Se si pensa al pezzo di pane che viene strofinato con le dita nel fondo del piatto per raccogliere il sugo della pietanza, si può facilmente fare un paragone con la scarpa che striscia per terra e raccatta tutto ciò che trova. Questo deve essere stato il nesso logico che ha spinto, in tempi remoti, i contadini toscani a concepire questo originale modo di dire.
Diversa appare invece la versione del popolo meridionale, secondo il quale il termine “scarsetta” corrispondeva a “povertà”, per cui ripulire con il pane la scodella assumeva il significato di cercare di non sprecare neppure una briciola di quel poco cibo che si era riusciti a racimolare.
(da “ADAGI CON BRIO” di Franco Ciarleglio, Sarnus Editore)
(NdR): Mi perdonerà Franco se scrivo due righe come nota di redazione, la sua spiegazione mi apre il cuore perchè il rapporto con il cibo è qualcosa di più di una semplice alimentazione e se ancora oggi il galateo imporrebbe un comportamento diverso per me e credo non solo per me, la scarpetta rappresenta la massima consacrazione alla bontà di una pietanza e mi sento onorato quando i miei commensali mi restituiscono il piatto già “lavato”.