Il 27 settembre 1593 venne pubblicato un bando per ordine del granduca Ferdinando I de’ Medici, con cui veniva ordinato a tutti gli orefici della città di Firenze di trasferirsi nelle botteghe di Ponte Vecchio, che fino a quel momento erano state occupate da beccai (macellai), ortolani e pesciaioli.
I beccai, gli ortolani e i pesciaioli avevano sede sul Ponte Vecchio fin dal 1345 quando, dopo una rovinosa alluvione, il ponte venne ricostruito. Il bando venne fatto con lo scopo di rendere più decorosa la zona del Ponte Vecchio che, come si sa, attraversato dal corridoio vasariano, facilitava ai regnanti il passaggio tra Palazzo Vecchio ed il Palazzo Pitti.
Inoltre, le botteghe di orafi, oltre ad abbellire la zona rendendola fruibile alla parte nobile della popolazione, garantivano senza dubbio un introito di imposte più alto rispetto alle botteghe dei beccai o dei pizzicagnoli. E’ risaputo inoltre che la presenza di beccai e altri commercianti di vettovaglie disturbasse, con gli schiamazzi procurati dall’avvicendarsi di buona parte del popolino, la passeggiata del Granduca, che decise pertanto di ovviare al problema con questa soluzione.
Tuttavia, non va tralasciato di parlare anche della situazione igienica creata dalle attività presenti in precedenza su Ponte Vecchio, ricollegabile anche ad una motivazione di “decoro” che mancava: la presenza di beccai e pesciaioli era non solo origine di un terribile odore, ma fonte di inquinamento delle acque dell’Arno in cui venivano gettati scarti di bestiame, verdure e pesci, problema che con il commercio di preziosi veniva debellato.
All’uscita del bando di Ferdinando I, i proprietari delle botteghe, visto l’obbligo che veniva dato agli orafi di trasferirvisi, colsero la palla al balzo per aumentare le pigioni delle botteghe, arrivando persino a chiedere più del doppio di quanto avevano riscosso fino ad allora. Gli orafi allora, visti i sacrifici cui venivano loro malgrado costretti, decisero di rivolgersi al Granduca, per intercedere per loro conto con i proprietari delle botteghe, affinchè si accontentassero di mantenere le pigioni dello stesso tenore di quelle fino ad allora riscosse, comportandosi con onestà nei loro riguardi. Il Granduca ritenne giusta la richiesta degli orafi e con un nuovo bando ordinò che, per tre anni, le pigioni non avrebbero dovuto subire rincari. Stabilì anche che le botteghe dovessero essere decorosamente tenute, a spese degli orafi, per “l’uso dell’arte loro”.
Le botteghe di cui si parla non sono certamente quelle che vediamo adesso, che vennero fatte negli ultimi anni del regno di Cosimo III, ovvero agli inizi del XVIII secolo, e che vennero chiamate “madielle”, dal fatto che hanno vetrine sporgenti, con serrande a sportelli, che per certi versi ricordano un po’ una madia. Per costruire le madielle occorse restringere il ponte da ambo i lati e si perse in parte la forma delle botteghe che erano state costruite, assieme al ponte, nel XIV secolo.
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