Si cominciò allora, quando vennero smontati sia l’anfiteatro (in Via Torta), sia il teatro (sotto Palazzo Vecchio), utilizzando le pietre per nuove costruzioni. Si continuò nel Medioevo, quando i ghibellini distrussero tutte le torri e i palazzi guelfi; manco a dirlo, appena possibile, una decina d’anni più tardi, furono i guelfi a vendicarsi, spazzando via torri e palazzi ghibellini. Del resto, si sa: chi la fa, l’aspetti!
A Firenze esisteva un numero esorbitante di torri, la cui altezza poteva sfiorare anche i 75 metri. Veri e propri grattacieli, per l’epoca! Firenze godeva di una tale ricchezza da permettere la costruzione della (all’epoca) più grande cattedrale di tutto il mondo conosciuto, l’edificazione di molte chiese e di un lusso che, unica in Europa, poté concedersi, la pavimentazione delle strade in pietra. Per non parlare ovviamente degli splendidi e sontuosi palazzi, delle grandi meravigliose ville, con i loro incantevoli giardini e ricercati orti, come quello di un certo messer Durante con oltre 3500 piante di aranci e limoni.
Tutto questo rendeva Firenze meta di migliaia di visitatori da tutto il mondo. Ma… C’è sempre un ma.
Nella seconda metà dell’Ottocento, con il trasferimento della capitale da Torino a Firenze, venne progettato un nuovo assetto urbanistico, che prevedeva lo sventramento di gran parte del centro storico, in le cui case erano fatiscenti e malsane ed abitate dalla parte più povera ed emarginata della popolazione. Soprattutto il vecchio “ghetto” che, dalla fine del Settecento, con l’abolizione della segregazione razziale decretata dal Granduca, era anche divenuto un covo di malviventi.
E qui si riparte col disfare.
La prima decisione del Comune fu l’abbattimento delle mura cittadine, del quale fu incaricato il nostro immancabile Giuseppe Poggi. Poggi, con la costruzione del Viale dei Colli, riuscì ad evitare l’abbattimento delle mura della parte sud della città, e riuscì anche nell’intento di salvare la maggior parte delle vecchie porte, facendo presente al Comune che il loro mantenimento avrebbe consentito di veicolare meglio il traffico dei carri e delle carrozze. Quindi, per una volta, spezziamo una lancia in favore del Poggi, che fece anche cose buone e belle.
Nel 1888 il Comune iniziò i lavori di sventramento del centro storico, su progetto di Rimediotti (nomen omen). I primi edifici ad essere distrutti furono quelli costruiti nel corso dei secoli nella piazza del Mercato Vecchio. Si salvarono solo la Loggia del Pesce del Vasari e la Colonna dell’Abbondanza con la statua del Foggini, grazie all’intervento di Guido Carocci. Cioè, si salvarono… alcuni pezzi sopravvissero alla furia distruttiva, vennero conservati e, in seguito, riassemblati su strutture nuove.
A seguire, furono distrutti tutti gli edifici compresi fra il Duomo e il palagio di parte Guelfa: un totale di 26 stradine, 20 piazzette, 341 abitazioni, 673 tra magazzini e botteghe, 12 palazzi, 20 torri, 6 chiesette e 2 sinagoghe.
Scusate se è poco!
Simultaneamente, si allargarono Via Martelli, Via Calzaioli, Via Tornabuoni e Via Strozzi, arretrando le facciate di alcuni metri indietro rispetto alla sede stradale, e ricostruendole, in gran parte, tali e quali. L’esempio più eclatante ce lo fornisce l’Arcivescovado che, essendo a ridosso del Battistero, venne pure lui arretrato. Venne anche allargato ponte alle Grazie, per consentirvi il passaggio dei tram, e quelle caratteristiche casette che si trovavano sulle pigne del ponte, in origine celle per monache di clausura, e in seguito divenute botteghe e anche abitazioni, incapparono nella scure del demolitore e vennero perse per sempre.
Ma anche nel Novecento si iniziò una scellerata azione demolitrice che, mi tocca dire per fortuna, pensate un po’, venne interrotta a causa della guerra.
A seguito del risanamento del centro, più di 5000 persone si erano trovate sfrattate e si erano riversate in massa nei quartieri di Santa Croce e di San Frediano; questi però non erano attrezzati e preparati a ricevere una simile affluenza di persone e il fatto si trasformò in un vero problema. La principale e deleteria conseguenza fu l’aumento esponenziale di malattie infettive e di tbc, che già erano numerose e per le quali non esistevano cure o farmaci, ma soltanto elementari norme igieniche preventive. Il Comune di Firenze, alla fine degli anni Venti, approvò pertanto un progetto di risanamento dei quartieri di Santa Croce e di San Frediano. Questa misura era stata, ad onor del vero, fortemente “spinta” dal governo Mussolini.
