Figlio di Caterina Sforza e di Giovanni de’ Medici. In realtà il suo nome era Ludovico, come il fratello della madre, cioè Ludovico il Moro Sforza. Giovanni (così chiamato alla morte del padre) venne ritenuto da Machiavelli l’unico in grado di contrastare Carlo V.
Fu l’ultimo condottiero d’Italia, tra la fine del 1400 e il 1500, ad indossare ancora l’armatura pesante nonostante l’uso sempre più frequente delle armi da fuoco. Crebbe in un convento dato che la madre era ivi prigioniera a causa di Cesare Borgia, il quale cercava di conquistare i di lei territori. Fu poi affidato alla tutela di Jacopo Salviati, marito di Lucrezia de’ Medici, con il quale ebbe un’infanzia turbolenta, fino ad assere bandito da Firenze a causa dell’omicidio, durante una lite, di un coetaneo.
Trasferitosi a Roma (1513) entrò nelle milizie pontificie sotto papa Leone X de’ Medici. A causa dell’uccisione di un membro della famiglia Orsini fu allontanato da Roma e rimandato a Firenze.
Si dimostrò ottimo condottiero sconfiggendo, ad Urbino nel 1516, i Della Rovere, ma soprattutto riorganizzando le fila della cavalleria pesante papale. Insegnò la disciplina ai suoi rozzi uomini, e li organizzò usando piccoli cavalli berberi e turchi, animali più maneggevoli ed adatti alle imboscate. Usò trucchi di combattimento come ad esempio scurire le armature per renderle meno visibili durante gli spostamenti, questo gli valse il nomignolo delle “Giovanni delle Bande Nere”.
Si alleò con Carlo V contro Francesco I per aiutare gli Sforza, ma essendo bande di ventura cambiarono spesso formazione fra Carlo V e Federico I.
Sembra inoltre che alla morte di Leone X, in segno di lutto, annerì le sue insegne che dal colore bianco e viola passarono al nero lutto alimentando ancora la sua leggenda, stimolata anche dal sua amico e biografo il poeta Pietro l’Aretino.
Nel 1523 sconfisse in battaglia i Francesi e gli Svizzeri e nel 1526, durante la discesa dei Lanzichenecchi di Georg von Frundsberg, visto che nei d’Este nei Gonzaga riuscivano a contrastare i tedeschi intervenne e tra il fiume Po e il Mincio cercò di contrastarli. Nello scontro fu ferito da un falconetto procurandogli una ferita che poi si infettò e nonostante l’amputazione della gamba lo portò alla morte.
segue…. Il mestiere delle armi di Ermanno Olmi. (articolo in uscita lunedì 9 luglio)