Dante ci descrive una scena assurda: in mezzo a dei serpenti disseminati ovunque, correvano terrorizzati completamente nudi dei peccatori, nella fuga si guardavano intorno con la speranza di trovare un posto dove potersi nascondere dai rettili, inutilmente. Avevano le mani legate dietro la schiena da serpenti, che penetravano dentro i loro corpi con la coda e con la testa attraverso le reni per poi riannodarsi davanti sul ventre.
Improvvisamente Virgilio e Dante si trovano al cospetto di un dannato, proprio mentre questo viene trafitto da un serpente alla gola. L’anima di quello sventurato prende poi fuoco e si incenerisce. Dal mucchio di cenere il dannato riprende la sua forma umana, poi smarrito ed incredulo viene colto da una crisi epilettica. Una volta passata la crisi, il disgraziato si rialza visibilmente disorientato e ricomincia a subire da capo questa tremenda ed eterna punizione.
Il dannato è Vanni Fucci, precipitato in questa bolgia piena di crudeltà, perché in vita era stato un uomo bestiale. Soprannominato non a caso la “Bestia di Pistoia”, era figlio illegittimo di Fuccio dei Lazzari; un militante dei Neri più volte condannato per omicidio, atti di brigantaggio e saccheggio; un uomo sanguinario e rissoso, ma che invece di trovarsi tra i dannati violenti, si trovava tra i ladri. Questo perché era stato responsabile del furto del tesoro del duomo di Pistoia. Lo citiamo anche se non fiorentino, perché ci interessa una sua profezia che colpisce particolarmente Dante. Il dannato annuncia al poeta, che Firenze cambierà popolazione e governo mentre un fulmine colpirà ogni Bianco…
Il sibillino presagio svela velatamente che nella città trionferà la fazione dei Neri, la quale si macchierà di sopraffazioni e violenze. Mentre il “fulmine” di cui parla Fucci, altri non è che il marchese della Lunigiana, capitano dei lucchesi alleati dei Neri fiorentini contro Pistoia. Le sue vittorie avrebbero infatti significato la rovina dei Bianchi condannandoli all’esilio.
Vanni Fucci la Bestia, nasce tra il 1295 e il 1300 a Pistoia. La sua fama è legata a Dante, che lo cita nella sua opera.
Nel 1289 partecipò alla guerra contro Pisa e alla presa della Rocca di Caprona tra le file dei fiorentini. Fu probabilmente in quell’occasione che Alighieri ebbe modo di conoscere l’uomo, restandone negativamente colpito a causa delle inutili atrocità di cui si fece protagonista.
Nel 1293, durante la notte di carnevale, Vanni entrò nel duomo con la sua banda di ladri e depredò la cappella di San Jacopo di tutti gli oggetti preziosi. Questo episodio viene raccontato dallo stesso Dante. Pare che in un primo momento venisse però incolpato del furto sacrilego il figlio di un suo amico, tale Rampino Foresi o Vergellesi, il quale era già stato condannato alla forca per altri crimini commessi.
In seguito venne arrestato anche un complice del Fucci, tale notaio Vanni della Monna, che rivelò prima di essere impiccato, il coinvolgimento del Vanni nel furto. Nel frattempo il Fucci era fuggito e si era dato alla briganteria, terrorizzando la campagna pistoiese.
Nel febbraio 1295 Vanni fu condannato in contumacia dal comune di Pistoia come omicida e predone, ma tornò comunque impunemente in città per compiere nuovi saccheggi contro i Guelfi Bianchi. Non si sa se la sua morte fu per cause naturali o violente.
Più avanti Virgilio e Dante lasciando Vanni, vedono un serpente con sei zampe avventarsi contro un dannato per morderlo sulle guance. Stendendo le zampe posteriori, il rettile gli infila la coda tra le gambe e lungo la schiena, come fosse l’ edera avvinghiata ad un albero. Poi attraverso una mutazione i due si fondono insieme “come fossero di cera calda”. L’essere che nasce da questa trasformazione, assume una colorazione intermedia tra i due generando un mostro orripilante.
Si tratta del fiorentino Agnolo Brunelleschi, ladro fin dalla gioventù. L’uomo in vita si travestiva da povero vecchio per ingannare le sue vittime e rapinarle. Ancora adesso nell’inferno continua ad aggirarsi travestito.
Analoga sorte tocca a Buoso Donati, che si trova in compagnia di Puccio dei Ghaligai detto lo sciancato e di Francesco dei Cavalcanti, ucciso per vendetta.
Vediamoli da vicino:
Agnolo Brunelleschi, o Agnello visse nel XIII secolo, fu un personaggio storico fiorentino del quale si hanno poche notizie storiche. Viene collocato all’Inferno nella settima bolgia tra i ladri. È infatti uno dei cinque ladri fiorentini che farà pronunciare a Dante la celebre invettiva che inizia con “Godi Fiorenza!”
Dante lo cita come Agnel. L’attenzione del poeta in questo passo è focalizzata però sulla mostruosa metamorfosi, così non viene data nessuna notizia biografica. Solo in seguito verrà identificato come un esponente della nobile famiglia dei Brunelleschi, che già da piccolo rubava dalla borsa del padre e della madre, per poi passare alle botteghe.
Buoso Donati, è vissuto nel XIII secolo, un altro dei cinque ladri fiorentini citati da Dante e posto tra i fraudolenti. Il serpente-ramarro è “quel che tu, Gaville, piagni”. Si ha notizia di un Buoso Donati, firmatario della pace tra Guelfi e Ghibellini proposta dal Cardinal Latino nel 1280. Questi sarebbe stato il nipote dell’omonimo Buoso Donati il Vecchio.
Francesco de’ Cavalcanti di Gaville è anche lui vissuto nel XIII secolo, sempre facente parte del gruppo dei cinque ladri, assassinato dagli abitanti di Gaville, un paesino nei dintorni di Firenze, non si sa per quale esatto motivo. Dopo l’accaduto i parenti di Francesco si vendicarono duramente sulla città, con omicidi e distruzioni di case.
Ma seguiamo ancora Dante e Virgilio per incontrare altri personaggi legati a Firenze…