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Sono circa le sei del mattino, l’aurora da bianca e vermiglia diviene colore dell’oro, Virgilio e Dante camminano lungo un litorale, loro hanno terminato il loro viaggio all’Inferno, noi quello alla ricerca dei fiorentini o di personaggi e situazioni legate a Firenze negli inferi. Per loro, come per noi è ora di arrivare in Purgatorio.

Una creatura alata sempre più luminosa si avvicina, è impossibile sostenere lo sguardo al cospetto di una luce così intensa. Con lei c’è una barca che sfiora l’acqua e che sta raggiungendo la riva con il suo carico di anime che cantano quel salmo che solitamente accompagna i morti in chiesa.

Tra le tante anime giunte con l’ imbarcazione ce n’è una in particolare che Dante riconosce subito, è Casella, un musicista fiorentino suo grande amico e al quale è ancora molto legato. Casella spiega a Dante che le anime destinate al Purgatorio si radunano alla foce del Tevere, l’angelo sfolgorante che ha visto prima le accoglie sulla sua barca solo quando hanno dimenticato tutto ciò che le lega agli interessi terreni. Casella spiega ancora che l’anno precedente durante il giubileo, venne concessa l’ indulgenza plenaria. Così tutte le anime che ne avevano fatto richiesta, beneficiando di uno sconto di pena potevano proseguire il loro viaggio nell’aldilà.

Dante rammenta di aver scritto una canzone che lo stesso Casella aveva interpretato, e prega dunque l’amico di cantarla nuovamente per lui: “ Amor che mi parla nella mente…” Tutte le anime presenti rimangono incantate nell’ascoltare quella voce così soave.

Appare però Catone, che vedendo quelle anime ipnotizzate dall’esibizione, le redarguisce aspramente paragonandole ad Ulisse che rimane incantato dal canto delle sirene. Catone prende in mano la situazione e decide di distogliere quelle anime dalla distrazione canora, spingendole energicamente verso il monte antistante dove potranno raggiungere Dio.

Casella nasce nel 1250 a Firenze e muore nel 1300. È stato un compositore amico intimo di Dante. Si sa poco di lui se non quello che ci racconta il poeta, qualcuno ritiene che fosse però di origine pistoiese. Musicò un madrigale di Lemmo da Pistoia, come risulta dal Codice Vaticano 3214: “Casella dedit sonum” (lo musicò Casella). Di Casella si fa menzione anche in un sonetto di Niccolò de’ Rossi. L’artista musicò alcune poesie di Dante come la canzone, tratta dal Convivio, “Amor che ne la mente mi ragiona”.

Dante incontra poi Jacopo del Cassero, un discendente di una famiglia nobile di Fano nato pochi anni prima di lui. Era un magistrato che fu alleato di Firenze, anche lui aveva combattuto contro Arezzo nella battaglia di Campaldino. In seguito era stato ucciso con un colpo di roncone all’inguine per mano dei sicari del marchese di Ferrara Azzo VIII, suo nemico giurato.

Jacopo era stato ucciso mentre si dirigeva a Milano per essere eletto podestà della città. Per timore di essere riconosciuto e fermato dai suoi rivali, aveva malauguratamente optato  una via che passava attraverso una poco frequentata zona paludosa nel territorio di Padova. Fu una scelta fatale, perché  la folta vegetazione palustre, l’acqua e soprattutto la melma, ne rallentarono la marcia. Lo sventurato cadde poi accidentalmente da cavallo e venne facilmente raggiunto dagli uomini del marchese e ucciso.

L’anima chiede a Dante di ricordarlo nelle sue preghiere; questo gli avrebbe permesso di lasciare prima il Purgatorio. Nel sentire questa richiesta, si avvicina anche Bonconte da Montefeltro della casata dei signori di Urbino, sperando che Dante interceda anche per lui.

Bonconte era morto nella battaglia di Campaldino, ma il suo corpo non venne mai trovato. L’uomo apparteneva alla fazione ghibellina particolarmente avversa ai fiorentini. Ferito alla gola nello scontro, era riuscito a fuggire a piedi e a raggiungere il fiume Archiano nel punto in cui confluisce con l’Arno. Prima di perdere i sensi a causa del dissanguamento, era riuscito però ad invocare il perdono della Madonna. Così la sua anima che stava per essere rapita da un demone, venne tratta in salvo da un angelo. Il demone gabbato si vendicò allora sul corpo, scatenando una forte pioggia che ingrossando il fiume Archiano trascinò via la salma disperdendola per sempre.

Ecco che in lontananza si vede arrivare una bellissima creatura celeste vestita di bianco e con il volto splendente. La presenza invita Dante a dirigersi verso un ripido sentiero composto di gradini. Nel vederlo al poeta torna in mente quella scalinata che porta in cima al Monte delle Croci vicino a Firenze, dove sorge la chiesa di San Miniato.

Dante e Virgilio cominciano a salire i gradini della scala per continuare il loro viaggio, quando incontrano Sapìa Salvani. Il nome Sapìa significa “colei che ha senno”, ma la donna rivela invece ai due di aver al contrario dimostrato di non averne affatto. Nata e vissuta a Siena ormai sessantenne, la donna era da sempre in forte attrito con il nipote. Così quando i senesi guidati dall’inviso nipote affrontarono i fiorentini a Colle di Val d’Elsa, lei  dalla torre più alta volle assistere alla battaglia pregando Dio che i suoi concittadini venissero sconfitti dai fiorentini. Sicuramente non grazie alle sue preghiere, ma i senesi vennero sconfitti.

Cenni storici: Dopo la battaglia di Montaperti del 1260, la Siena ghibellina aveva prevalso sulla Firenze guelfa. Colle Val d’Elsa che parteggiava per i guelfi, divenne luogo d’esilio di molti guelfi senesi e perseguita per questo.

Nella battaglia di Tagliacozzo del 1268 vide Carlo d’Angiò correre in difesa del pontefice Clemente IV, contro il nipote di Federico II Corradino, che era alla guida dei ghibellini.

Tutta questa battaglia accadeva sotto gli occhi della speranzosa Sapìa Salvani, che dalla torre su cui era salita, pregava ardentemente sperando nella vittoria di Carlo d’Angiò.

 

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Riccardo Massaro

Dante e il suo fantastico viaggio 8: Dante e i personaggi del Purgatorio
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