini, tra gioielli, denaro ed abiti.
Il matrimonio avvenne per procura a Roma, dove Filippo de Medici, arcivescovo di Pisa, rappresentò il più famoso parente. Per celebrare l’evento, a Firenze, il 7 febbraio 1469, si svolse un torneo in Piazza Santa Croce.
C’erano diciotto concorrenti e Lorenzo scese in campo montando il cavallo che gli era stato donato dal Re di Napoli. Indossava un cappello di velluto adornato di perle ed aveva con sé uno scudo in cui era incastonato un grande diamante. Aveva una sciarpa con ricamate delle rose ed il suo motto, “le temps revient”, scritto con delle perle.
Al momento del combattimento, tolse il cappello per indossare un elmo, sormontato da tre piume azzurre.
Naturalmente il torneo si concluse con la vittoria di Lorenzo che, benchè fosse caduto da cavallo tre volte, ed una volta fosse stato disarcionato, come premio ricevette un elmo d’argento con Marte sul cimiero.
Giuliano si recò a Roma a prendere la cognata e la mattina del 4 giugno Clarice, che era arrivata a Firenze la notte precedente in groppa ad un magnifico cavallo, con un seguito di cinquanta cavalieri, si recò al portone di ingresso di Palazzo Medici per aspettare Lorenzo. Davanti a tutte le finestre del palazzo erano stati posti rami di olivo, secondo una tradizione fiorentina. Da quel momento, iniziarono tre giorni di ininterrotti festeggiamenti, dalla domenica al martedì.
La festa coinvolse tutta Firenze, dalle famiglie nobili fino ai popolani, che poterono gustare molte vivande che Lorenzo con generosità aveva donato loro.
Nel primo giorno, Clarice ed altre cinquanta donne pranzarono nella loggia rivolta verso il giardino fiorito; nella balconata sovrastante, Lucrezia Tornabuoni intratteneva le dame più avanti con gli anni, mentre sotto gli archi del cortile sedeva il Consiglio dei Settanta, e nel cortile pranzavano gli uomini più giovani.
Altre mense imbandite di vivande erano sistemate sia all’interno del palazzo sia sulla strada affinchè tutta la città, popolani compresi, potesse godere di quei festeggiamenti.
Sul piedistallo della statua del David di Donatello erano disposte coppe di rame contenenti svariate quantità di vini toscani. Il pranzo andò avanti per alcune ore e fu concesso ai partecipanti di riposarsi un po’, dopo di che vi fu la cerimonia della consegna dei regali alla sposa. Tra tutti i regali, merita menzione il regalo di Gentile de’ Becchi, il precettore di Lorenzo: un Libro delle Ore scritto a lettere d’oro su carta azzurra.
Nei tre giorni di festeggiamento il cibo non scarseggiava: “Arrivarono al palazzo di via Larga centocinquanta vitelle, quattromila fra galline e papere, pesci, cacciagione e moltissime botti di vini nostrali e forestieri”.
Piero di Marco Parenti, nipote di Filippo Strozzi, scrisse un resoconto per lo zio esule a Napoli, in cui descrisse minuziosamente l’evento.
“Furono allestiti cinque banchetti nel portico, nella loggia e nel cortile del Palazzo e le dame e i cavalieri erano disposti in tavole separate, come voleva la regola del tempo. Il tavolo della sposa si trovava nella loggia e ad esso erano sedute cinquanta giovani nobildonne; le donne più anziane invece sedevano all’interno del Palazzo e il tavolo era presieduto dalla madre dello sposo, Lucrezia Tornabuoni. Nell’androne vi sedevano i giovani con Lorenzo e Giuliano e, in un altro tavolo, gli uomini più anziani.
Ogni portata era preceduta da squilli di tromba, i portatori si fermavano ai piedi dello scalone e, solo a un cenno stabilito dallo scalco, si dirigevano in parte al piano superiore e in parte nelle logge, in modo che le vivande tutto a un tratto si posavano in ogni luogo.
Circondavano il David di Donatello alte tavole ricoperte da tovaglie; agli angoli enormi bacili d’ottone con i bicchieri e così era anche apparecchiato nell’orto attorno alla fontana.
Sulle tavole una grande tazza d’argento colma d’acqua per rinfrescare bicchieri e bibite.
Poi eravi le saliere d’ariento, forchette e coltellerie, nappi e mandorle confette: confettiere pe’ pinocchiati.
Il banchetto inizia la mattina con portate di morsaletto, poi un lesso, poi un arrosto, poi cialdoni e marzapane e mandorle e pinocchi confetti; poi le confetterie con pinocchiati e zuccata confetta. La sera gelatina, un arrosto, frittellette, cialdoni e mandorle e le confetterie. Come vino si usava Malvasia, Trebbiano e Vermiglio. Ogni tavolo era inoltre rallegrato da danze, musiche e piccoli spettacoli.
L’abbondanza e la generosità dei festeggiamenti per nozze di Lorenzo de’ Medici e Clarice Orsini sancirono in qualche modo la politica di relazione fra la città e la Signoria che la governava, basata sulla magnificenza”.
Anche allora il tempo giocava brutti scherzi: tutto il secondo giorno dei festeggiamenti piovve.
Il terzo giorno gli sposi e la Compagnia si recarono in San Lorenzo, dove si celebrò la messa che ufficializzò il matrimonio.
Da questo matrimonio nacquero sette figli; Clarice nel 1488 si ammalò di tisi e la malattia la condusse alla morte.
Finiva così questa alleanza politica, e Lorenzo, nonostante il matrimonio fosse stato da lui definito “mariage de convenience”, rimase scioccato dalla morte della moglie.
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Molto interessante, anche perchè la prima rivista scritta da Scarnicci e Tarabusi nel 1948 si chiamava” CHI VUOL ESSER LIETO SIA, DEL DOMAN NON V’ E’ CERTEZZA” e vinsero la Prima Maschera D’ argento. Prima di una carriera fortunata , con lo spirito goliardico fiorentino, che non hanno più abbandonato. Grazie Donata Tarabusi