I Baglioni erano erano stati i signori incontrastati di Perugia in contrapposizione ai Malatesta. Leone X de Medici aveva esiliato i figli di Giampaolo Baglioni dopo averlo messo morte (1520). Poi c’era stato il Sacco di Roma che aveva provato la capitale e Clemente VII. Siamo nel 1529, il Malatesta al soldo del fiorentini contro l’armata Imperiale e pontificia del Principe d’Orange che voleva restaurare il potere dei Medici.
Baglioni rientra a Perugia restaurando la sua criptosignoria, ma Perugia resta sotto le mire della chiesa. Ridolfo Malatesta sempre al servizio di Firenze, di Alessandro de Medici prima e di Cosimo I dopo, alla testa delle truppe medicee respinge i repubblicani nella gloriosa vittoria di Montemurlo del 1537.
Le varie guerre in cui la chiesa era impegnata in Italia, il devastante Sacco di Roma e i un nuovi impegni militari contro i pirati Turchi, prosciugano le casse papali. L’unico sistema per risanare le finanze era di aumentare le tasse.
Paolo III impose quindi delle nuove imposte, tra le più esose, quella sul sale a Perugia. Perugia, in risposta, capeggia una velata rivolta con altre città poco inclini anche loro a pagare i debiti del Papa.
Tra queste, la stessa Firenze di Cosimo de’ Medici si oppone anche lei a questo nuovo dissanguamento, in più è già in attrito con la chiesa per via di una disputa sul Ducato di Camerino tra la Santa Sede e Urbino. Contesa che fu risolta solo dopo un esborso di 64 mila ducati pagati dalla chiesa per annettesi questo territorio.
Siamo arrivati nel 1539 e mentre Cosimo I si oppone al pontefice per queste nuove esazioni, Perugia intanto subisce questa forte tassazione sul sale. Nonostante sia già in crisi economica, dopo aver tentato un accordo, è costretta a prepararsi alla guerra pur sapendo che dovrà spendere un ingente cifra per sostenerla. Intanto il Papa si avvicinava alla città con il suo esercito.
Tra il Vicere di Napoli, che stava aiutando il Papa concedendo i servigi dei suoi soldati, e il Papa si inaspriscono i rapporti a causa di un matrimonio della figlia del Vicere Eleonora e Cosimo de’ Medici. Il matrimonio crea un forte legame tra Firenze e Napoli, che porterà la corte pontificia ad opporsi a Carlo V legato anche lui al regno di Napoli.
Ovviamente il Vicere ritira i suoi soldati con la scusa di doverli opporre ai pirati. Il momento è assai critico, dato che molte città italiane stavano per rivoltarsi al Papa.
In questa crisi sempre più grande il governo fiorentino si propose come mediatore tra il Papa e Perugia coinvolgendo anche Carlo V. Nel frattempo, piano piano, tutte le città italiane che avevano abbracciato la rivolta abbandonarono Perugia. Con le spalle al muro Perugia optò per una particolare decisione: Donare la città a Cristo per farlo divenire protettore e difensore sia dei cittadini che della città stessa. Si trattava di una sottomissione rituale in cui Cristo diventava protettore e capo della centro abitato. La stessa funzione per proteggere un centro, si ebbe a Firenze durante l’assedio tra il 1529 e il 1530.
Com’era successo a Firenze, tutti i cittadini dovevano essere sottoposti ad atti di purificazione, preghiere, funzioni religiose, penitenze, processioni ed ad invocare l’intercessione divina. La delicata e singolare funzione di donazione fu addirittura pronunciata in italiano volgare, affinché tutti la sentissero, vi partecipassero e la comprendessero.
Cosimo I, intanto, aveva caldeggiato l’invio di un’ambasciata di Perugini presso la corte di Carlo V, in realtà opportunamente anticipati dal Papa, il quale aveva ovviamente ambasciatori presso l’imperatore.
