Sappiamo tutti che al tempo del fascio la libertà individuale era estremamente precaria, come in tutte le dittature; anche le attuali sepur ben nascoste ed oligarchiche mimano comportamenti similari anche se applicati senza violenza e mediante il condizionamento di massa.
A Firenze, come in tutta Italia, nel 1934 si svolsero le elezioni per i membri della Camera dei Deputati. Il sistema elettorale prevedeva il diritto al voto solo ai cittadini maschi iscritti a un sindacato o a una associazione di categoria, in servizio permanente nei corpi armati dello Stato, oltre ai religiosi. Il sistema di voto era molto semplice, gli elettori potevano votare SI o NO alla lista dei deputati designati dal gran consiglio del fascismo. Un poco come le liste attuali, dove i nomi imposti dai partiti vincono sempre, una lista bloccata. All’epoca o quella formazione o il NO. Il problema sorgeva in quanto l’elettore veniva fornito di due schede, una bianca con il NO e una su tricolore con il SI. La scheda scartata veniva cestinata nella cabina elettorale e l’altra consegnata all’urna esterna. Il sistema era di per se inibitorio, la differenza fra le schede induceva alla scelta di quella tricolore del SI, ma non era solo questo a spronare le persone a votare SI. In pratica il presidente del seggio, ovviamente facente parte del partito fascista, alzava la scheda in aria e gridando il nome del Cittadino aggiungeva “A votato!”. Alzando la scheda controluce, nonostante fosse piegata, tutti potevano vedere se la scheda era bianca o con il tricolore e tutti, soprattutto taluni, sapevano cosa aveva votato il Cittadino.
Con queste premesse raccontiamo la storia di Gino Paganelli, un fiorentino che abitava nel quartiere Santa Croce, conosco l’indirizzo esatto ma preferisco ometterlo. Gino era un socialista, uno dei pochi che aveva capito che cosa era il fascismo, uno degli integerrimi che non scendeva a patti con la propria coscienza.
I pochi votanti contemplati dal Suffragio universale vigente dal 1912 erano “invitati” al voto e se non si presentavano spontaneamente venivano richiamati all’ordine sotto casa. Il Gino conoscendo il sistema elettorale non voleva andare a votare ed era uno dei richiamati. “oooohhh bigio, vieni a votare“, con questo grido gli squadroni si presentavano sotto casa dei Cittadini, compreso sotto casa del sor Gino.
La moglie di Gino impaurita e piangente lo pregava di andare, i tonfi alla porta e le grida per strada lo mettevano alla berlina con il vicinato, il rischio di ripercussioni sul lavoro erano forti, insomma il sor Gino dovete cedere.
Accompagnato al seggio dallo squadrone di turno il povero Gino Paganelli fu spronato in cabina, ma la sua anima socialista, il desiderio di libertà, la ribellione alle coercizioni ebbero il sopravvento e fu cestinata la scheda tricolore. Ovvio che il presidente di turno alzando la scheda contro la finestra mostrò allo squadrone che lo aveva “gentilmente” accompagnato il voto espresso e ovviamente gli fu promessa una “piccola e innocua” rimostranza.
Alcuni giorni dopo il voto il sor Gino tornava dall’osteria dove aveva passato una serata con gli amici a bersi un buon bicchiere di vino, evidentemente non era l’unica cosa che doveva bere quella sera e infatti si ritrovò circondato da gentiluomini in camicia nera. Il Paganelli tentò la fuga correndo ma vistosi perso si rifugiò in un vespasiano a muro. Il vespasiano a muro era fatto con due pareti metalliche ai lati e offriva un minimo di protezione agli attacchi laterali. Spalle al muro, dentro l’orinatoio, immerso nel puzzolente liquido, si difese a spada tratta, assestando anche qualche bel colpo. Resistette a lungo ma la differenza numerica era troppa e alla fine ebbe la peggio. Estratto dal suo rifugio e zuppo di piscio si ingollò il suo bel litro di olio di ricino. Lasciato libero e deriso, mezzo pesto, tornò a casa dove probabilmente si svuotò di tutte le maledizioni che aveva in corpo.
All’epoca i Gino Paganelli erano pochi, ma anche oggi non sono tanti di più.
oggi non ci discostiamo molto da quel periodo… però allora lo Stato funzionava le opere pubbliche si facevano e con serietà….per quanto riguarda l’ordine pubblico preferisco le camicie nere alla mafia, alla droga, alla delinquenza, ed alla inefficienza delle Istituzioni Statali, regionali, provinciali e regionali….
Guardi, ero certo che un nostalgico si faceva vivo, ma lei estremizza. Porsi come scelta il fascismo alla inefficienza statale o viceversa include solo due possibilità. Il bello che queste due condizioni si generano entrambe da due dittature. Nel caso del fascismo di un singolo, nel caso odierno di una oligarchia finanziaria voluta dal liberismo sfrenato. Non si preoccupi, come insegna la storia, dopo un periodo di liberismo si ha come conseguenza il riaffermarsi dei fascismi, attenda e presto sarà di nuovo soddisfatto.
Jak
Purtroppo anch’io sono a conoscenza di questi trattamenti. Mio nonno, da parte di madre, che era una bravissima persona sotto tutti i punti di vista, riferito ciò non da parenti, ma da persone estranee che lo conoscevano, aveva una piccola ditta, chiamiamola così, di calzature. Non era fascista, ma fu costretto a diventarlo, perchè senza tessera del fascio non potevi esercitare nessuna attività e essendo povera gente, non potevano permetterselo, comunque anche a lui per “convincerlo” gli fecero bere il solito litro della cara bevanda. Purtroppo non l’ho mai conosciuto, morì di polmonite per assistere un fratello che l’aveva contratta non permettendo alla giovane moglie, madre di 2 bimbi piccoli di farlo lei e così morirono tutti e due a poca distanza l’uno dall’altro.