Francesco Ferrucci nacque a Firenze nel 1489 in via Santo Spirito, da una agiata famiglia di mercanti fiorentini. Da ragazzo stimolato dalle prediche del frate ferrarese Girolamo Savonarola, fu a capo della parte più intollerante dei seguaci del priore di San Marco chiamati “Fanciulli del Savonarola”. Si impegnò nel sequestrare e distruggere quelli oggetti considerati espressione del lusso, impudicizia e paganesimo. Aveva già fama di audacia e intransigenza, rafforzata dalla solitudine dei luoghi frequentati nei periodi passati in Casentino nelle terre di famiglia.
Il padre cercò di avviarlo alla mercatura, ma Francesco completa la preparazione dalla vita cittadina, divenendo il più abile e bravo spadaccino, e si interessa se pur da lontano alle vicende cittadine e italiane. Nel 1527 entra nella politica cittadina chiamato da Giovan Battista Soderini, dopo la cacciata dei Medici all’età di 38 anni si arruola nelle Bande Nere. Fa parte della lega formata per portare la guerra nel regno di Napoli governato dagli spagnoli dell’Imperatore Carlo V. Ma la spedizione militare fallisce, ed è costretto a rientrare in Toscana.
Fallite le trattative con Carlo V e Papa Clemente VII per salvare la Repubblica Fiorentina, il Gran Consiglio degli Ottanta e tutto il popolo decidono per la resistenza ad oltranza. Il Ferrucci viene nominato da Donato Giannotti Segretario dei Dieci di Guerra, Commissario agli approvvigionamenti a Prato e in seguito a Empoli. In questo periodo si conquista la fama di grande combattente, riuscendo a conquistare San Miniato al Tedesco, caposaldo degli imperiali.
Fabrizio Maramaldo nel febbraio del 1530 si era unito alle truppe di Filiberto di Chalons, per partecipare all’assedio di Firenze e costringere i fiorentini a cedere e ad accettare il ritorno dei Medici. Intanto Volterra si era ribellata alla Repubblica con l’intento di passare agli spagnoli. Ferrucci venne incaricato di riconquistare quella città, e dato che era un esperto nella guerriglia, di attaccare i nemici quando si presentava una occasione favorevole e per allentare la pressione su Firenze.
Attaccò la città ribelle conquistandola dopo un’aspra battaglia e si preparò a sostenere il ritorno dei nemici. In quella battaglia avviene il primo incontro con Fabrizio Maramaldo, venendo da lui sconfitto e facendo nascere un odio implacabile verso Francesco. Una leggenda racconta che i soldati del Ferrucci, solevano prendere in giro il Maramaldo, associando il suo cognome al miagolio di un gatto, e sporgendosi dalle mura facevano il verso del gatto, e a volte gettavano nel campo nemico dei gatti. Il nobile napoletano tentò allora subdolamente di sollevare i volterrani contro il Ferrucci. Inviò un Araldo ai fiorentini con la proposta di arrendersi, ma il Commissario capì l’inghippo, dopo la resa i repubblicani sarebbero stati massacrati, respinse le richieste dell’avversario, dicendo al povero Araldo di non ritornare da lui. Lo avrebbe ucciso!
Il Maramaldo rimandò al Ferrucci il malcapitato con nuove proposte. Il Commissario fiorentino l’ascoltò e come promesso lo fece uccidere. Il corpo dell’Araldo fu legato ad un palo e tenuto in bella mostra per i nemici. Il comandante napoletano, offeso ordinò di attaccare la città e spazzare via gli avversari. Ma dopo una violenta battaglia venne sconfitto e costretto a ritirarsi. Questa sconfitta aumentò in lui l’odio verso il suo avversario. Non sopportava l’idea che lui di origini nobili potesse essere sconfitto dal figlio di un mercante. Nella difesa della città di Volterra, si ebbe da parte del Ferrucci un atto valoroso. Per continuare a incitare i suoi soldati nella battaglia, benché ferito a un ginocchio in un precedente scontro, si fece legare ad una seggiola continuando a combattere e ad incitare i suoi uomini.
Lasciata Volterra ai nuovi Commissari, si mise in marcia per raggiunger Pisa. La Signoria gli ordinò di passare dal paese di Montale e attraverso le Montagne entrare in Mugello scendere verso Firenze per prendere alle spalle gli imperiali. Malatesta Baglioni intanto aveva tradito i repubblicani, comunicando all’Orange la strada percorsa dal Ferrucci. Il Maramaldo si mosse per prendere alle spalle i fiorentini, in attesa delle truppe del Principe che lasciata Firenze avrebbe stretto in una tenaglia le truppe del Ferrucci. La Signoria per evitare il congiungimento degli imperiali, aveva organizzata una sortita della Milizia cittadina contro l’Orange per impedirgli di muoversi, ma ciò non avvenne per l’inerzia del Baglioni.
Il Ferrucci nell’attraversamento delle montagne, aveva perso la strada per Montale, avendo saputo che il Maramaldo e l’Orange stavano per raggiungerlo capì che la Milizia cittadina non aveva fermato i soldati del Principe per il tradimento del Baglioni, e per sfuggire all’accerchiamento si diresse verso Gavinana per l’ultima battaglia. Il Maramaldo entrò per primo nel paese pistoiese, preparandosi a sostenere l’attacco dei fiorentini. Lo scontro fu violentissimo, con morti e feriti da ambo le parti, fin quando i ferrucciani riuscirono ad entrare raggiungere la piazza principale a combattere contro l’Orange arrivato a sostenere le truppe del Maramaldo.
Nello scontro, il Principe venne ucciso da due colpi di archibugio. Il suo cavallo impaurito scombinò le truppe attaccanti, facendo fuggire dalla battaglia i suoi cavalieri. Questi nella fuga giunsero a Pistoia recando la notizia dell’uccisione dello Chalons. I fiorentini ricevuto le bandiere del Principe e intuendone la morte, raddoppiarono i loro sforzi riuscendo a controbattere gli avversari. I Lanzi stanziati ad un miglio da Gavinana, fermarono i fuggiaschi tornando insieme a loro al teatro della battaglia. Il valoroso Comandante fiorentino con pochi superstiti tentava un’ultima resistenza rifugiandosi in una capanna, ma sopraffatto e ferito venne fatto prigioniero e portato davanti al Maramaldo.
Venne disarmato e ingiuriato dai nemici per le sue origini popolari. Francesco rispose alle offese con grande dignità e non chiese pietà, facendo infuriare il Maramaldo. Questi offeso dallo stoico comportamento del Commissario fiorentino, estrasse il pugnale colpendolo alla gola per finirlo. La leggenda narra che mentre il Maramaldo lo colpiva gli dicesse: Questo per il tamburino di Volterra! E l’altro con un alito di vita gli gridava: Vile, tu dai a un morto!
Quattrocento anni dopo, precisamente nel 1930, per onorare degnamente l’eroico Capitano caduto nel tentativo di raggiungere Firenze assediata dagli imperiali, al gerarca fiorentino Alessandro Pavolini venne l’idea di riesumare la storica partita di Calcio in Livrea al tempo dell’assedio. Da allora tutti gli anni nel mese di giugno, si svolge il Torneo di Calcio in Costume, giocato dai calcianti rappresentanti i quattro Quartieri storici della città.