A Perugia ora serviva un valido capitano per l’esercito, fu chiamato Ridolfo Malatesta era al servizio di Cosimo I. Il Papa aveva espressamente richiesto al Duca di non “prestarlo” a Perugia, anche perchè sapeva che Firenze, subdolamente, stava aiutando economicamente Perugia arruolando soldati da inviargli.
Fu allora contattato il Baglioni che da poco aveva ricevuto il perdono papale e riottenuto beni e privilegi, il quale, di certo, se sconfitto avrebbe avuto molto da perdere. Cosimo I fece firmare al Baglioni un impegno in cui dichiarava che sarebbe rimasto fedele all’Imperatore, cosi lo obbligò a non opporsi al Papa. In realtà Cosimo ambiva a porre sotto il suo controllo la città di Perugia e tutto ciò che faceva era per ottenere questo risultato.
I Perugini ancora non erano entrati in guerra ma già la tassazione per l’esercito e le armi l’aveva ridotta sul lastrico, intanto l’esercito del Papa entrava nei loro territori.
Cominciano i primi scontri, in realtà tafferugli, niente di definitivo ed eclatante, venivano però bloccate le vie di comunicazione alla città stessa.
Intanto Cosimo I aveva congedato Ridolfo Baglioni che prese subito, anche se dubbioso, il comando delle truppe di Perugia. Baglioni scrisse una lettera cifrata a Firenze per Cosimo I in cui diceva di aver preso contatti con Braccio Baglioni e Girolamo Orsini, capitano dei pontifici, nella speranza di intavolare trattative atte a scongiurare il peggio.
Perugia non era in grado di sostenere una guerra lunga e allo stesso tempo il Papa era preoccupato per i validi capitani al servizio di Perugia che potevano dargli filo da torcere.
Nonostante i papalini arrivarono fino sotto le mura, furono respinti dai perugini.
Girolamo Orsini, il capitano, era imparentato con il Baglioni, conoscendolo e fidandosi di lui cercò di parlamentare. Il Baglioni poteva contare su 2.000 uomini, mentre il Papa ne metteva in campo almeno 10.000. Baglioni non poteva quindi permettersi uno scontro campale. Nell’attesa, sotto gli occhi dei perugini, i papalini invadevano e devastavano le campagne in attesa dell’arrivo della loro artiglieria.
Ridolfo scrisse nuovamente a Firenze dicendo che il suo scopo era di trovare un accordo, dato anche che le sue truppe si stavano ribellando non essendo state pagate.
Girolamo Orsini propose, che per salvare la città, di accettare la tassazione sul sale, oltre che la sottomissione al Pontefice, ma il Papa ormai inasprito pretendeva la capitolazione di Perugia e l’insediamento di una sua guarnigione di controllo in modo da poter punire i rivoltosi.
Alla fine la capitolazione di Perugia, l’esercito della città ottenne l’onore delle armi. Furono preservati i beni dei cittadini e la loro incolumità, il consiglio dei 25 veniva sciolto e mentre i suoi componenti fuggivano verso Firenze e Siena, il controllo della situazione rimase nelle mani di Girolamo Orsini che tratteneva il grosso dell’esercito fuori le mura. Intanto Pierluigi Farnese entrava nella città direttamente nel palazzo dei Priori.
Oltre a subire la sconfitta i perugini dovettero fornire il vitto alle truppe vittoriose, subire la tassazione del sale, abolire la magistratura dei Priori. Fu emanato l’obbligo, verso i fuggitivi, di ritornare immediatamente pena la confisca dei loro beni.
Venne revocata la scomunica ai cittadini emanata dal Papa durante l’insurrezione, ma vennero murate le porte della città , tranne le cinque principali, sequestrati alcuni beni tra cui le catene per impedire il passaggio dei nemici nelle vie durante la guerra e le lampade in ferro, (il valore del sequestro è dubbio, ma pare fosse molto elevato). Vennero abbattute le case dei Baglioni e all’interno della cittadina fu costruita la famosa Rocca Paolina a monito per eventuali future idee di rivolta, la stessa esercitava il controllo della città e dei cittadini.
Pingback:FlorenceCity-Rivista Fiorentina - Caterina de’ Medici, la duchessina