Francesco Carletti era un mercante fiorentino, nato fra 1573 e il 1574. La sua vita fu decisamente avventurosa.
Era figlio di Antonio Carletti e Lucrezia Macinghi, una famiglia di mercanti, e venne subito coinvolto dal padre nella sua attività mercantile. A soli vent’anni partì insieme al padre per un fantastico viaggio, che lo portò a stare per quasi 15 anni in giro per il mondo.
Da Siviglia, facendo tappa alle isole di Capo Verde, partirono per le Americhe, arrivarono alle Indie Occidentali, raggiunsero nel 1596 le Filippine, poi il Giappone, e la Cina, dove il padre Antonio morì di calcolosi, detta “mal della pietra”, nel 1598. Francesco proseguì da solo il viaggio raggiungendo l’India dove, avendo immagazzinato un enorme carico di merci, salpò nel 1601 per il continente europeo, giungendo in Olanda, e facendo infine ritorno a Firenze nel 1606.
Giunto a casa, Francesco decise di scrivere le memorie del suo viaggio straordinario.
Durante il suo girovagare aveva sempre annotato, a memoria fresca, il resoconto dettagliato di ciò che aveva visto, ma durante un abbordaggio le sue annotazioni andarono perdute. La nave con la quale stava rientrando in Europa, che doveva fare rotta verso Lisbona, fu attaccata dagli Olandesi, che erano in lotta coi Portoghesi per il dominio dei mari, e il carico fu sequestrato completamente.
Francesco protestò di essere un suddito del Granduca di Toscana e venne lasciato libero, ma le sue fortune, i beni accumulati in tanti anni di viaggi e commerci, furono tutti sequestrati come bottino.
Da buon mercante, tuttavia, l’idea di trascrivere le sue peripezie nel manoscritto “Ragionamenti di Francesco Carletti, Fiorentino, sopra le cose da lui vedute ne’ suoi viaggi”, si rivelò vincente; ebbe subito enorme successo e girò a lungo in forma manoscritta, prima di venir stampato nel 1701.
Francesco Carletti nei suoi Ragionamenti descrive tante materie prime, che viste con occhio da mercante potevano essere una valida merce di scambio. Particolarmente, nel descrivere le piante da lui viste nelle Indie Occidentali, parla della banana, del cocco, della patata americana che a dir suo “sa di castagna”, ed è uno tra i primi a descrivere precisamente il “Caccao” e le modalità di preparazione della bevanda detta “Cioccolatte”.
Una versione “rivisitata” in italiano corrente della descrizione del cacao da parte di Carletti è questa:
“Il Cacao è un frutto celebre e di vitale importanza per quel Regno, tanto che si dice se ne consumi ogni anno più di cinquecentomila scudi. Questo frutto serve anche come moneta da spendere, per comprare al mercato le cose di uso comune. Per la moneta di un giulio ne danno settanta o ottanta, a seconda del raccolto.
Ma il suo consumo principale è in una certa bevanda che gli Indiani chiamano “Cioccolatte”. Questa bevanda si fa mescolando i frutti del Cacao, che sono grossi come ghiande, con acqua calda e zucchero.
Prima i frutti vanno seccati molto bene e abbrustoliti al fuoco, poi disfatti su delle pietre (come fanno i pittori quando macinano i colori) fregando il pestello, anch’esso in pietra, lungo la pietra piana e liscia. Così si viene a formare una pasta che disfatta nell’acqua serve da bevanda, ed è bevuta comunemente da tutti i nativi del Paese e dagli Spagnoli e da tutti gli abitanti delle altre nazioni che qui giungono. Una volta che si avvezzano, tutti ne diventano così viziosi che con difficoltà poi possono rinunciare a berne ogni mattina, o il giorno dopo desinare, quando fa caldo, in particolare quando si naviga.
(…) Bevono il “Cioccolatte” in delle ciotole (che loro chiamano “Cicchere”), e mescolandolo con un legnetto e girandolo fra le palme delle mani, gli fanno fare una spuma di color rosso, e appena fatta, avvicinano la bocca e lo tracannano in un fiato con mirabil gusto e soddisfazione della Natura, alla quale dà forza, nutrimento e vigore tale, che chi di solito ne fa uso non si mantiene robusto se smette di berne, anche se prende qualcosa di più sostanzioso.
Ho provato il Cioccolatte mentre ero in Messico, e mi piaceva e giovava assai. E quasi non mi pareva di poter stare un giorno senza.”
Le descrizioni di Francesco Carletti sono davvero colorite; anche Francesco Redi scrisse nelle sue Annotazioni al Ditirambo: “Uno de’ primi, che portassero in Europa le notizie del cioccolatte, fu Francesco di Antonio Carletti Fiorentino”.
Anche se è tuttora in corso una diatriba su chi sia stato il primo a portare il cacao dall’America in Europa, è certo che fu il fiorentino Francesco Carletti ad introdurre il pregiato alimento Toscana, dove ovviamente giunse rapidamente sulle mense dei Medici.
Una volta tornato in patria infatti Carletti venne accolto alla corte di Ferdinando I de’ Medici, a cui dedicò le sue memorie di viaggio. Fu dunque lui che fece conoscere il cacao nella nostra regione e alla dinastia medicea, anche se bisogna dire che in un primo momento il cacao non incontrò i gusti di coloro che ebbero il privilegio di assaggiarlo, che lo ritennero poco gradevole al palato in quanto amaro e dal gusto particolarmente pronunciato.
Fu con il passare del tempo che l’alimento, che inizialmente veniva preparato esclusivamente sotto forma di bevanda, amalgamato con l’acqua o con il latte (e perciò detto cioccolatte, da cui l’odierna cioccolata) e addolcito con lo zucchero, prese piede e incontrò la fortuna che ancora oggi lo accompagna, soprattutto grazie all’utilizzo di alcuni aromi che ben si armonizzavano con il cacao. In particolare le cronache tramandano che Cosimo III, perennemente pungolato dalla sua ghiottoneria, avanzasse continue richieste di tal genere a Francesco Redi, e che quest’ultimo si assoggettasse pazientemente ai desideri del suo signore inventando sempre nuove combinazioni, tra le quali è rimasta famosa la varietà aromatizzata ai fiori di gelsomino, per la quale Cosimo nutriva una vera e propria passione. Altri ingredienti che venivano correntemente adoperati per ingentilire il sapore deciso del cacao erano le scorze di agrumi (prevalentemente il cedro e il limone), la cannella, la vaniglia, l’ambra e perfino il muschio.