Edmondo De Amicis, giovane ufficiale, arrivò a Firenze nel 1867, in una giornata decisamente brutta: stava infatti nevicando.
In una città semideserta, imboccò Via Panzani, con la coda dell’occhio intravide Via Tornabuoni, arrivò al Duomo e salì su per Via dei Servi, fino ad arrivare in Via Capponi. Era sconcertato da “quelle vie strette come persone che si pigino, le porticine che paion buche, una casa alta come una torre, una bassa come una capanna“, non volevano proprio andargli giù, tanto che si domandava se la bellezza di Firenze, tanto decantata, fosse tutta qui.
Giorno dopo giorno, la scoperta di un angolino nascosto, il girare il naso all’insù e vedere ogni volta particolari diversi, un muretto a secco da cui nasceva un ciuffo d’erba, l’architettura di un palazzo, fecero il miracolo e finì con l’innamorarsi di Firenze.
Del resto, qui aveva trovato anche un lavoro che sembrava confezionato su misura per lui: scriveva per un giornale, l’ “Italia militare”, che aveva bisogno del sostegno di uno scrittore qualificato per sopravvivere. De Amicis era bravo, inutile sottolinearlo; i suoi articoli piacquero, per quanto un po’ troppo languidi. Gli ufficiali descritti erano troppo paterni e di larghe vedute; i soldati apparivano troppo bonaccioni ed umili, ed il risultato era un eccessivo sentimentalismo, ma per l’epoca andavano bene.
L’ “Italia Militare” si risollevò e per De Amicis si aprirono le porte dei salotti della Firenze-bene, soprattutto quelle del salotto di Emilia Peruzzi. Era un giovane di poco più di vent’anni, di bell’aspetto, alto, snello, con una cascata di riccioli neri; la padrona di casa, Emilia Peruzzi, lo prese sotto la sua ala protettrice, divenendo la sua consigliera e maestra di stile, aiutando il giovane Edmondo a muoversi con padronanza in questo mondo.
Si suppose che fra i due vi fosse del tenero, più di una semplice amicizia; le lettere che De Amicis scriveva ad Emilia lasciavano trasparire un sentimento più intimo del lecito per la signora Peruzzi, più grande di lui di circa vent’anni e, a quel che si dice, non particolarmente avvenente. Si trattava di romanticherie, dalle quali era sicuramente lusingata e divertita, e non doveva certo dispiacersi delle attenzioni del giovane ufficiale.
Gli insegnamenti di Emilia Peruzzi furono molto importanti nella formazione letteraria di Edmondo De Amicis : nel 1868 i suoi “Bozzetti militari” furono raccolti in un volume dall’editore Treves, mentre “La Nazione” pubblicò una serie di suoi racconti.
De Amicis a Firenze si trovava così bene che non si sognava proprio di andarsene, accarezzava semmai l’idea di abbandonare la carriera militare per la scrittura. Aveva fatto amicizia con vari giornalisti, abitava in Via Ricasoli e spesso trascorreva le sue serate in compagnia di questi, condividendo un bel fiasco di buon vino comprato nella bottega sotto casa.
Nel 1870 dal Ministero gli arrivò l’incarico di corrispondente militare e De Amicis, suo malgrado, fu costretto a seguire il corpo di spedizione. Già intuiva che a Firenze non sarebbe più tornato e, prima di partire, una sera, oltrepassò Porta a Pinti e si avviò verso San Domenico. Era malinconico e ripensava al tempo trascorso, a quando, appena arrivato, aveva avuto una sgradevole impressione di Firenze e a come, in breve tempo, quella iniziale repulsione si fosse trasformata in ardente amore. Camminando, pensando e ricordando arrivò fino a Fiesole, dove gli si parò davanti agli occhi “quel saliscendi di poggi e vallette simili ad un solo immenso prato, depresso qua e là, lievemente come dal premere di una mano carezzevole” e “case, gruppi di case, ville su tutti i rialti, nette, spiccate, che par che i colli le buttino innanzi come per porgerle“. Si fermò ad ammirare quel superbo panorama, denso di magia, pregno di ricordi, di volti di amici, di momenti di successo insperati. Si era fatta sera, il buio lo avvolgeva e alzando gli occhi vide la collina ed il piano come “sorvolati da una moltitudine immensa di lucciole“.
Un sospiro gli sfuggì mentre mormorando diceva: “Addio, Firenze“. E scese giù.
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Cara Gabriella, ottimo questo articolo su Edmondo De Amicis, oggi molto, anche troppo “snobbato”.
Mi ha colpito all’nizio un particolare che, secondo me, toglierei: come faceva da Via Pazani ad intravedere Via Tornabuoni, sia pure con la coda dell’occhio?? E’ impossibile e per sincerarmene ho preso la carta di Firenze, credimi non si può proprio.
Per il resto, brava come sempre, o quasi sempre…
Lucia