Per San Frediano il progetto prevedeva la totale demolizione dei fabbricati tra Via dei Serragli, Via del Campuccio e Piazza Taddeo Gaddi, di fronte a Ponte alla Vittoria. Le uniche cose che sarebbero state salvate, erano la chiesa del Carmine con l’annesso convento, San Salvatore a Camaldoli con il Conventino e il Granaio fatto costruire da Cosimo III. Piazza Santa Felicita sarebbe stata messa in diretta comunicazione con il Carmine da una strada, un’altra avrebbe unito piazza Tasso con Via dei Serragli e per giungere a Piazza Gaddi sarebbe stato approntato un nuovo reticolo di strade. Sulle colline di Bellosguardo doveva trovare collocazione un grande, impattante auditorium e diversi teatri di tronfia presenza dovevano essere sparsi in tutto il quartiere. Nei pressi di Piazza Tasso vennero abbattute alcune abitazioni, ma poi fu deciso di dare la precedenza ai lavori in Santa Croce.
Il piano per Santa Croce prevedeva l’abbattimento di tutti gli edifici compresi tra i viali di circonvallazione, Via Pietrapiana, Via Verdi e Piazza Santa Croce. Un grande viale, largo ben 14 metri, avrebbe dovuto correre tra Piazza Beccaria e il Mercato Centrale di San Lorenzo. Il punto centrale della viabilità era stabilito in Piazza Salvemini, il che rese necessario, nel 1936, l’abbattimento del Canto alle Rondini, comprendente il palazzo Uccellini con l’antica Farmacia delle Rondini e l’ottocentesco Teatro Alfieri.
Come dicevo prima, devo dire “per fortuna” arrivò la guerra, e il Comune fu costretto ad interrompere i lavori, limitando così i danni di questo fantascientifico progetto di risanamento al quadrilatero delimitato da Via Verdi, Via Pietrapiana, Piazza dei Ciompi e Via dell’Agnolo. Tutto il resto del quartiere di S.Croce e tutto l’Oltrarno furono salvi e lo scempio fu evitato. Ed è tristissimo trovarsi costretti ad essere riconoscenti ad una guerra, devastante come la seconda guerra mondiale, per aver evitato un catastrofico scempio alla nostra città.
Firenze: gli è tutto un fare e disfare
Grazie Gabriella!
Mi sento onorata che abbia fatto tutta questa ricerca per me, ma giustamente voleva completare il “quadro”.
Vi seguo perchè i vostri articoli mi piacciono e spesso sono veramente interessanti, quindi niente ringraziamenti. Sono io che ringrazio voi per quello che fate!
Lucia
Questo articolo che sottintende una meticolosa ricerca pesso l’Archivio di Stato mi ha fatto “struggere”.
Per fortuna non le manca mai un pizzico di sana ironia. Sono d’accordo con lei è veramente tristissimo quello che ha raccontato. Sono d’accordo anche su ciò che ha scritto circa l’architetto Giuseppe Poggi. Se non si fossero buttate giù le vecchie mura e non fossero stati costruiti i viali di circonvallazione mi piacerebbe proprio sapere come si faceva a spostarsi in questa città. Comunque non le ha buttate giù tutte, magari mi sarebbe piaciuto ci fosse stato qualche pezzo in più, ma con questo non si può demonizzare il Poggi.
Ma prima della II guerra mondiale chi era sindaco a Firenze? Se lo ricorda?
Grazie se mi può contattare al riguardo.
Buonasera, Lucia. Ammetto che non sapevo proprio chi fosse sindaco di Firenze prima della seconda guerra, ho fatto qualche ricerca ed ho scoperto che prima e durante la guerra, con la carica di “podestà”, guidava la città di Firenze tal Paolo Venerosi Pesciolini, gerarca fascista. Gli successero, sempre in periodo di guerra, Guido de Francisci e Giotto Dainelli Dolfi, sempre legati al fascismo. Nessuno di questi signori ebbe la carica di sindaco, solo commissari o podestà. Bisogna arrivare al 1946 per trovare un sindaco, non legato a quel movimento politico, e si tratta di Gaetano Pieraccini.
Spero di aver soddisfatto la sua curiosità e la ringrazio per seguirci così assiduamente.
Gabriella Bazzani