Quel fenomeno storico che coinvolse gran parte dell’Italia (se non tutta), in una lotta fratricida con continue e sanguinose battaglie che videro intere città l’una contro l’altra armata, e che tutti noi abbiamo studiato nei nostri libri di scuola, come la grande lotta del partito guelfo (favorevole a una maggiore autonomia dei Comuni, ma su questo ci sarebbe da discutere), contro quello ghibellino (più propensi alla centralità del potere imperiale, ma l’origine è molto più complessa), vide i suoi nefasti “albori” in Toscana e principalmente a Firenze.
Per brevità tralascio le vere motivazioni dello scontro fra le due fazioni, ma ricordo solo che nelle nostre terre la divisione e la feroce contesa avvenne fra due consorterie oligarchie, composte da gruppi di famiglie alleatesi, che si contendevano il potere politico ed economico.
La storiografia spiccia (cioè quella che ci è stata insegnata a sommi capi), vorrebbe che la miccia che fece scoppiare il conflitto fu accesa proprio in Firenze a causa di una mancata promessa di nozze fra Buondelmente dei Buondelmonti (poi diventata parte guelfa) e una damigella della casata degli Amidei (parteggiante poi della parte ghibellina).
Il disonore per la mancata promessa doveva placarsi con il sangue e lo “spergiuro” fu uccido in un agguato presso il Ponte Vecchio e da questo episodio scoppio la grande guerra.
Ma a tutto ciò c’è un antefatto che non molti sanno.
In realtà la lite fra le due fazioni ebbe inizio nel gennaio del 1216 durante un ritrovo conviviale di festeggiamento per l’investitura a cavaliere di Mazzingo Tegrimi de’ Mazzinghi, tenutasi nel castello di Campi di proprietà della nobile famiglia di origine longobarda (castello poi sviluppato e divenuta Rocca quando passò alla famiglia Strozzi, e ancora oggi si può osservare nella sua imponenza mentre si specchia nelle acque del Bisenzio che bagnano l’antica cittadina nei pressi di Firenze).
Pare che durante il banchetto un giullare, probabilmente per fare il burlone, tolse all’improvviso un piatto a Buondelmonte dei Buondelmonti e Uberto degli Infangati. Il primo non accettò lo scherzo e, di rincalzo, un altro invitato Odarrigo de’ Fifanti, avvezzo a sobillare, accusò dell’accaduto il vicino Uberto. A sua volta questi accusò Odarrigo di intromettersi al fine di sottrarre il piatto, il quale, da buon rissoso, gettò in faccia a Uberto un tagliere colmo di carne.
Alla fine del pranzo gli animi si riaccesero e iniziò una rissa furibonda, nel corso della quale Buondelmonte, impugnato un coltello, aggredì Odarrigo ferendolo a un braccio. Era scoppiata la scintilla. Secondo le usanze dell’epoca la baraonda generata e le offese arrecate, dovevano essere ricomposte al fine di tutelare l’onore dei contendenti.
Un consiglio di famiglia degli Arrighi e delle altre casate amiche (tra cui i Fifanti e gli Amidei), decise che si poteva ripianare la questione con il classico matrimonio riparatore, proponendo all’assalitore Buondelmonte di sposare una fanciulla del casato degli Amidei. La proposta fu accolta e venne stipulato un contratto notarile in cui si prevedeva addirittura una penale per una eventuale mancata celebrazione.
Gli accadimenti successivi sono ormai noti, anche se mancanti di ulteriore dettagli. La penale non fu applicata perché fu deciso di intraprendere più drastiche soluzioni.