Il fiorino era una moneta con sopra impresso il Giglio di Firenze; fino al XII secolo i fiorini erano coniati esclusivamente in argento.
Nel 1253 i fiorentini decisero che era arrivato il momento di avere una propria moneta, che li identificasse inequivocabilmente: nacque così il fiorino d’oro, a 24 carati, prima moneta aurea del continente europeo .
Originariamente la zecca fiorentina si trovava vicino a Palazzo Vecchio: i suoi macchinari venivano alimentati dalle acque dello Scheraggio, il fosso che correva lungo le mura cittadine.
Agli inizi del ‘300 fu deciso di costruire un nuovo ponte sull’Arno e furono iniziati i lavori sulla riva destra, costruendo un pilone e la torre difensiva; l’alluvione del 1333 fece abbandonare i lavori, ma rimase in piedi la torre (nell’odierna Piazza Piave), nei cui scantinati – sotto il livello dell’Arno – fu trasferita la zecca.
La forza dell’acqua dell’Arno azionava i macchinari: delle ruote dentate sollevavano dei magli.
Ad intervalli preordinati, la mancanza di un dente sulla ruota faceva piombare il maglio sul conio, ritagliando la moneta, sul cui verso era impresso il giglio di Firenze e sul retro l’effige di San Giovanni Battista.
Se il maglio non era ben allineato, succedeva che il bordo della moneta non veniva tagliato perfettamente e quella sfilacciatura veniva raschiata via, diminuendo il peso della moneta. Questa operazione veniva definita “calla”.
Per evitare che monete “callate” entrassero in circolazione, funzionari della zecca pesavano ogni singola moneta e quelle che avevano il peso previsto, cioè 3,54 grammi, venivano chiuse in buste sigillate. Erano i cosiddetti “fiorini di suggello”, garantiti in lega a 24 carati e peso.
I mercanti del cambio svolgevano sostanzialmente due attività: il presto e lo scambio. Nel primo caso concedevano prestiti in denaro che dovevano essere restituiti in un tempo ben preciso, con l’aggiunta di interessi precedentemente concordati. La famiglia degli Strozzi divenne tristemente famosa per via degli altissimi interessi che imponeva ai suoi creditori: pare addirittura che, proprio dalla cupidigia di questa casata, ebbe origine il termine “strozzino”, ancora oggi utilizzato come sinonimo di usuraio.
Il cambio invece consisteva proprio nel cambiare le monete importate con quella fiorentina, vale a dire il fiorino.
Per compiere correttamente questa operazione i mercanti erano soliti battere queste monete sopra un tavolo di marmo per poterne sentire il suono e valutarne così l’effettivo valore. Non è un caso che questo tavolo prendesse proprio il nome di “banco”, da cui poi è derivata la parola “banca”, successivamente adottata nelle maggiori lingue del mondo.
L’unica moneta che non veniva mai battuta sul banco era proprio il fiorino, in quanto ritenuta così solida e affidabile da non necessitare di alcun tipo di conferma.
Su queste antiche monete, come già detto, era raffigurato da un lato il giglio, dall’altro il patrono cittadino, San Giovanni.
Da qui, il detto “San Giovanni un vole inganni“, che esprimeva da un lato il fatto che l’ apposizione della figura del Santo rendeva difficili eventuali falsificazioni, dall’altro, voleva dire che la falsificazione del fiorino era non solo un’azione moralmente riprovevole, ma costituiva anche un gravissimo reato.
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