A Firenze: caffè, leccornie, artisti e letterati tra Otto e Novecento
ovvero ma lo sai dove ti siedi?
Gilli, Paszkowski, Giubbe Rosse, Rivoire, Castelmur, Gran Caffè San Marco
- Firenze tra Otto e Novecento non era nuova ai ritrovi in centro città; già dal Settecento poteva vantare diversi luoghi d’incontro dove consumare dolciumi o bevande scambiando chiacchiere e toscanacce battute, ma anche opinioni e considerazioni in un’atmosfera sospesa tra le delizie del palato e la gradevolezza dell’ambiente. Piacevolezze di un tempo e non solo: antiche osterie, ormai scomparse ma di cui resta precisa traccia nei toponimi cittadini, testimoniano che da sempre Firenze ha prediletto questi luoghi di ritrovo in cui gli intellettuali del tempo, come il Magnifico, si ritrovavano bevendo del buon vino, gustando mangiari e discorrendo amenamente o animatamente. Se dei locali settecenteschi rimane poco più che il nome, possiamo ancora sedere in piazza della Repubblica, allora Vittorio Emanuele, ai tavolini di Gilli, delle Giubbe Rosse e di Paszkowski, o gustare una dolcezza da Giacosa o da Rivoire. E il fenomeno non può essere considerato solo fiorentino ma va esteso alla Toscana, con Firenze a rappresentarla tutta nella storia particolare dei Caffè.
Caffè, birrerie, cioccolaterie terre del gusto ma in cui sono state scritte anche pagine di storia letteraria e artistica o che comunque erano al centro dei movimenti che le creavano, nello scambio, nello scontro e nel confronto. E mi piace allora perdermi in quel tempo di socialità fisicamente condivisa e creativa e, come in un viaggio con la macchina del tempo (nel nostro caso cronaca e fotografia), ricostruirne la storia, le curiosità, le immagini.
E cominciamo con Gilli, perché è stato il più antico Caffè di Firenze: nato nel 1733 non proprio come caffè ma come bottega di “pani dolci” era allora in via de’ Calzajoli angolo via delle Oche, in quel tratto che si chiamava ancora corso Adimari. A metà Ottocento lo troviamo come caffetteria in via degli Speziali, dove offriva anche rosolio e assenzio i liquori preferiti dell’epoca, non lontana dalla nuova e definitiva sede, nel 1910, in Piazza della Repubblica, con aperture in Via Roma oltre che nell’allora Piazza Vittorio Emanuele accanto a Pazskowski. Era frequentato dall’alta società, ma anche da artisti, borghesi e benestanti affermando successivamente la sua prerogativa di caffè letterario. Oggi se all’esterno gli spazi ricavati sulla piazza hanno i caratteri di un’attività recente, l’interno è invece un salto nel tempo: l’arredamento belle epoque, l’antico orologio che sovrasta la vetrata liberty di accesso alla sala da tè, la cioccolata in tazza e non, che Gilli produce da oltre due secoli…
Accanto a Gilli il Caffè Centrale, poi Paszkowski, ma che i Fiorentini chiamavano “puzzuschi”; nacque come birreria.
Karol Paszkowski, nobile polacco, dopo un soggiorno negli Stati Uniti tornò in Europa dove sposò un’austriaca imparando a Vienna la tecnica della birrificazione. Arrivato a Firenze nel 1903 fu pioniere di quest’arte in Italia rendendo famoso, soprattutto nell’Italia centrale, il prodotto con il proprio nome per ben trent’anni quando il marchio venne assorbito dalla bresciana Wührer. Aveva locali grandiosi che si affacciavano con ben tredici porte sulla piazza, su via Tosinghi e su via Brunelleschi, riccamente decorato con specchi e varie suppellettili e un’orchestrina che gli conferivano le caratteristiche di Caffè Concerto. Si affermò come Caffè letterario per la frequentazione assidua di artisti, letterati e musicisti tra cui i membri fondatori delle Riviste “La voce” e “Lacerba” rispettivamente Prezzolini e Papini e Soffici e, tra i suoi tavolini, lo stesso Dino Campana offriva i suoi “Canti Orfici” agli avventori. E nel tempo altri intellettuali noti siederanno nelle sue sale: D’Annunzio, Montale, Saba, Pratolini saranno clienti abituali. Ai Caffè di Firenze avanguardia e tradizione fanno la storia della letteratura e non solo italiana. Ma è dall’altra parte della piazza che le avanguardie la fanno da padrone: alle Giubbe Rosse.
Quando i fratelli Reiminghaus, tedeschi e fabbricanti di birra, nel 1896 aprirono il loro Caffè birreria, nella piazza era stato costruito da un anno l’arco che ancora oggi possiamo vedere, chiamato dai fiorentini “Arcone”, dopo la demolizione del Mercato Vecchio e del Ghetto, cosa che dispiacque ai più, compreso Telemaco Signorini che ne fermò il tempo su varie tele disturbato dalle distruzioni e soprattutto dalle porcherie che venivano su al loro posto. Sorse nel luogo dove, quando esisteva ancora il Mercato vecchio, c’era una vineria. Era diventato il punto di riferimento della comunità tedesca a Firenze, con le sue due grandi vetrate di cui una serviva da ingresso e con i camerieri “attillati in uno smoking rosso fiamma e con un ampio grembiule bianco che li fasciava tutti come una sottana” da cui il nome dato dal nuovo gestore nel 1910.
Così ce lo presenta Alberto Viviani, poeta e pittore fiorentino, cronista degli avvenimenti e dei personaggi di quegli anni nel suo libro “Giubbe Rosse” edito nel 1933:
Due grandi vetrate, una chiusa ed una che serviva da ingresso, sormontate da un fregio in legno massiccio con un angiolo ghiotto di birra, sotto una grande scritta: “Reinighaus”; molte lampade ad arco, di quelle che oggi si riscontrano soltanto a Parigi e che spandono una strana luce riposante, sfolgoravano all’ingresso […]Nella prima sala […] placidi e massicci tedeschi immersi nella lettura […]”Le Giubbe Rosse” erano fornite dei quotidiani e delle riviste di tutto il mondo […] Più che un caffè le prime due sale avevano l’aspetto di un circolo di lettura […] ma la pace sonnacchiosa venne sconvolta quando dal 1913 la terza sala diventò la sede fissa del gruppo di “Lacerba” e quindi dei futuristi fiorentini.
Fu proprio a partire da questa data che Papini e Soffici frequentatori fino a quel momento del Paszkowski e del Castelmur si stabilirono definitivamente alle Giubbe Rosse. Questo girovagare tra i Caffè non deve stupire, da sempre letterato ha fatto rima con squattrinato e i nostri artisti e innovatori non facevano eccezione: si sistemavano dove il credito era ancora disponibile!
Piazza Signoria, Palazzo Lavison costruito su progetto dell’architetto Landi nel 1868 al posto della Loggia dei Pisani e della chiesa di Santa Cecilia: la grande ricostruzione di Firenze capitale era cominciata e, come ebbe a scrivere il Pesci, fedele cronista di quegli anni, i “buzzurri”, calati in Toscana dopo la proclamazione, si erano accaparrati i posti migliori per le loro botteghe; è lì, nei grandi fondi commerciali del palazzo che nel 1872 si insedierà la fabbrica di “cioccolata a vapore” del piemontese Rivoire. In effetti la posizione che ancora oggi occupa il locale è davvero mirabile. Il fondatore, Enrico Rivoire, era torinese e fornitore della casa reale; quando la capitale fu trasferita da Torino a Firenze, il cioccolattiere si trasferì al seguito, ma preferì restare quando la capitale nel 1870 fu spostata a Roma probabilmente incantato dallo spettacolo che la bella piazza offriva…
- Non lontano, su via dei Calzaioli angolo via dei Tavolini, un caffè oggi scomparso ma che ha riempito della sua storia e dei suoi trascorsi varie pagine, anche negli scritti dei protagonisti “ogni volta che ripenso alla bella compagnia del quieto e grave Castelmur” scriveva Ardengo Soffici in una lettera indirizzata all’amico Papini parlando del caffè tra i più antichi della città impiantato dagli Svizzeri nel 1700, detto pertanto anche Helvetico, dove al posto del vino si “mescevano” le nuove bevande: caffè e cioccolatte. Talmente rinomati e apprezzati, i suoi prodotti di pasticceria parteciparono alla prima Esposizione nazionale dell’appena nato Regno d’Italia, tenuta a Firenze nel 1861 presso la Stazione Leopolda, riadattata allo scopo. Se agli inizi della sua attività il locale era frequentato dagli svizzeri e dai tedeschi, nella lunga vita del Caffè Castelmur, anche i fiorentini e letterati illustri lo avevano eletto a proprio punto di ritrovo. Così come il fondatore della rivista “Il Leonardo” nei primi anni del Novecento o come Carlo Lorenzini in arte Carlo Collodi con spirito arguto nel suo “Un romanzo in vapore. Da Firenze a Livorno. Guida storico umoristica”, pubblicato nel 1856, lo descriveva nella pagina dedicata ai fiorentini al Caffè “è il piede a terra di tutti gli oziosi e di tutti gli intelligenti di pasticceria e di bevande spiritose. Le sue manifatture sono accreditatissime presso i buon-gustai e meritatamente. La sua posizione topografica lo rende necessariamente il luogo di Stazione di tutti i vagabondi, che traversano dalla mattina alla sera, la popolatissima via dei Calzaioli”.
Lasciamo via de’ Calzaioli e ci dirigiamo verso Piazza San Marco dove all’angolo con via Larga, oggi Cavour, nel 1870 aprì il Gran Caffè San Marco, con il nome di “Caffè Fanti” il generale la cui statua in bronzo, opera di Pio Fedi, fu posta nel 1872 fra le aiuole del giardino al centro della Piazza. Ritrovo degli studenti della vicina Facoltà di Lettere e dei frequentatori della Biblioteca Marucelliana o dell’Accademia delle Belle Arti o della Libreria di Ferrante Gonnelli, nella vicina Via Cavour, o dal nutrito gruppo di professori e intellettuali come Luzi e Bigongiari, solo per citare i nomi di alcuni tra i maggiori esponenti toscani di quel movimento che prese il nome di Ermetismo (oltre a Bo, Parronchi, Macrì). Quel Caffè, e non le aule della vicina università, era il più frequentato dai giovani di allora, con Renato Poggioli, lo slavista, a fare da maestro, lì la sede della vera università.
Caffè, leccornie e giovani avanguardie culturali che hanno caratterizzato il periodo tra la fine dell’Ottocento e i primi trent’anni del Novecento.
A Firenze: caffè, leccornie, artisti e letterati tra Otto e Novecento (prima parte)
A Firenze: caffè, leccornie, artisti e letterati tra Otto e Novecento (seconda parte)